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Beauty

Siete tornati dalla vacanze? Bene, ora tutti a dieta detox

L’adozione di alcuni alimenti e abitudini detox può aiutare a rimettersi in forma rapidamente dopo le vacanze, migliorando sia l’aspetto estetico che il benessere generale del corpo.

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    Con il ritorno dalle vacanze, è normale sentirsi appesantiti dopo eccessi alimentari come aperitivi e cene abbondanti. E’ il momento giusto per adottare una dieta detox che possa purificare stomaco, intestino e fegato, aiutando anche a contrastare ritenzione idrica, cellulite e adipe localizzato. Seguire un regime alimentare “clean” per un breve periodo, magari anche solo un giorno alla settimana, può migliorare la pelle e l’energia.

    Perché affrontare una dieta detox

    Una dieta detox aiuta a eliminare le tossine, promuovendo una migliore circolazione venosa e linfatica. La cellulite, ad esempio, è spesso causata da accumulo di scorie nei tessuti e cattiva circolazione. Seguire una dieta ricca di vegetali freschi e stagionali è essenziale. Consumare 1 chilo al giorno di verdure, che sembra tanto ma poi se lo distribuite in cinque pasti, aiuta a ridurre lo stress ossidativo e le alterazioni metaboliche.

    Aiuta stomaco e intestino

    Per una corretta digestione, è consigliabile eliminare tè nero e caffè per almeno due settimane. Optare per infusi come la camomilla aiuta a calmare lo stomaco e favorisce la disintossicazione. Importante è bere molta acqua, preferendo acque oligominerali o bicarbonato-solfato-calciche, che supportano reni, intestino e fegato.

    Detox del fegato

    Per depurare il fegato, gli alimenti ricchi di glutatione, come carote, pomodori e spinaci crudi, sono fondamentali. Integratori di acido alfa-lipoico possono aumentare la produzione di glutatione, mentre l’estratto di cardo mariano protegge il fegato dai danni alcolici.

    I superfood anticellulite

    Superfood come la cipolla di Tropea, ricca di vitamina C e quercetina, migliorano la circolazione e proteggono il tessuto connettivo. Anche frutti di bosco, bacche di goji, e açai sono ottimi per stimolare la circolazione e fornire antiossidanti. Verdure amarognole come cicoria e rucola, infine, sono ideali per supportare la digestione e ridurre la cellulite.

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      Benessere

      Digiuno intermittente: moda, metodo o reale beneficio per la salute?

      Non si tratta di una dieta in senso stretto, ma di un modello alimentare che alterna ore di digiuno e di alimentazione. Gli studi mostrano risultati interessanti sul metabolismo e sulla salute, ma non è adatto a tutti.

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      Digiuno intermittente

        Non una dieta, ma un ritmo

        Il digiuno intermittente non impone cosa mangiare, ma quando farlo. L’idea alla base è di concedere al corpo periodi prolungati senza cibo per stimolare processi fisiologici che, secondo alcune ricerche, migliorerebbero il metabolismo, la sensibilità all’insulina e la capacità di bruciare i grassi.

        Le forme più comuni sono:

        • 16:8 – si digiuna per 16 ore e si mangia nelle 8 successive (ad esempio dalle 12 alle 20);
        • 5:2 – si mangia normalmente per cinque giorni e si riducono drasticamente le calorie in due giornate non consecutive;
        • Eat Stop Eat – prevede uno o due digiuni completi di 24 ore a settimana.

        Secondo il National Institute on Aging statunitense, il digiuno intermittente è una pratica antica, che rispecchia il modo in cui i nostri antenati alternavano periodi di abbondanza a fasi di scarsità.

        Cosa succede nel corpo durante il digiuno

        Dopo circa 8–12 ore senza cibo, i livelli di insulina si abbassano e l’organismo inizia a usare le riserve di grasso come fonte di energia. Questo processo, chiamato chetolisi, è alla base dei potenziali effetti dimagranti del digiuno intermittente.

        Studi pubblicati su Cell Metabolism e The New England Journal of Medicine indicano che l’alternanza tra digiuno e alimentazione può:

        • migliorare la regolazione della glicemia;
        • ridurre i marker di infiammazione;
        • favorire la rigenerazione cellulare tramite autofagia, un processo di “pulizia” interna delle cellule;
        • e, in alcuni casi, contribuire a una lieve perdita di peso.

        Tuttavia, i risultati variano molto da individuo a individuo. Non tutti sperimentano benefici significativi, e alcune persone possono accusare stanchezza, irritabilità o cali di concentrazione nelle prime settimane.

        Benefici potenziali, ma anche limiti

        Secondo una revisione del 2023 dell’Harvard T.H. Chan School of Public Health, il digiuno intermittente può aiutare a migliorare il controllo metabolico e a ridurre il rischio di diabete di tipo 2, ma non è superiore alle diete ipocaloriche tradizionali in termini di perdita di peso a lungo termine.

        Inoltre, non è consigliato per tutti. Donne in gravidanza o allattamento, persone con disturbi alimentari, diabete o problemi ormonali dovrebbero evitare questo regime o adottarlo solo sotto controllo medico.

        Come iniziare in sicurezza

        Chi decide di provare il digiuno intermittente dovrebbe farlo in modo graduale. Alcuni consigli pratici:

        1. Iniziare con un digiuno leggero, ad esempio 12 ore, e aumentare progressivamente.
        2. Bere acqua e tisane durante le ore di digiuno per mantenere l’idratazione.
        3. Evitare abbuffate durante le ore di alimentazione: ciò vanifica gli effetti metabolici.
        4. Ascoltare il corpo: se compaiono debolezza o irritabilità persistente, è meglio sospendere.

        Una scelta da personalizzare

        Il digiuno intermittente può essere uno strumento utile per alcune persone, ma non una soluzione universale. I suoi effetti positivi sembrano legati soprattutto al miglioramento del rapporto con il cibo e alla riduzione del consumo calorico complessivo.

        Come sottolinea la nutrizionista Elena Cattaneo, “il digiuno intermittente non è una scorciatoia per dimagrire, ma un modo per risincronizzare il corpo con i suoi ritmi naturali. Se affrontato con equilibrio e buon senso, può migliorare il benessere generale.”

        Il digiuno intermittente non è una moda passeggera, ma una pratica con basi scientifiche in evoluzione. Può offrire benefici metabolici, ma non sostituisce un’alimentazione equilibrata e uno stile di vita sano.
        Come sempre, la regola è una: mai improvvisare. Prima di cambiare le proprie abitudini alimentari, è fondamentale confrontarsi con un medico o un nutrizionista.

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          Salute

          Zucchero e tumori: tra falsi allarmi e realtà scientifica, cosa dobbiamo davvero sapere

          Il medico nutrizionista Andrea Pontara, dell’Ospedale San Raffaele di Milano, aiuta a fare chiarezza su cosa la scienza dice davvero sul rapporto tra zuccheri, alimenti industriali e rischio oncologico.

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          Zucchero e tumori: tra falsi allarmi e realtà scientifica, cosa dobbiamo davvero sapere

            Scrollando social e blog dedicati alla salute, può sembrare che ogni giorno un nuovo alimento venga additato come “cancerogeno”. Video virali, presunti esperti e titoli allarmistici alimentano il sospetto che la spesa quotidiana sia un percorso a ostacoli pieno di rischi nascosti. Lo zucchero è spesso al centro di questa narrativa: accusato di “nutrire il tumore” o di essere di per sé una sostanza pericolosa.

            La realtà, spiegano gli specialisti, è più complessa e – soprattutto – meno spaventosa. «Lo zucchero non è classificato come cancerogeno» chiarisce il dottor Andrea Pontara, medico dell’Area Nutrizione Clinica e consulente del Programma Trapianti dell’Ospedale San Raffaele. «È un carboidrato semplice: come per molti nutrienti, i problemi nascono dall’eccesso».

            L’idea che abbia un ruolo diretto nella nascita dei tumori deriva da un fraintendimento: sia le cellule malate sia quelle sane utilizzano il glucosio come fonte di energia. Ridurre drasticamente l’apporto di zuccheri nella dieta non “affama” il tumore, e molte diete restrittive che circolano in rete non hanno alcun fondamento scientifico. «Il metabolismo tumorale è estremamente adattabile» ricorda Pontara: eliminare lo zucchero non impedisce la crescita delle cellule cancerose.

            Il vero nodo è indiretto: un consumo elevato di zuccheri favorisce aumento di peso e infiammazione cronica, condizioni associate a un maggior rischio oncologico. Per evitarlo, le linee guida nutrizionali raccomandano che gli zuccheri semplici – quelli naturalmente presenti in frutta e miele o aggiunti a dolci e bevande – non superino il 10-15% dell’apporto calorico giornaliero.

            Altro tema che genera ansia è quello degli alimenti industriali: etichette piene di sigle, additivi, coloranti. Ma anche qui la scienza rassicura: «Gli additivi autorizzati vengono impiegati entro limiti considerati sicuri e controllati dagli enti regolatori» sottolinea Pontara. Il problema riguarda semmai i prodotti ultraprocessati, ricchi di zuccheri, grassi e sale, poveri di fibre e micronutrienti. Il loro consumo frequente peggiora la qualità complessiva della dieta, contribuendo a sovrappeso e problematiche metaboliche. Non è invece dimostrato un rischio oncologico diretto legato agli additivi ammessi per legge.

            Un discorso a parte riguarda l’alcol, su cui le evidenze sono solide: «È associato in modo certo a un aumento del rischio tumorale, in particolare all’apparato digerente» afferma il nutrizionista. Le indicazioni delle società scientifiche sono molto chiare: non esiste una soglia sicura. Chi decide comunque di bere dovrebbe limitarsi a una piccola unità alcolica a settimana per le donne e due per gli uomini.

            Quando si parla di prevenzione oncologica, quindi, non esistono “alimenti nemici” da eliminare in blocco – e tanto meno demonizzazioni che trovano origine sui social. Gli esperti ricordano che i cibi in vendita in Europa devono superare controlli rigorosi da parte di autorità come l’EFSA, che ne valuta la sicurezza periodicamente.

            La vera sfida è l’equilibrio: un biscotto o una marmellata non trasformano il nostro piatto in un pericolo. A fare la differenza sono le abitudini quotidiane, la varietà della dieta, la moderazione dei prodotti industriali e la prevenzione dei fattori che, quelli sì, sono scientificamente correlati ai tumori: sedentarietà, obesità e consumo di alcol.

            In altre parole: non è lo zucchero a essere cancerogeno, è l’eccesso a sottrarre benessere. E la scelta più salutare passa sempre dalla corretta informazione.

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              Salute

              Tatuaggi e sistema immunitario: i colori più comuni restano nei linfonodi per anni

              I ricercatori segnalano un’infiammazione prolungata che può ridurre la capacità difensiva e l’efficacia dei vaccini, sollevando interrogativi sulla sicurezza degli inchiostri più diffusi.

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              Tatuaggi e sistema immunitario

                Un tatuaggio può raccontare storie, passioni o ricordi, ma nuove evidenze scientifiche suggeriscono che i suoi pigmenti più usati non restano confinati alla pelle. I risultati emergono da uno studio internazionale coordinato dall’italiana Arianna Capucetti e da Santiago González dell’Istituto di ricerca in biomedicina di Bellinzona, pubblicato sulla rivista PNAS (Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America). La ricerca, che ha coinvolto dodici gruppi di ricerca in Europa, ha analizzato gli effetti dei pigmenti nero, rosso e verde, più diffusi negli inchiostri per tatuaggi.

                Il dibattito sui possibili effetti dei tatuaggi sulla salute va avanti da anni, soprattutto in relazione al rischio oncologico, senza però prove definitive. Questo nuovo lavoro si concentra sulla tossicità dei pigmenti e sul loro impatto sul sistema immunitario.

                Come agisce l’inchiostro nel corpo

                Lo studio, condotto su topi, ha mostrato che i pigmenti dei tatuaggi vengono rapidamente trasportati dal sistema linfatico ai linfonodi, organi fondamentali per la risposta immunitaria. Qui si accumulano in grandi quantità già poche ore dopo l’inoculazione dell’inchiostro.

                I ricercatori hanno identificato una risposta infiammatoria in due fasi:

                1. Fase acuta, che dura circa due giorni, durante la quale il sistema immunitario reagisce immediatamente alla presenza dei pigmenti.
                2. Fase cronica, che può protrarsi per anni: i pigmenti rimangono intrappolati nei macrofagi, le cellule immunitarie deputate a “digerire” agenti esterni. Non potendo smaltire l’inchiostro, queste cellule muoiono progressivamente, compromettendo la capacità difensiva del linfonodo.

                Gli effetti sono più evidenti con inchiostri rossi e neri, mentre quelli verdi mostrano un impatto minore ma comunque significativo.

                Implicazioni per la salute

                I dati suggeriscono che la presenza cronica di pigmenti nei linfonodi potrebbe:

                • ridurre l’efficacia dei vaccini
                • compromettere la risposta immunitaria a lungo termine
                • generare un’infiammazione silente che persiste per anni

                Gli autori sottolineano la necessità di approfondire ulteriormente i rischi e di sviluppare pigmenti più sicuri o procedure che limitino l’assorbimento sistemico.

                Un problema aggiuntivo è rappresentato dalla grande varietà di pigmenti e combinazioni presenti sul mercato. Nonostante i controlli, episodi di contaminazioni sono stati documentati: nel 2022, ad esempio, nove inchiostri contenenti sostanze potenzialmente cancerogene furono ritirati dal mercato italiano.

                Cosa significa per chi ama i tatuaggi

                L’allerta non significa vietare i tatuaggi, ma invita a un approccio consapevole: conoscere la composizione degli inchiostri, affidarsi a professionisti certificati e restare aggiornati sulle normative e sui controlli sanitari.

                In futuro, lo studio potrebbe orientare lo sviluppo di pigmenti biocompatibili che riducano l’accumulo nei linfonodi e limitino l’infiammazione cronica. Nel frattempo, gli esperti raccomandano prudenza, informazione e attenzione alla qualità degli inchiostri.

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