Benessere
Stare in forma: occhio a calcolare per bene le calorie negli alimenti!
Scopri come vengono determinate le calorie negli alimenti e perché è importante considerare sia la quantità che la qualità degli alimenti per mantenere un peso sano e una buona salute generale. Impara a bilanciare l’apporto calorico in base alle tue esigenze individuali.
Facciamo chiarezza!
Come sui bugiardini dei farmaci, calorie e kcalorie sulle etichette nutrizionali ci presentano il prodotto, ma vediamoci chiaro! Sono le due unità di misura dell’energia, ma è soprattutto la kilocaloria che viene utilizzata quando si parla di alimenti preconfezionati.
Ma come funzionano
Per determinare il contenuto calorico degli alimenti, i laboratori utilizzano metodi di combustione per misurare il calore rilasciato, consentendo così di quantificare l’energia contenuta in un alimento in termini di calorie o kilocalorie, comunemente indicate come kcal sulle etichette dei prodotti confezionati.
Sono uguali per maschi e femmine?
È importante tenere presente che l’utilizzo delle calorie varia da persona a persona a seconda di fattori come metabolismo, età, sesso, livello di attività fisica e composizione corporea. Le kilocalorie sono spesso utilizzate nei laboratori di scienza alimentare poiché rappresentano quantità energetiche più significative rispetto alle singole calorie.
Vince sempre la quantità
Mantenere un equilibrio tra l’assunzione e il consumo di calorie è fondamentale per la gestione del peso e la salute generale. Le esigenze caloriche sono individuali e non esiste un’unica quantità di calorie adatta a tutti. Concentrarsi sulla qualità degli alimenti e bilanciare le porzioni può contribuire a garantire un apporto calorico adeguato senza eccedere.
Equilibrio
Pertanto, oltre a considerare le calorie, è essenziale prestare attenzione alla qualità degli alimenti per mantenere un equilibrio per una buona salute a lungo termine. Assicurati di scegliere alimenti nutrienti e bilanciare l’apporto calorico in base alle tue esigenze individuali e al tuo stile di vita.
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Benessere
Il cervello inizia a invecchiare a 44 anni: la scoperta che può cambiare la prevenzione del declino cognitivo
Secondo gli scienziati, il calo metabolico cerebrale non è lineare e potrebbe essere rallentato fornendo al cervello carburanti alternativi, come i chetoni. I risultati, pubblicati su PNAS, aprono nuove prospettive nella lotta contro l’Alzheimer.
Quando il cervello inizia davvero a invecchiare
Il cervello non resta giovane per sempre, ma il momento esatto in cui comincia a perdere efficienza è stato a lungo un mistero. Ora, grazie a una ricerca condotta dall’Università Statale di New York a Stony Brook, gli scienziati hanno identificato l’età in cui il cervello entra nella sua “curva di declino”: a partire dai 44 anni.
Non si tratta, però, di un processo costante. Il calo segue un andamento “a S”, spiegano i ricercatori: inizia intorno ai 40 anni, accelera fino ai 67 e rallenta intorno ai 90. A influire non sono solo fattori genetici, ma anche aspetti metabolici e infiammatori che condizionano la capacità dei neuroni di ottenere energia dal glucosio.
Il ruolo dell’insulina: quando i neuroni “restano affamati”
Secondo lo studio, pubblicato sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS), la causa principale dell’invecchiamento cerebrale risiede nel metabolismo del glucosio. Con l’età, l’insulina – l’ormone che regola l’assorbimento dello zucchero nelle cellule – diventa meno efficace nel cervello, lasciando i neuroni “affamati” di energia.
“Durante la mezza età, i neuroni sono metabolicamente stressati ma ancora vitali”, ha spiegato la professoressa Lilianne R. Mujica Parodi, coordinatrice della ricerca. “È una fase delicata: il cervello non è ancora danneggiato, ma comincia a fare fatica. Intervenire in questo momento può fare la differenza.”
Chetoni: un carburante alternativo per il cervello
Il team di ricerca ha testato una possibile soluzione: fornire al cervello una fonte alternativa di energia. Gli scienziati hanno somministrato a un gruppo di volontari integratori a base di chetoni, molecole che l’organismo produce naturalmente quando brucia i grassi in assenza di zuccheri.
I risultati sono stati sorprendenti: nelle persone tra i 40 e i 59 anni, i chetoni hanno migliorato la sensibilità all’insulina e stabilizzato l’attività delle reti cerebrali, riducendo i segni del declino cognitivo precoce. L’effetto, invece, è risultato meno evidente nei più giovani e negli anziani.
“Abbiamo osservato che i chetoni riescono a bypassare la resistenza all’insulina e a fornire carburante diretto ai neuroni”, ha aggiunto la professoressa Mujica Parodi. “Questo approccio potrebbe rivoluzionare la prevenzione del declino cognitivo legato all’età e delle patologie neurodegenerative, come il morbo di Alzheimer.”
La ricerca e i suoi protagonisti
Lo studio ha coinvolto oltre 19.000 persone, sottoposte a risonanza magnetica funzionale per analizzare l’attività delle reti cerebrali. Oltre all’ateneo di Stony Brook, hanno partecipato la Mayo Clinic, il Massachusetts General Hospital e il Memorial Sloan Kettering Cancer Center.
L’analisi ha messo in evidenza anche due geni chiave nel processo di invecchiamento cerebrale:
- GLUT4, responsabile del trasporto del glucosio nelle cellule, e
- APOE, già noto per il suo ruolo nel rischio di Alzheimer.
Entrambi risultano coinvolti nella perdita di efficienza del metabolismo cerebrale a partire dalla mezza età.
Prevenzione e prossimi passi
Gli autori dello studio sottolineano che si tratta di risultati preliminari, ma aprano una nuova strada per la prevenzione. Intervenire nella “finestra critica” tra i 40 e i 60 anni, fornendo al cervello energia supplementare attraverso integratori o dieta mirata, potrebbe rallentare l’invecchiamento cerebrale prima che compaiano danni irreversibili.
Tuttavia, gli esperti ricordano che non esistono scorciatoie: prima di assumere integratori o cambiare abitudini alimentari è sempre necessario consultare il proprio medico.
Un nuovo modo di guardare alla mezza età
L’idea che il cervello inizi a cambiare già a 44 anni può spaventare, ma è anche un’occasione per intervenire per tempo. Conoscere il momento in cui la mente inizia a perdere efficienza significa poter agire in modo mirato, migliorando alimentazione, attività fisica e salute metabolica.
In fondo, come conclude la professoressa Mujica Parodi, “l’invecchiamento non è un destino ineluttabile, ma un processo che possiamo imparare a comprendere – e forse, un giorno, a rallentare.”
Benessere
La malinconia d’autunno: perché la mente rallenta quando cadono le foglie (e come ritrovare equilibrio)
La cosiddetta “depressione stagionale” colpisce ogni anno milioni di persone. A ridurre il buonumore è la minore esposizione alla luce solare, che influisce su serotonina e melatonina. Ma non sempre serve una terapia: a volte bastano lentezza, luce, relazioni e piccole abitudini che nutrono la mente.
Ci sono giorni d’autunno in cui la mente sembra coperta da una nebbiolina leggera. Non si tratta di tristezza vera e propria, ma di una malinconia sottile, difficile da spiegare. È come se la natura, rallentando, trascinasse con sé anche i nostri pensieri.
Gli psicologi la chiamano SAD – Seasonal Affective Disorder, ma la maggior parte delle persone la conosce come “malinconia stagionale”. I sintomi sono comuni: stanchezza mentale, svogliatezza, bisogno di dormire di più, calo dell’entusiasmo. Non è depressione, ma un cambiamento fisiologico legato alla diminuzione della luce.
Quando i giorni si accorciano, infatti, il cervello produce meno serotonina (che regola l’umore) e più melatonina (che induce il sonno). Il risultato è un piccolo squilibrio chimico che ci spinge verso introspezione e lentezza. Un modo, in fondo, per sincronizzarci con la stagione che ci invita al raccoglimento.
Il problema nasce quando questa fase naturale viene negata. Viviamo in un mondo che pretende energia costante, efficienza, produttività. Ma la mente, come la terra, ha bisogno di periodi di riposo per rigenerarsi.
Gli esperti suggeriscono alcune strategie semplici ma efficaci: aumentare l’esposizione alla luce naturale, anche solo 20 minuti al giorno all’aperto; praticare una routine regolare di sonno; scegliere cibi ricchi di triptofano, come banane, avena, cioccolato fondente e frutta secca.
E poi c’è il rimedio più antico di tutti: le relazioni umane. Parlare, condividere, uscire con un amico può alleggerire più di qualsiasi integratore. La connessione autentica, spiegano gli psicoterapeuti, è una delle medicine più potenti contro la solitudine emotiva.
In fondo, la malinconia d’autunno non va temuta: va capita. È un invito a rallentare, a fare spazio, a guardarsi dentro senza paura. Perché la mente, come gli alberi, sa quando è tempo di lasciar andare. E solo accettando di perdere qualche foglia, si può tornare a fiorire davvero.
Benessere
Svapare aumenta il rischio di insufficienza cardiaca
Secondo i ricercatori, chi utilizza le e-cig ha un rischio maggiore del 19% di sviluppare insufficienza cardiaca. Il pericolo cresce ancora di più se si alternano sigarette tradizionali e svapo.
Il dibattito sulle sigarette elettroniche si arricchisce di un nuovo capitolo, e non porta buone notizie. Un ampio studio osservazionale condotto negli Stati Uniti ha evidenziato un legame tra l’uso delle e-cig e un aumento del rischio di insufficienza cardiaca. I dati parlano chiaro: chi svapa ha un rischio superiore del 19% rispetto a chi non lo fa.
L’insufficienza cardiaca è una condizione grave in cui il cuore non riesce più a pompare sangue in modo efficace. I sintomi più comuni sono affaticamento, fiato corto e gonfiore a gambe e caviglie. Questa patologia può ridurre notevolmente la qualità della vita e, nei casi più gravi, diventare fatale.
I meccanismi del rischio
Secondo i ricercatori, il problema potrebbe essere collegato all’azione della nicotina e di altre sostanze contenute nei liquidi delle e-cig. L’inalazione provoca un aumento della frequenza cardiaca e della pressione sanguigna, oltre a un restringimento delle arterie. Tutti questi fattori mettono sotto sforzo il cuore.
Lo studio suggerisce anche che il vaping possa causare irrigidimento e infiammazione del muscolo cardiaco, due condizioni che favoriscono lo sviluppo di malattie cardiovascolari. Non è ancora stata provata una relazione diretta di causa-effetto, ma la correlazione statistica è significativa e preoccupante.
Quando lo svapo si somma al fumo
I dati diventano ancora più allarmanti se si guarda a chi alterna le sigarette elettroniche a quelle tradizionali. In questo caso, il rischio di insufficienza cardiaca aumenta addirittura del 60%. Un segnale forte che conferma come i due comportamenti, invece di compensarsi, sommino i rispettivi danni.
Un fenomeno in crescita tra i giovani
Le sigarette elettroniche sono nate come alternativa al fumo tradizionale, e spesso vengono pubblicizzate come meno dannose. Tuttavia, negli ultimi anni lo svapo si è diffuso anche tra chi non ha mai fumato. Questo è particolarmente vero tra i giovani, attratti da gusti e aromi e dall’idea che sia un’abitudine meno rischiosa.
Gli esperti avvertono che questo trend potrebbe aprire la strada a nuove generazioni con una salute cardiovascolare compromessa già in giovane età.
L’appello dei ricercatori
“Il nostro studio mostra un chiaro segnale di pericolo. È fondamentale scoraggiare il vaping, soprattutto tra i non fumatori”, hanno dichiarato gli autori della ricerca. Anche se gli scienziati sottolineano che si tratta di uno studio osservazionale, quindi senza la certezza di un rapporto diretto causa-effetto, le evidenze raccolte bastano per invitare alla prudenza.
Le associazioni mediche ricordano che l’unico modo sicuro per proteggere il cuore è evitare sia le sigarette tradizionali che quelle elettroniche.
Conclusione
Le e-cig non sono prive di rischi. Al contrario, sempre più dati scientifici mostrano che possono avere effetti negativi sul cuore e sulla salute in generale. La speranza dei ricercatori è che questi risultati aiutino le persone a riflettere e, soprattutto, a non iniziare a svapare pensando che sia una scelta innocua.
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