Italia
Campus estivi universitari: a Milano ce n’è per tutti i gusti
Dai corsi gratuiti ai programmi da 2.600 euro, gli atenei milanesi aprono le porte agli studenti delle superiori per orientarli nella scelta universitaria.

L’estate a Milano non è solo tempo di vacanze e relax, ma anche un’occasione preziosa per gli studenti delle scuole superiori che vogliono avvicinarsi al mondo universitario. I principali atenei della città hanno lanciato i loro campus estivi, pensati per ragazzi dai sedici ai diciotto anni. I campus estivi offrono un’immersione nelle materie accademiche attraverso lezioni, laboratori e momenti di interazione diretta con i docenti. Questi percorsi non servono solo a scoprire nuove materie ma aiutano concretamente nella scelta futura del corso di laurea. Le attività proposte spaziano dalle discipline scientifiche e tecnologiche fino a quelle umanistiche e giuridiche e permettono ai partecipanti di sperimentare per qualche giorno la vita universitaria.
Sì vabbè ma quanto costano?
I costi variano a seconda dell’università e del programma scelto. Alcuni atenei, come la Statale di Milano, la Bicocca e lo Iulm, offrono corsi completamente gratuiti. Lo Iulm organizza la Junior Summer School, con 400 ragazzi iscritti e lezioni su comunicazione, lingue, arte e marketing. Alla fine del corso, gli studenti ricevono un attestato di partecipazione e visitano il Museo della Comunicazione. L’Università Vita-Salute San Raffaele propone invece moduli di Filosofia e Psicologia al prezzo simbolico di cinquanta euro per tre giorni, con pranzo incluso. Il Politecnico di Milano lancia l’ottava edizione del TechCamp. Si tratta di un percorso di due settimane dedicato alle discipline STEM come robotica, cybersecurity ed energie rinnovabili, con un costo di ottocento euro e cinquecento posti disponibili. La Scuola per la diffusione delle Bioscienze della Statale propone moduli di biologia molecolare e genetica, con laboratori pratici dal 23 al 27 giugno e dall’1 al 5 settembre. La Bocconi offre una Summer School articolata in sedici laboratori, corsi e seminari che spaziano dalla Finanza al Management, dal Marketing digitale al Diritto. I prezzi variano dai millecento euro per il programma in Diritto, previsto dal sette all’undici luglio, fino ai duemilaseicento euro per la School completa, che si terrà dal sette al diciotto luglio. Le tariffe sono molto diverse a seconda dell’ateneo e del programma scelto.
Gratuiti. Università Statale, Bicocca e Iulm offrono corsi senza costi di iscrizione.
Costo simbolico. L’Università Vita-Salute San Raffaele propone moduli di filosofia e psicologia a 50 euro per tre giorni, con pranzo incluso.
Campus a pagamento. Politecnico di Milano: TechCamp (800 euro per due settimane), con corsi su robotica, cybersecurity ed energie rinnovabili. Bocconi: Summer School (da 1.100 a 2.600 euro), con corsi su finanza, management, marketing digitale e diritto.
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Italia
Autovelox e Tutor, quando finisce la rilevazione della velocità media?
La questione della segnalazione dei tratti di rilevazione della velocità media e l’uso di autovelox non omologati sollevano importanti interrogativi sulla trasparenza e la legittimità delle pratiche di controllo della velocità. Una normativa più chiara e lineare, come suggerito da esperti e associazioni di consumatori, potrebbe risolvere molte delle attuali controversie e migliorare la fiducia del pubblico nelle misure di sicurezza stradale.

Un recente caso giudiziario ha sollevato domande cruciali sull’obbligo di segnalare la fine dei tratti di rilevazione della velocità media con Tutor, alimentando dubbi e preoccupazioni tra automobilisti e motociclisti.
La vicenda del Tribunale di Latina
Un automobilista multato per aver superato la velocità media di 90 km/h su una strada a Sannino (Latina) ha fatto ricorso, sostenendo che la segnalazione non era adeguata. Il Tribunale di Latina ha annullato la sanzione, ritenendo che la segnalazione generica di “controllo della velocità” non fosse sufficiente a informare gli automobilisti che veniva rilevata la velocità media, come richiesto dall’articolo 142 del Codice della Strada.
Per la Cassazione non c’è obbligo di segnalare la fine della rilevazione
La Corte di Cassazione ha però ribaltato questa decisione, accogliendo il ricorso del Comune di Sannino sostenuto dalla Procura generale. La Cassazione ha stabilito che la normativa prevede solo l’obbligo di segnalare l’inizio del tratto controllato da dispositivi di rilevamento della velocità, Tutor, senza ulteriori specificazioni riguardo la fine del tratto.
Cosa dicono gli esperti. Come ci dobbiamo comportare?
Fabio Galli, un esperto di Codice della Strada, critica la decisione della Cassazione, sottolineando che la norma parla di “tratti determinati“, implicando che dovrebbero essere chiaramente indicati sia l’inizio che la fine della rilevazione. Suggerisce che una lettura preventiva e chiarificatrice della norma potrebbe essere richiesta al Ministero dell’Interno o attraverso un’istanza presentata da un’associazione di tutela dei consumatori.
Il mistero degli autovelox sequestrati
Parallelamente, la questione degli autovelox illegali ha portato a sequestri in tutta Italia, in luoghi come Venezia, Vicenza e Modena. Le apparecchiature in questione non erano omologate correttamente, rendendo illegittime le multe emesse. I consumatori possono fare ricorso se non hanno ancora pagato o se sono entro i termini per impugnare le sanzioni. Il Codacons ha annunciato azioni legali per il danno erariale e per tutelare i diritti dei consumatori, sostenendo che la sicurezza stradale deve essere garantita nel rispetto delle leggi e con strumenti omologati.
Insomma non riusciamo a venirne fuori serenamente
La questione della segnalazione dei tratti di rilevazione della velocità media e l’uso di autovelox non omologati sollevano importanti interrogativi sulla trasparenza e la legittimità delle pratiche di controllo della velocità. Una normativa più chiara e lineare, come suggerito da esperti e associazioni di consumatori, potrebbe risolvere molte delle attuali controversie e migliorare la fiducia del pubblico nelle misure di sicurezza stradale.
Italia
Guerra a colpi di forchetta: pastasciutta antifascista contro risotto nero anticomunista
A Omegna, la tradizionale “pastasciutta antifascista” scatena la reazione dei nostalgici: nasce il “risotto anticomunista”. Una provocazione culinaria che riapre ferite ideologiche. E fa saltare la tregua a tavola.

C’è chi serve la memoria con burro e Parmigiano. E chi risponde con il nero di seppia. A Omegna, in Piemonte, il 25 luglio si avvicina e, come ogni anno, torna la “pastasciutta antifascista”, piatto simbolo della fine del regime mussoliniano. Ma quest’anno la Resistenza va di traverso alla destra locale, e qualcuno ha deciso di ribaltare il menù: Luigi Songa, ex Fratelli d’Italia, propone un’alternativa dal retrogusto polemico. Il risotto nero “anticomunista”. Così, quello che doveva essere un pranzo popolare è diventato uno scontro ideologico. Di quelli che fanno rumore anche con le posate.
Songa non ci sta. A farlo insorgere è l’inserimento dell’evento nel calendario delle attività turistiche del Comune. “Non è cultura, è politica”, tuona. E invece di organizzare un comizio, sfodera la padella. Risultato: un piatto che sa più di provocazione che di tradizione. E che sui social diventa subito meme: tagliatelle liberali, tortellini sovranisti, lasagne identitarie. Benvenuti nell’Italia in cui ogni ricetta è uno schieramento.
Ma attenzione: la pastasciutta antifascista non nasce ieri. È il gesto dei fratelli Cervi, nel 1943, per celebrare la caduta di Mussolini. Da allora si ripete in oltre 300 piazze, e ogni anno trova nuovi estimatori. Ma anche nuovi nemici. Come il deputato Urzì (FdI), che in Trentino si è indignato: “Pure in vacanza ti servono l’antifascismo nel piatto!”. C’è chi brontola per le multe ai volontari, chi per i patrocini negati. Ma la sostanza non cambia: la pastasciutta divide.
A Omegna, il sindaco ha già scelto da che parte stare: “Io ci sarò. È un gesto simbolico. E se fa discutere, meglio: almeno ricorda chi ci ha permesso oggi di parlare, anche di risotti polemici”. Intanto Songa rincara: “Il prossimo 28 aprile cucino la pasta in bianco per Mussolini”. E no, non è satira: è propaganda spadellata.
Morale? Nessuna. Solo che in Italia persino un piatto di maccheroni può diventare un atto politico. E che, nel dubbio, la libertà si difende anche a tavola. Con la forchetta ben affilata.
Italia
Urbano Cairo prepara il colpaccio: via Report dalla Rai, Ranucci verso La7. E il Corriere molla Meloni
Sigfrido Ranucci verso La7, dopo mesi di silenzi forzati e bastoni tra le ruote in Rai. Il suo arrivo è il fiore all’occhiello della campagna acquisti dell’editore, che nel frattempo prepara anche il restyling del Corriere della Sera: basta centrismo molle, via ai giornalisti d’assalto. Perché il melonismo, in edicola e in prima serata, non buca più.

Siete pronti? Via. È partita la campagna acquisti più rovente dell’estate. Non parliamo del calciomercato, ma della corsa di Urbano Cairo a sinistra. L’editore di La7 (e del Corriere della Sera) ha deciso che il melonismo non vende e si prepara a fare spazio in palinsesto – e in redazione – a firme e volti che Giorgia non vorrebbe nemmeno al cenone di Natale.
Obiettivo numero uno: Sigfrido Ranucci. La Rai lo considera un corpo estraneo, un parente scomodo da evitare alle cene istituzionali. Tagli di puntate, slittamenti, commissariamenti, provvedimenti disciplinari: in Viale Mazzini stanno facendo di tutto per farlo stancare. E lui, da par suo, si guarda intorno. E guarda proprio verso La7. L’idea è già scritta sulla lavagna di Cairo: prima serata del lunedì, un nuovo nome (perché il brand Report è della Rai), e una seconda serata sperimentale – tipo Report-Lab – dove coltivare giovani segugi dell’inchiesta.
A contorno, libri editi da Solferino, un piano social che sfrutti la macchina da sei milioni di follower che Ranucci e i suoi si sono costruiti in anni di servizio pubblico. Cairo non conferma, ma ammicca. E quando gli chiedono di Report, si limita a dire: “È un programma di qualità”. Tradotto: sto apparecchiando la tavola, vediamo se Ranucci si siede.
E non è finita. Perché mentre sogna di portare l’uomo delle inchieste a La7, Urbanetto pensa anche al lifting del Corriere della Sera. Basta editoriali soft sul governo, basta moderatismo sussurrato. Il centrodestra ha già i suoi giornaletti da battaglia (Libero, Il Giornale, La Verità). Il Corriere deve tornare a graffiare. E allora ecco l’operazione restyling: direttore in uscita (Luciano Fontana), Sarzanini in pole, e voci di nuovi innesti dalla sinistra investigativa: Valeria Pacelli, Giacomo Salvini, Simone Canettieri.
Il messaggio è chiaro: chi copia il melonismo non vince. E se perfino Cairo lo ha capito, forse è già tardi per chi sperava di cavalcare la stagione sovranista. Il vento è cambiato, e l’editore di La7 – come sempre – fiuta da che parte conviene schierarsi.
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