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Che brutto acne, ma si può combattere

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    Introduzione all’acne

    L’acne è una condizione cutanea comune che si manifesta quando i follicoli piliferi della pelle diventano ostruiti da sebo e cellule morte della pelle. Questa ostruzione può provocare la formazione di comedoni, noti anche come punti neri o bianchi, nonché di pustole, papule e cisti. Il problema può verificarsi su diverse parti del corpo, ma è più comune sul viso, sul collo, sul petto, sulla schiena e sulle spalle.

    Cause e fattori di rischio

    Ci sono diversi fattori che possono contribuire allo sviluppo dell’acne, tra cui l’eccessiva produzione di sebo dalle ghiandole sebacee, i cambiamenti ormonali durante l’adolescenza o la gravidanza, l’accumulo di batteri sulla pelle e la predisposizione genetica. Alcuni fattori di rischio includono anche il fumo, lo stress, l’uso di cosmetici oleosi e alcuni farmaci.

    Manifestazioni e sintomi

    L’acne può manifestarsi sotto forma di comedoni, punti neri o bianchi, pustole, papule e cisti. Può interessare diverse parti del corpo, come il viso, il collo, il petto, la schiena e le spalle.

    Gravità e trattamento

    La gravità dell’acne può variare da lieve a grave e il trattamento dipende dalla sua gravità e dalla causa sottostante. Può includere l’uso di creme o gel topici, farmaci orali, terapie laser o interventi chirurgici per trattare le cicatrici.


    Prevenzione dell’acne

    La prevenzione dell’acne è fondamentale per mantenere una pelle sana e priva di imperfezioni. Ecco alcuni consigli utili per prevenire l’acne:

    1. Mantenere la pelle pulita: Lavare delicatamente il viso due volte al giorno con un detergente delicato può aiutare a rimuovere il sebo in eccesso, le cellule morte della pelle e i batteri che possono contribuire all’insorgenza dell’acne.

    2. Evitare cosmetici oleosi: I prodotti per la cura della pelle e il trucco a base di oli possono ostruire i pori e causare la comparsa di acne. Scegliere prodotti non comedogeni etichettati come “senza olio” può aiutare a prevenire la formazione di comedoni e brufoli.

    3. Seguire una dieta sana: Alcuni studi suggeriscono che una dieta ricca di cibi ad alto indice glicemico, latticini e cibi grassi può contribuire all’acne. Consumare una dieta equilibrata ricca di frutta, verdura, cereali integrali e proteine magre può aiutare a mantenere la pelle sana.

    4. Ridurre lo stress: Lo stress può causare un aumento della produzione di ormoni che possono contribuire all’acne. Praticare tecniche di gestione dello stress come lo yoga, la meditazione o l’esercizio fisico regolare può aiutare a ridurre il rischio di acne da stress.

    Gestione dell’acne

    Se nonostante le precauzioni l’acne si manifesta, esistono diverse strategie di gestione che possono aiutare a trattare efficacemente la condizione:

    1. Utilizzare creme o gel topici: I prodotti contenenti ingredienti come il perossido di benzoile, l’acido salicilico o il retinolo possono aiutare a ridurre l’infiammazione, a sbloccare i pori e a prevenire la formazione di nuovi brufoli.

    2. Farmaci orali: In alcuni casi, il medico potrebbe prescrivere farmaci orali come antibiotici, pillola anticoncezionale o isotretinoina per trattare l’acne più grave o resistente.

    3. Terapie laser o procedure: Alcune persone possono beneficiare di terapie laser, peelings chimici o procedure di microdermoabrasione per ridurre le cicatrici e migliorare l’aspetto della pelle.

    4. Evitare di toccare o schiacciare i brufoli: Manipolare i brufoli può peggiorare l’infiammazione e causare la formazione di cicatrici permanenti. Evitare di toccare o schiacciare i brufoli può aiutare a prevenire danni alla pelle e a ridurre il rischio di cicatrici.

    Conclusione

    L’acne è una condizione comune che può influenzare la qualità della vita delle persone colpite. Conoscere le cause, i sintomi e le opzioni di trattamento può aiutare a gestire efficacemente questa condizione cutanea. Consultare sempre un dermatologo per un trattamento personalizzato e mirato.

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      Beauty

      Techno Aging: quando smartphone e PC accelerano l’invecchiamento della pelle

      Dalla postura scorretta alla luce blu: ecco cosa sapere sul fenomeno del techno aging e come prevenirlo

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      Techno Aging

        L’invecchiamento digitale esiste, e riguarda tutti. Si chiama techno aging e descrive quell’insieme di effetti che l’uso prolungato – e spesso inconsapevole – di smartphone, tablet e computer provoca sul nostro corpo, in particolare sulla pelle. In un’epoca in cui passiamo sempre più ore online, il confine tra benessere e abuso tecnologico diventa sottile. Ed è proprio in quella zona grigia che insorgono nuovi disturbi posturali, difficoltà di addormentamento e un’accelerazione dell’invecchiamento cutaneo.

        Siamo sempre più dipendenti dagli schermi

        Secondo il Digital Report 2025 di We Are Social e Meltwater, il 90% degli italiani utilizza regolarmente Internet e trascorre in media quasi sei ore al giorno online. Quasi metà di questo tempo è occupato dallo smartphone. Un dato che aiuta a spiegare perché condizioni prima rare – come la sindrome del “collo da smartphone” – siano ormai comuni.

        La cosiddetta postura “a testa china”, mantenuta per lunghi periodi, genera tensione a collo, spalle e schiena, cefalee e perfino intorpidimento degli arti superiori. Nel tempo questa posizione accelera la comparsa delle rughe del collo, uno dei segni più tipici del techno aging.

        Luce blu: cosa fa davvero alla pelle

        Oltre ai problemi posturali, l’uso intensivo dei device implica un’esposizione prolungata alla luce blu, emessa dagli schermi. La ricerca dermatologica ha dimostrato che questa componente dello spettro luminoso:

        • penetra in profondità nell’epidermide
        • favorisce la formazione di radicali liberi
        • può danneggiare il DNA cellulare
        • accelera la degradazione di collagene ed elastina
        • può stimolare iperpigmentazione nelle pelli più scure

        Il risultato? Colorito spento, perdita di elasticità e segni del tempo che compaiono prima del previsto.

        A questo si aggiunge un ulteriore effetto: la luce blu influisce sul ritmo circadiano, riducendo la produzione di melatonina e rendendo più difficoltoso addormentarsi. Dormire male, si sa, è un fattore che incide direttamente sull’invecchiamento della pelle.

        La luce blu non è solo un nemico

        Prima di demonizzarla, è importante ricordare che la luce blu ha anche applicazioni benefiche. Non a caso è utilizzata nella fototerapia dermatologica per:

        • acne
        • dermatite atopica
        • psoriasi
        • infiammazione cutanea

        Il problema non è quindi la luce blu in sé, ma l’esposizione prolungata e incontrollata.

        Come proteggersi dal techno aging

        Prevenire l’invecchiamento digitale è possibile con accorgimenti semplici ma efficaci:

        1. Limitare il tempo davanti agli schermi

        Ridurre le ore di utilizzo è la strategia più immediata, soprattutto la sera.

        2. Attivare filtri e modalità “luce notturna”

        Molti dispositivi integrano sistemi che riducono l’emissione di luce blu.

        3. Usare filtri fisici nei prodotti solari

        Ingredienti come ossido di zinco e ossidi di ferro sono gli unici capaci di schermare anche la luce visibile.

        4. Correggere la postura e fare pause regolari

        La regola 20-20-20 (ogni 20 minuti, guardare qualcosa a 20 metri per 20 secondi) aiuta anche gli occhi.

        5. Fare esercizi per il collo e massaggi quotidiani

        Supportano la tonicità muscolare e prevengono cedimenti.

        6. Curare la skincare del collo

        Sieri con antiossidanti, peptidi e retinoidi possono contrastare la perdita di elasticità.

        Il techno aging non è una moda, ma una conseguenza diretta dello stile di vita moderno. Non serve rinunciare alla tecnologia, ma imparare a usarla con maggiore consapevolezza. Proteggere la pelle – e il corpo – da posture scorrette, luce blu e ore davanti agli schermi è il primo passo per un invecchiamento più sano, lento e naturale.

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          Benessere

          Quella voglia improvvisa di dolce: da dove nasce e quando diventa un segnale da non ignorare

          Desiderare zuccheri ogni tanto è normale, ma quando il bisogno diventa frequente o incontrollabile potrebbe essere la spia di uno squilibrio metabolico, emotivo o ormonale.

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          voglia improvvisa di dolce

            Perché arriva quella voglia improvvisa di dolce

            A chi non è mai capitato di cercare un biscotto nel cassetto dell’ufficio o una fetta di torta dopo cena? La voglia di dolce è un fenomeno molto più complesso di quanto sembri e coinvolge cervello, metabolismo e stato emotivo.
            Gli esperti parlano di craving, un desiderio impulsivo e difficile da controllare, spesso legato alle risposte del nostro cervello alle oscillazioni della glicemia o alle emozioni.

            Lo zucchero, infatti, provoca un rapido aumento di dopamina, il neurotrasmettitore del piacere. È lo stesso meccanismo che rende gratificanti molte esperienze: mangiare dolci, anche solo per pochi secondi, genera una sensazione di conforto e appagamento.

            Ma questa “ricompensa” può trasformarsi in un circolo vizioso.

            Le cause più comuni: tra biologia e abitudini

            La voglia di dolce può avere origini molto diverse. Ecco le principali, scientificamente riconosciute.

            Cal cali di glicemia

            Una delle cause più frequenti. Quando il livello di zuccheri nel sangue diminuisce — dopo molte ore senza mangiare o pasti troppo poveri di carboidrati — il corpo segnala al cervello la necessità di energia immediata. I dolci, essendo rapidamente assimilabili, diventano il “richiamo” più forte.

            Stress e ansia

            Secondo diversi studi, lo stress cronico aumenta la produzione di cortisolo, che a sua volta stimola il desiderio di cibi ricchi di zuccheri e grassi. Lo zucchero agisce come “calmante” temporaneo, abbassando la tensione emotiva.

            Poco sonno

            Dormire poco altera i livelli degli ormoni leptina (che induce sazietà) e grelina (che stimola l’appetito). Il risultato? Più fame e soprattutto più voglia di zuccheri.

            Carenza di nutrienti

            Una dieta povera di proteine, fibre o carboidrati complessi può favorire oscillazioni della glicemia che scatenano la voglia di dolce.

            Ciclo mestruale e squilibri ormonali

            Molte donne sperimentano una maggiore attrazione per i dolci nella fase premestruale. Le variazioni di estrogeni e progesterone influenzano la serotonina, regolatrice dell’umore.

            Abitudini radicate

            Il dolce dopo i pasti, lo snack zuccherato durante la pausa, il cioccolatino serale: a volte, la voglia nasce semplicemente da routine consolidate.

            Quando la voglia di dolce diventa un campanello d’allarme

            Avere desiderio di zuccheri è normale. Ma se la sensazione è continuativa, incontrollabile o accompagnata da altri segnali, potrebbe indicare un problema da non sottovalutare.

            Gli esperti invitano a prestare attenzione in questi casi:

            • voglia costante di dolci anche dopo pasti completi
            • stanchezza persistente, soprattutto nel pomeriggio
            • forti oscillazioni di energia
            • fame poco dopo aver mangiato
            • aumento di peso non spiegato

            In particolare, la craving frequente può essere collegata a:

            Insulino-resistenza

            Quando le cellule rispondono meno all’insulina, la glicemia tende ad oscillare e il corpo richiede zuccheri per compensare. È una condizione molto diffusa che può precedere il diabete di tipo 2.

            Ipoglicemia reattiva

            Si verifica quando, dopo aver mangiato cibi molto zuccherati, la glicemia scende rapidamente provocando fame e bisogno di dolci.

            Disturbi dell’alimentazione emotiva

            Mangiare per gestire emozioni difficili — stress, noia, ansia — può sfociare in un rapporto problematico con il cibo.

            Come controllare le voglie senza demonizzare il dolce

            Non serve eliminare completamente gli zuccheri, ma imparare a gestirli.

            Ecco alcune strategie raccomandate da nutrizionisti e ricercatori:

            1. Fare pasti bilanciati: proteine + fibre + grassi buoni rallentano l’assorbimento degli zuccheri.
            2. Evitare lunghi digiuni: mangiare ogni 3–4 ore previene i cali della glicemia.
            3. Dormire almeno 7 ore: migliora la regolazione appetito-sazietà.
            4. Gestire lo stress con attività come camminate, sport, meditazione.
            5. Scegliere dolci di qualità, consumati con consapevolezza e non come risposta automatica a un’emozione.
            6. Aumentare l’introito di carboidrati complessi, come cereali integrali e legumi.

            Il messaggio finale: ascoltare, non reprimere

            La voglia di dolce non è solo un “capriccio” del palato. È un linguaggio del corpo e della mente.
            Capire da dove nasce aiuta a prendersi cura di sé in modo più completo, evitando che una semplice tentazione diventi un segnale ignorato troppo a lungo.

            Con piccoli cambiamenti e un po’ di consapevolezza, è possibile ritrovare equilibrio… senza rinunciare del tutto al piacere di un buon dessert.

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              Salute

              Fibromialgia, la malattia invisibile che colpisce milioni di donne: nuove scoperte sulle cause neuroimmuni

              Oltre 100 milioni di persone nel mondo – e circa 1,5 milioni solo in Italia – convivono con la fibromialgia. Una condizione che non è solo “nella testa”, ma che affonda le sue radici in processi infiammatori del sistema nervoso e in meccanismi autoimmuni, come confermano gli studi più recenti.

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              Fibromialgia

                Dolore diffuso, rigidità muscolare, stanchezza cronica, sonno non ristoratore. Sono questi i sintomi che, giorno dopo giorno, accompagnano chi soffre di fibromialgia, una sindrome cronica ancora poco compresa e spesso sottovalutata. Secondo le ultime stime, la patologia interessa oltre 100 milioni di persone nel mondo e circa 1,5 milioni in Italia, con una netta prevalenza femminile: nove donne per ogni uomo.

                Per molto tempo la fibromialgia è stata considerata un disturbo di origine psicologica, un insieme di sintomi senza una causa organica precisa. Oggi la ricerca smentisce questa visione: si tratta di una vera e propria malattia del sistema nervoso e immunitario, come ha ribadito il recente convegno Controversies in Fibromyalgia svoltosi a Vienna, che ha riunito esperti internazionali di reumatologia e neurologia.

                «La fibromialgia è caratterizzata da un dolore muscolo-scheletrico diffuso, spesso migrante, che può interessare aree diverse del corpo nel tempo», spiega Antonio Puccetti, immunologo clinico e reumatologo del Dipartimento di Medicina sperimentale dell’Università di Genova. «Si accompagna frequentemente a parestesie – sensazioni simili a scariche elettriche – e a disturbi della temperatura corporea, con brividi e sensazioni di caldo-freddo alternati».

                Oltre al dolore, la patologia compromette profondamente la qualità della vita. Molti pazienti lamentano una marcata riduzione dell’energia, difficoltà di concentrazione e alterazioni del ritmo sonno-veglia. «È come vivere costantemente con l’influenza – aggiunge Puccetti –. Ci si sente stanchi, svuotati, incapaci di affrontare le normali attività quotidiane».

                Le cause precise non sono ancora del tutto chiarite, ma un numero crescente di studi punta verso un meccanismo di neuroinfiammazione, ovvero un’infiammazione cronica che coinvolge il cervello, il midollo spinale e le terminazioni nervose periferiche. Analisi istologiche sui pazienti con fibromialgia hanno mostrato una neuropatia delle piccole fibre, cioè un’alterazione delle fibre nervose sottili responsabili della trasmissione del dolore e della sensibilità termica.

                Questa condizione, spiegano i ricercatori, potrebbe essere innescata da una risposta autoimmune anomala, in cui il sistema immunitario attacca erroneamente componenti del sistema nervoso. «Abbiamo individuato meccanismi simili a quelli di altre malattie autoimmuni, come l’artrite reumatoide o i disturbi tiroidei», precisa Puccetti. «La fibromialgia potrebbe quindi rappresentare una nuova forma di patologia neuroimmune».

                Tra i fattori scatenanti emergono infezioni virali, traumi fisici o psicologici e predisposizioni genetiche, che possono alterare il funzionamento del sistema nervoso centrale. In alcuni casi, si osservano correlazioni con patologie come sclerosi multipla, encefaliti e Alzheimer, anche se la ricerca non ha ancora stabilito nessi causali diretti.

                Sul fronte terapeutico, non esiste ancora una cura risolutiva, ma si lavora per ridurre l’infiammazione e modulare la percezione del dolore. Le strategie più efficaci prevedono un approccio combinato: cortisonici a basso dosaggio per attenuare i processi infiammatori, farmaci neuromodulatori per alzare la soglia del dolore e interventi non farmacologici come esercizio fisico graduale, fisioterapia e mindfulness.

                «Oggi è chiaro che la fibromialgia non è una malattia “invisibile” perché immaginaria, ma perché ancora poco riconosciuta», sottolinea Puccetti. «Serve una maggiore consapevolezza tra medici e pazienti per arrivare a diagnosi precoci e trattamenti personalizzati».

                Il 12 maggio, in occasione della Giornata mondiale della fibromialgia, l’appello della comunità scientifica è univoco: continuare a investire nella ricerca per comprendere a fondo i meccanismi neuroimmuni alla base della malattia e restituire voce – e sollievo – a milioni di persone che convivono ogni giorno con un dolore tanto reale quanto invisibile.

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