Televisione
Lucarelli contro Fagnani: “Belve” non le piace, forse perché al posto suo c’è un’altra
La giornalista del Fatto Quotidiano demolisce Francesca Fagnani, accusandola di spocchia e ambizione smodata. Ma sui social rimbalza una vecchia analisi: il vero problema, forse, è che quel programma lo avrebbe voluto condurre lei.
Volano gli stracci una recente puntata de Il Sottosopra, il podcast quotidiano di Selvaggia Lucarelli. Tema del giorno: Francesca Fagnani e il suo programma Belve. Un titolo volutamente ambiguo – “Perché non mi piace Belve. E perché sì” – e undici minuti in cui la giudice di Ballando con le Stelle si scaglia con particolare ferocia contro il format di Rai 2 e soprattutto contro chi lo conduce.
Al netto di alcune critiche sensate all’ultima edizione – che in effetti qualche scivolone l’ha collezionato – la sensazione è che la Lucarelli più che recensire, stia elaborando un torto personale: quello di non essere stata chiamata alla guida di un format che avrebbe potuto cucirsi addosso come un guanto.
E allora giù stilettate. A partire dai costi del programma, che secondo la giornalista sfiorerebbero i 300mila euro a puntata, una cifra importante per una produzione esterna alla Rai. Il tutto per un risultato Auditel inizialmente sottotono, risalito solo nelle ultime settimane. Ma la vera stoccata arriva quando si parla della conduttrice: “Di davvero feroce, in Belve, c’è solo l’ambizione di chi lo conduce. Fagnani non mira a un programma godibile ma a uno notiziabile. L’intervistato? Un pretesto. Non c’è ritratto, non c’è profondità”.
Una critica dura, ma anche poco fondata. Perché è evidente che ogni programma televisivo – e da sempre, ben prima dell’era social – nasca con l’aspirazione di far parlare di sé. Che si tratti di reality, dating show o varietà, la parola d’ordine è una: notiziabilità. Vale per Belve, certo, ma vale anche per BellaMà, dove Annalisa Minetti si trasforma in Jill Cooper e Pierluigi Diaco fa le bizze con gli autori. Eppure nessuno si straccia le vesti.
Dare per scontato che l’intervistato non emerga a Belve è, semplicemente, falso. Per quanto alcuni temi siano già noti, la narrazione riesce spesso a restituire uno sguardo nuovo. Si prenda il caso di Bianca Balti: nota alle cronache per il suo passato militante, certo, ma il modo in cui si è raccontata nello studio della Fagnani ha colpito e sorpreso. O almeno, chi ha voluto ascoltare.
Pretendere che il pubblico conosca già la storia di ogni personaggio intervistato è ingenuo. E sostenere che Belve non sia all’altezza del suo presunto predecessore, Le invasioni barbariche, solo perché la conduttrice ci mette troppo ego, è un’altra forzatura. Ogni programma ha il proprio stile, e spesso questo stile coincide – anzi, deve coincidere – con la personalità di chi lo conduce. Come non pensare, per esempio, a Paolo Bonolis? O a Maria De Filippi?
La verità è che Selvaggia Lucarelli non è nuova a uscite simili. Già durante l’ultima edizione del Festival di Sanremo aveva scelto un silenzio eloquente sull’intervento di Francesca Fagnani all’Ariston, che invece aveva messo d’accordo quasi tutti.
Oggi rincara la dose: “Nessuno la critica perché ha molti amici tra colleghi e social”. Una frase che, detta da una che nel mondo dei social ci naviga da anni con gran profitto, suona più come uno sfogo che come una riflessione.
Per quanto si possa discutere di alcune scelte editoriali, Belve resta un programma solido, con un’identità precisa e una buona resa televisiva. Funziona, insomma. Ed è forse questo a bruciare di più.
Lucarelli ha costruito nel tempo un personaggio solido: polemica, affilata, trasversale. Dal gossip alle inchieste, dalle raccolte fondi al costume, non c’è tema che non abbia affrontato con piglio da pasionaria. Ha guadagnato così visibilità e ruoli fissi in tv, soprattutto a Ballando con le Stelle, dove siede da otto stagioni con la consueta aria da outsider scomoda.
Ma quando si è trattato di ideare un talk d’interviste “feroci”, la scelta non è caduta su di lei. Hanno scelto un’altra. E questo, si sa, può far rosicare chiunque. Anche il più puro di cuore. Figuriamoci Selvaggia Lucarelli.
Immaginiamola, dunque, in uno studio a intervistare i suoi “nemici” storici: Morgan, Cruciani, Scanzi, Max Giusti. Un talk pepato e acido non sarebbe stato fuori dalle sue corde. Anzi. Ma sarebbe stato altrettanto efficace sul piano mediatico?
Difficile a dirsi. Quel che è certo è che Francesca Fagnani, con uno stile tutto suo e una rete che l’ha sostenuta fin dal primo minuto, è riuscita a fare di Belve un piccolo caso editoriale. Il curriculum aiuta, ma nel mondo dell’immagine serve anche un po’ di grazia. E, come dimostra il successo del programma, anche il pubblico l’ha riconosciuta.
Forse, allora, non è Belve a non piacere alla Lucarelli. Forse il problema è che, per una volta, la belva non è lei.
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Televisione
Milly Carlucci rompe il silenzio sul lutto di Andrea Delogu e annuncia che “Ballando” andrà in onda: “È la crudeltà del nostro mestiere”
La conduttrice ha espresso vicinanza alla collega, sconvolta dalla tragedia familiare, spiegando che lo show non si fermerà “per portare evasione e speranza”. Delogu, ancora in silenzio pubblico, ha definito il momento “devastante”.
La televisione non si ferma, anche quando la vita presenta il conto più duro. A La Vita in Diretta, Milly Carlucci ha scelto toni sobri e pieni di rispetto per commentare il lutto che ha colpito Andrea Delogu, colpita dalla scomparsa improvvisa del fratello minore. Il dolore che scuote l’intero ambiente televisivo ha trovato spazio in un intervento breve ma sentito, con la conduttrice che ha spiegato perché Ballando con le Stelle non rallenterà il suo percorso.
“Siamo tutti con lei”
“Non ci sono parole per descrivere ciò che è accaduto e non riesco nemmeno a immaginare cosa stia provando Andrea in questo momento. Noi le siamo tutti vicini. Ieri l’abbiamo sommersa di messaggi”, ha detto Carlucci, visibilmente colpita. La notizia, arrivata come un fulmine nella settimana che precede una nuova puntata del programma, ha raccolto un’ondata di affetto verso la conduttrice e scrittrice, figura amatissima dal pubblico.
Il dolore e il dovere di andare in scena
Un passaggio in particolare ha sintetizzato il difficile equilibrio tra emozione e responsabilità televisiva: “Il lutto che l’ha colpita ci ha profondamente scossi. Ma noi siamo come i circensi, come i teatranti: è la crudeltà del nostro mestiere. Dobbiamo comunque andare in onda, qualunque cosa accada, perché il nostro compito è portare evasione e speranza”. Parole che raccontano la tensione di chi lavora nello spettacolo e conosce la regola non scritta secondo cui lo show, spesso, non può fermarsi.
Il silenzio di Delogu e il rispetto dell’ambiente tv
Nessuna dichiarazione ufficiale, finora, da parte di Andrea Delogu. Contattata da la Repubblica, si è limitata a dire: “È un momento devastante, non mi sento di dire nulla”. Un’espressione asciutta, che dice tutto senza aggiungere altro. La riservatezza è stata rispettata da colleghi e pubblico, che sui social scelgono toni sobri e messaggi di affetto, rimandando ogni riflessione a quando la conduttrice vorrà tornare a parlare.
Nel frattempo, Ballando con le Stelle proseguirà il suo cammino. Lo farà in un clima inevitabilmente diverso, con una vicinanza silenziosa che vale più di mille parole. Perché, anche quando la luce dei riflettori resta accesa, la vita reale continua a bussare, e a volte lo fa nel modo più duro possibile.
Televisione
Charlie Hunnam, l’uomo che guarda nell’abisso: “Interpretare Ed Gein mi ha terrorizzato”
Tra trasformazioni fisiche estreme, introspezione psicologica e la sfida di umanizzare il male: il ritorno di Hunnam segna una delle prove più intense della sua carriera.
Non è facile spaventare Charlie Hunnam. Eppure, lo stesso attore che per anni ha incarnato il carisma ribelle di Sons of Anarchy ammette che il suo ultimo ruolo lo ha «terrorizzato». Il motivo è semplice: per la terza stagione della serie antologica di Netflix Monster, ideata da Ryan Murphy e Ian Brennan, Hunnam è chiamato a vestire i panni di Ed Gein, il serial killer del Wisconsin la cui storia ha ispirato capolavori come Psycho, Non aprite quella porta e Il silenzio degli innocenti.
L’interpretazione ha richiesto all’attore britannico un’immersione profonda e disturbante nei meandri della mente umana. «Questo ruolo mi ha costretto a guardare il lato più oscuro dell’uomo — ha raccontato in un’intervista —. Non volevo che diventasse una caricatura del male. Dovevo capire come un essere umano possa arrivare a tanto».
Un viaggio nella follia americana
Ambientata negli anni Cinquanta, Monster: La storia di Ed Gein ricostruisce la vicenda del “macellaio di Plainfield”, noto per i suoi crimini che scioccarono l’America rurale. Dopo il successo mondiale delle precedenti stagioni dedicate a Jeffrey Dahmer e John Wayne Gacy, la nuova serie ha debuttato in vetta al catalogo Netflix, generando al contempo entusiasmo e polemiche per il modo crudo e realistico con cui rappresenta la violenza.
Hunnam, 45 anni, ha dovuto affrontare un intenso lavoro di preparazione: ha perso circa 14 chili per riprodurre la corporatura esile del vero Gein, ha studiato ore di registrazioni dell’interrogatorio e ha visitato la sua cittadina natale. «La parte più difficile non è stata la trasformazione fisica, ma la comprensione psicologica», ha spiegato. «Dietro le sue azioni c’erano traumi, isolamento e una malattia mentale mai curata. L’obiettivo era mostrare l’uomo prima del mostro».
Da Newcastle a Hollywood: la parabola di un ribelle
Nato nel 1980 a Newcastle upon Tyne, Hunnam è cresciuto nel nord industriale dell’Inghilterra, tra pub, campi da calcio e una famiglia segnata da difficoltà economiche. Dopo un’infanzia turbolenta e un trasferimento forzato nella tranquilla Cumbria, trova nella recitazione la sua via di fuga. Scoperto quasi per caso da un talent scout della BBC, debutta a 17 anni nella serie Byker Grove e poco dopo conquista l’attenzione del pubblico in Queer as Folk, dove interpreta un adolescente alla scoperta della propria identità.
Il salto internazionale arriva con Sons of Anarchy (2008–2014), in cui dà vita a Jax Teller, il tormentato leader di una gang di motociclisti. Quel ruolo lo consacra come icona maschile e simbolo del ribelle moderno. Da allora, alterna cinema e tv in produzioni di prestigio come Pacific Rim di Guillermo del Toro, Civiltà perduta di James Gray, King Arthur e The Gentlemen di Guy Ritchie.
Il metodo Hunnam: tra dedizione e tormento
Per affrontare il ruolo di Gein, l’attore ha adottato un metodo quasi ascetico. «Ho vissuto da solo per settimane, limitando i contatti con il mondo esterno», ha rivelato. Durante le riprese, ha evitato ogni distrazione, immergendosi completamente nella parte. «Più studiavo la sua vita, più capivo che interpretarlo significava affrontare le paure più profonde, le mie e quelle di chiunque».
Al termine delle riprese, Hunnam ha compiuto un gesto simbolico: ha visitato la tomba di Ed Gein, lasciandosi alle spalle il personaggio. «Ho voluto salutarlo — ha detto —. Gli ho promesso che avrei raccontato la sua storia con rispetto, ma che non l’avrei portato con me».
Critiche e riflessioni: chi è il vero mostro?
Come spesso accade con le opere di Ryan Murphy, anche questa stagione ha sollevato dibattiti sull’etica della rappresentazione del male. Hunnam, però, difende la scelta artistica: «Non stiamo glorificando la violenza. La nostra intenzione è capire. Mostrare il male per ciò che è: un fallimento umano e sociale».
E lancia una provocazione: «Gein era il mostro della storia, ma chi è il mostro oggi? Hitchcock, che ha trasformato la sua vicenda in intrattenimento? O noi spettatori, che guardiamo queste storie per sentirci al sicuro di fronte all’orrore degli altri?».
Un attore, due vite
Lontano dai set, Hunnam conduce un’esistenza sorprendentemente riservata. Da quasi vent’anni è legato alla designer di gioielli Morgana McNelis, con cui vive in California, tra natura e discrezione. «Sono con lei da metà della mia vita», ha raccontato. «Non ho bisogno di un certificato per sapere che è la persona giusta».
Nel 2025, con Monster: La storia di Ed Gein, Hunnam dimostra di essere più di un sex symbol o di un eroe da action movie: è un attore che non teme di sporcarsi le mani con l’oscurità. E forse è proprio questa vulnerabilità, questa capacità di guardare dentro l’abisso senza arretrare, che lo rende — ancora oggi — una delle figure più complesse e affascinanti di Hollywood.
Televisione
Marcella Bella contro i giudici di Ballando con le stelle: lo sfogo rovente della cantante scatena polemiche
Dalla televisione al botta e risposta pubblico: lo sfogo di Marcella Bella contro i giudici di Ballando con le stelle — con accuse di mortificazione e frasi forti — riporta al centro il dibattito sul tono del confronto televisivo e sui limiti tra critica professionale e attacco personale.
Parole che squarciano la calma: Marcella Bella si scaglia con veemenza contro i giudici di Ballando con le stelle, definendo quello che riceve «accanimento» e ribadendo un senso di umiliazione personale. «Questo accanimento nei miei confronti comincia ad essere grave. Io mi sento mortificata…Mi tagliano la testa? Mi sputano addosso? Mi lanceranno le monetine appresso? Mi hanno detto che ho gli occhi tristi, ma quali occhi tristi? Io sono incazzata nera. Gli metterei le dita negli occhi a questi qui, a tutti e cinque». Sono parole forti, che non lasciano spazio a mediazioni emotive: la cantante mostra frustrazione e rabbia, e il caso è già alimento per pagine social e tavoli televisivi dove il teatrino del giudizio incontra la sensibilità dell’artista.
Il contesto: performance, critiche e reazioni
In un talent-show il confronto è parte del format: i giudici valutano, commentano, anche in termini ruvidi; i concorrenti si espongono e accettano la platea. È però inevitabile che certe precisazioni generino attrito. Quando a esprimersi è una figura conosciuta come Marcella Bella, le parole diventano notizia: non soltanto per il contenuto dello sfogo, ma per la questione più ampia che pone — dove tracciare il confine tra critica professionale e offesa personale? E come devono comportarsi talent e giurie in uno spazio pubblico che amplifica ogni frecciatina?
Polemiche e responsabilità del piccolo schermo
Il linguaggio dello spettacolo è spesso teatrale, volutamente esasperato per produrre share e commenti. Resta però la domanda: quanto spazio va lasciato all’aggressività verbale, e quanto alle scuse o alle chiarificazioni? Le reazioni a caldo, come quella di Marcella Bella, mettono in luce una dinamica fragile: da un lato l’attrazione per il conflitto mediatico, dall’altro il rischio di superare il limite della dignità personale. In questo senso, la vicenda non si esaurisce in un battibecco tra platee televisive: solleva riflessioni su come si costruisca il racconto dello spettacolo e su chi debba farsi carico dei toni — il conduttore, la produzione, la giuria o gli stessi protagonisti.
Per ora la dichiarazione di Marcella Bella resta un segnale chiaro: la tensione è alta e il confronto, televisivo e sociale, è destinato a proseguire. Il resto lo dirà la prossima puntata e, probabilmente, le eventuali repliche pubbliche dei diretti interessati.
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