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Italia

L’Italia cerca 10mila volontari per la guerra. Ma non ha né un piano né l’accordo politico

Con i conflitti ai confini dell’Europa e l’instabilità crescente, l’Italia corre ai ripari: servono almeno 40mila soldati in più, ma l’unica idea concreta è una “riserva” di 10mila ausiliari. La maggioranza vuole richiamare ex militari, l’opposizione punta sulla sanità militare. Ma senza soldi, il progetto rischia di restare sulla carta.

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    Che l’Italia sia impreparata a uno scenario di guerra non è una novità. Ma adesso il problema è nero su bianco: mancano militari. Le forze armate chiedono almeno 40mila unità in più, ma l’unica cosa su cui la politica sta lavorando è un piano di emergenza da 10mila “ausiliari” volontari. E già qui si litiga: la Lega vuole richiamare gli ex militari, il Pd punta sui volontari della Croce Rossa. Nel frattempo, il ministero dell’Economia non ha stanziato un euro.

    Il piano verrà discusso a luglio, quando scadrà la legge delega del 2022 che prevedeva la possibilità di creare una “riserva” da mobilitare in caso di crisi. E, vista la situazione internazionale – tra Ucraina, Medio Oriente e minacce ibride sempre più concrete – il dibattito diventa urgente.

    La proposta leghista parte da un principio semplice: richiamare chi ha già servito. Ex soldati della ferma breve, addestrati e pronti, da inserire in un elenco di richiamabili. “In caso di emergenza – spiega il leghista Nino Minardo – sarebbero i primi a essere impiegati per difendere il territorio e supportare l’esercito”. Non solo ruoli tecnici, ma anche funzioni operative: presidi, confini, ordine pubblico.

    Il Pd, invece, guarda altrove. Secondo Stefano Graziano e Piero Fassino, non ha senso mettere ex militari non più in servizio in prima linea. L’idea è invece quella di potenziare la sanità militare e civile. E come? Recuperando le risorse (umane e logistiche) della Croce Rossa Italiana, che dopo lo scioglimento del corpo militare nel 2012 è rimasta ai margini. Si parla di 150mila volontari: medici, infermieri, soccorritori, autisti. Una forza enorme che potrebbe agire a supporto nelle emergenze, senza trasformarsi in esercito.

    Nel mezzo, anche una terza proposta: creare un corpo ausiliario alpino con gli ex militari che oggi operano nella Protezione civile. L’idea piace al ministro Crosetto, ma resta sulla carta finché non arrivano i fondi.

    Il punto è sempre lo stesso: tutti d’accordo sul bisogno, ma nessuno sa bene come farlo. Due proposte di legge sono già sul tavolo, ma se non si scioglie il nodo economico, la riserva militare rischia di restare una suggestione. E l’Italia, in caso di crisi, rischia di trovarsi senza uomini e senza piano B.

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      Italia

      Autovelox e Tutor, quando finisce la rilevazione della velocità media?

      La questione della segnalazione dei tratti di rilevazione della velocità media e l’uso di autovelox non omologati sollevano importanti interrogativi sulla trasparenza e la legittimità delle pratiche di controllo della velocità. Una normativa più chiara e lineare, come suggerito da esperti e associazioni di consumatori, potrebbe risolvere molte delle attuali controversie e migliorare la fiducia del pubblico nelle misure di sicurezza stradale.

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      Tutor deve rivelare dove termina il limite di velocità

        Un recente caso giudiziario ha sollevato domande cruciali sull’obbligo di segnalare la fine dei tratti di rilevazione della velocità media con Tutor, alimentando dubbi e preoccupazioni tra automobilisti e motociclisti.

        La vicenda del Tribunale di Latina

        Un automobilista multato per aver superato la velocità media di 90 km/h su una strada a Sannino (Latina) ha fatto ricorso, sostenendo che la segnalazione non era adeguata. Il Tribunale di Latina ha annullato la sanzione, ritenendo che la segnalazione generica di “controllo della velocità” non fosse sufficiente a informare gli automobilisti che veniva rilevata la velocità media, come richiesto dall’articolo 142 del Codice della Strada.

        Per la Cassazione non c’è obbligo di segnalare la fine della rilevazione

        La Corte di Cassazione ha però ribaltato questa decisione, accogliendo il ricorso del Comune di Sannino sostenuto dalla Procura generale. La Cassazione ha stabilito che la normativa prevede solo l’obbligo di segnalare l’inizio del tratto controllato da dispositivi di rilevamento della velocità, Tutor, senza ulteriori specificazioni riguardo la fine del tratto.

        Cosa dicono gli esperti. Come ci dobbiamo comportare?

        Fabio Galli, un esperto di Codice della Strada, critica la decisione della Cassazione, sottolineando che la norma parla di “tratti determinati“, implicando che dovrebbero essere chiaramente indicati sia l’inizio che la fine della rilevazione. Suggerisce che una lettura preventiva e chiarificatrice della norma potrebbe essere richiesta al Ministero dell’Interno o attraverso un’istanza presentata da un’associazione di tutela dei consumatori.

        Il mistero degli autovelox sequestrati

        Parallelamente, la questione degli autovelox illegali ha portato a sequestri in tutta Italia, in luoghi come Venezia, Vicenza e Modena. Le apparecchiature in questione non erano omologate correttamente, rendendo illegittime le multe emesse. I consumatori possono fare ricorso se non hanno ancora pagato o se sono entro i termini per impugnare le sanzioni. Il Codacons ha annunciato azioni legali per il danno erariale e per tutelare i diritti dei consumatori, sostenendo che la sicurezza stradale deve essere garantita nel rispetto delle leggi e con strumenti omologati.

        Insomma non riusciamo a venirne fuori serenamente

        La questione della segnalazione dei tratti di rilevazione della velocità media e l’uso di autovelox non omologati sollevano importanti interrogativi sulla trasparenza e la legittimità delle pratiche di controllo della velocità. Una normativa più chiara e lineare, come suggerito da esperti e associazioni di consumatori, potrebbe risolvere molte delle attuali controversie e migliorare la fiducia del pubblico nelle misure di sicurezza stradale.

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          Italia

          Guerra a colpi di forchetta: pastasciutta antifascista contro risotto nero anticomunista

          A Omegna, la tradizionale “pastasciutta antifascista” scatena la reazione dei nostalgici: nasce il “risotto anticomunista”. Una provocazione culinaria che riapre ferite ideologiche. E fa saltare la tregua a tavola.

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            C’è chi serve la memoria con burro e Parmigiano. E chi risponde con il nero di seppia. A Omegna, in Piemonte, il 25 luglio si avvicina e, come ogni anno, torna la “pastasciutta antifascista”, piatto simbolo della fine del regime mussoliniano. Ma quest’anno la Resistenza va di traverso alla destra locale, e qualcuno ha deciso di ribaltare il menù: Luigi Songa, ex Fratelli d’Italia, propone un’alternativa dal retrogusto polemico. Il risotto nero “anticomunista”. Così, quello che doveva essere un pranzo popolare è diventato uno scontro ideologico. Di quelli che fanno rumore anche con le posate.

            Songa non ci sta. A farlo insorgere è l’inserimento dell’evento nel calendario delle attività turistiche del Comune. “Non è cultura, è politica”, tuona. E invece di organizzare un comizio, sfodera la padella. Risultato: un piatto che sa più di provocazione che di tradizione. E che sui social diventa subito meme: tagliatelle liberali, tortellini sovranisti, lasagne identitarie. Benvenuti nell’Italia in cui ogni ricetta è uno schieramento.

            Ma attenzione: la pastasciutta antifascista non nasce ieri. È il gesto dei fratelli Cervi, nel 1943, per celebrare la caduta di Mussolini. Da allora si ripete in oltre 300 piazze, e ogni anno trova nuovi estimatori. Ma anche nuovi nemici. Come il deputato Urzì (FdI), che in Trentino si è indignato: “Pure in vacanza ti servono l’antifascismo nel piatto!”. C’è chi brontola per le multe ai volontari, chi per i patrocini negati. Ma la sostanza non cambia: la pastasciutta divide.

            A Omegna, il sindaco ha già scelto da che parte stare: “Io ci sarò. È un gesto simbolico. E se fa discutere, meglio: almeno ricorda chi ci ha permesso oggi di parlare, anche di risotti polemici”. Intanto Songa rincara: “Il prossimo 28 aprile cucino la pasta in bianco per Mussolini”. E no, non è satira: è propaganda spadellata.

            Morale? Nessuna. Solo che in Italia persino un piatto di maccheroni può diventare un atto politico. E che, nel dubbio, la libertà si difende anche a tavola. Con la forchetta ben affilata.

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              Italia

              Urbano Cairo prepara il colpaccio: via Report dalla Rai, Ranucci verso La7. E il Corriere molla Meloni

              Sigfrido Ranucci verso La7, dopo mesi di silenzi forzati e bastoni tra le ruote in Rai. Il suo arrivo è il fiore all’occhiello della campagna acquisti dell’editore, che nel frattempo prepara anche il restyling del Corriere della Sera: basta centrismo molle, via ai giornalisti d’assalto. Perché il melonismo, in edicola e in prima serata, non buca più.

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                Siete pronti? Via. È partita la campagna acquisti più rovente dell’estate. Non parliamo del calciomercato, ma della corsa di Urbano Cairo a sinistra. L’editore di La7 (e del Corriere della Sera) ha deciso che il melonismo non vende e si prepara a fare spazio in palinsesto – e in redazione – a firme e volti che Giorgia non vorrebbe nemmeno al cenone di Natale.

                Obiettivo numero uno: Sigfrido Ranucci. La Rai lo considera un corpo estraneo, un parente scomodo da evitare alle cene istituzionali. Tagli di puntate, slittamenti, commissariamenti, provvedimenti disciplinari: in Viale Mazzini stanno facendo di tutto per farlo stancare. E lui, da par suo, si guarda intorno. E guarda proprio verso La7. L’idea è già scritta sulla lavagna di Cairo: prima serata del lunedì, un nuovo nome (perché il brand Report è della Rai), e una seconda serata sperimentale – tipo Report-Lab – dove coltivare giovani segugi dell’inchiesta.

                A contorno, libri editi da Solferino, un piano social che sfrutti la macchina da sei milioni di follower che Ranucci e i suoi si sono costruiti in anni di servizio pubblico. Cairo non conferma, ma ammicca. E quando gli chiedono di Report, si limita a dire: “È un programma di qualità”. Tradotto: sto apparecchiando la tavola, vediamo se Ranucci si siede.

                E non è finita. Perché mentre sogna di portare l’uomo delle inchieste a La7, Urbanetto pensa anche al lifting del Corriere della Sera. Basta editoriali soft sul governo, basta moderatismo sussurrato. Il centrodestra ha già i suoi giornaletti da battaglia (Libero, Il Giornale, La Verità). Il Corriere deve tornare a graffiare. E allora ecco l’operazione restyling: direttore in uscita (Luciano Fontana), Sarzanini in pole, e voci di nuovi innesti dalla sinistra investigativa: Valeria Pacelli, Giacomo Salvini, Simone Canettieri.

                Il messaggio è chiaro: chi copia il melonismo non vince. E se perfino Cairo lo ha capito, forse è già tardi per chi sperava di cavalcare la stagione sovranista. Il vento è cambiato, e l’editore di La7 – come sempre – fiuta da che parte conviene schierarsi.

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