Beauty
Face Shape, il photoshop del reale
Se lavorate con le immagini digitali sul web conoscerete certamente Photoshop. Magari anche solo per ritoccare le foto delle vostre vacanze. Sappiate che da oggi esiste il suo equivalente anche nella vita reale! I principi base su cui si muove la tecnica del cosiddetto Face Shape riguardano le forme del viso (da cui il termine inglese), per definire al meglio il taglio di capelli e, in generale, lo stile personale. Permettendo anche un abbinamento ottimale di tutti quegli accessori che valorizzano il viso, lo studio delle sopracciglia per l’eventuale correzione delle asimmetrie, le scollature e ovviamente il make up in senso più stretto.
Una rivoluzione nel settore dell’immagine
La sua utilità è quella di armonizzare e valorizzare il volto tenendo conto delle sue caratteristiche morfologiche, stilistiche ed anche psicologiche. Una nuova tendenza estetica che sta rivoluzionando il mondo del trucco, oltre a permettere inedite opportunità lavorative e di crescita professionale nei settori dell’immagine e della bellezza. In ruoli da consulente, truccatrice o truccatore, parrucchiere ed estetista. Prima di intervenire, il Face Shape viene provato sul soggetto anche grazie all’uso della tecnologia.
Parla una specialista
“Noi tutti – spiega Sara Marcolongo, una specialista d’immagine che ha iniziato come parrucchiera – sappiamo indistintamente da donna a uomo, che se il capello è sistemato, tutto appare più ordinato e di conseguenza, anche il nostro stato d’animo migliora. Con la valorizzazione del proprio hair look, il nostro aspetto viene subito potenziato anche se ci sono dei giorni dove vorremmo sperimentare acconciature diverse ma si sa che di primo acchito il cambiamento è associato ad un sinonimo di paura, perché se avessimo una sfera di cristallo che ci mostri il futuro andremmo a colpo sicuro, invece non è ancora stata inventata. Attraverso la tecnica del Face Shape si potranno valorizzare nel modo giusto capelli, make up, bijoux, gli occhiali, gli accessori per capelli e anche la scollatura, dando così risalto ai suoi punti di forza del viso e minimizzando le criticità.
Il movimento delle linee che disegnano il volto
Prosegue la Marcolongo: “Quando osserviamo un viso dobbiamo considerare la relazione tra le sue parti e il movimento delle linee che lo compongono. Il movimento, curvo, diritto o una combinazione tra i due, disegna la silhouette di un volto, determinando la sua forma. Nello specifico potremo avere un viso ovale, tondo, squadrato, allungato, a triangolo, a triangolo invertito e a diamante. Una volta determinata la forma dovremo concentrarci primo sulla direzione delle sue linee interne – orizzontale, verticale e diagonale – e poi sulla proporzione tra i diversi elementi quali occhi, fronte e bocca”.
Quanto costa
Una consulenza di questo genere varia da un minimo di 90-100 euro fino a superano i mille euro. Infatti per eventi speciali (un matrimonio), una consulente d’immagine Face Shape resta tutto il giorno a disposizione del cliente, supportandolo in eventuali cambi di look in base alle esigenze e ai momenti.
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Salute
Intossicazioni alimentari durante le feste: quando il Natale finisce al pronto soccorso
Dai sintomi più lievi ai casi che richiedono un intervento urgente: ecco come riconoscere un’intossicazione alimentare, cosa fare subito e quando il rischio diventa serio.
Le festività natalizie sono da sempre sinonimo di convivialità e tavole imbandite, ma ogni anno, proprio in questo periodo, aumentano i casi di intossicazione alimentare. Un fenomeno tutt’altro che raro, favorito dall’elevato consumo di cibi elaborati, dalla preparazione anticipata dei piatti e da una gestione non sempre attenta della catena del freddo. Secondo i dati della sanità pubblica, le infezioni di origine alimentare tendono a crescere nei periodi festivi, quando i pasti fuori casa e i grandi pranzi familiari diventano la norma.
Cos’è un’intossicazione alimentare
L’intossicazione alimentare è una condizione causata dall’ingestione di alimenti o bevande contaminati da batteri, virus, parassiti o dalle tossine da essi prodotte. Tra i microrganismi più frequentemente coinvolti figurano Salmonella, Campylobacter, Escherichia coli, Listeria monocytogenes e Norovirus. In alcuni casi non è il germe in sé a provocare i disturbi, ma le tossine già presenti nel cibo.
I sintomi più comuni
I disturbi possono comparire da poche ore fino a diversi giorni dopo il consumo dell’alimento contaminato, a seconda dell’agente responsabile. I segnali più frequenti includono nausea, vomito, diarrea, crampi addominali, febbre e senso di debolezza. Nelle forme lievi, i sintomi si risolvono spontaneamente nell’arco di 24-72 ore. Tuttavia, non sempre va così.
Quando preoccuparsi
Esistono situazioni in cui l’intossicazione alimentare può diventare pericolosa per la vita. Febbre molto alta, disidratazione severa, sangue nelle feci, vomito persistente o stato confusionale sono campanelli d’allarme che richiedono un consulto medico immediato. Particolare attenzione va riservata a anziani, bambini piccoli, donne in gravidanza e persone con sistema immunitario compromesso, più esposti a complicanze gravi, come sepsi o danni neurologici, soprattutto in caso di infezione da Listeria.
Cosa fare ai primi sintomi
In presenza di disturbi lievi, la prima regola è reidratarsi: acqua, soluzioni saline e tisane aiutano a reintegrare i liquidi persi. È consigliabile sospendere temporaneamente cibi pesanti, latticini e alcol, privilegiando una dieta leggera. Gli antibiotici non vanno assunti senza indicazione medica, perché spesso inutili o addirittura controproducenti nelle infezioni virali.
Se i sintomi peggiorano o persistono oltre due giorni, è fondamentale rivolgersi al medico o al pronto soccorso.
Gli alimenti più a rischio durante le feste
Durante il periodo natalizio, i cibi più spesso coinvolti sono uova crude o poco cotte, maionese fatta in casa, dolci con creme, carni poco cotte, pesce crudo o affumicato e piatti lasciati a temperatura ambiente troppo a lungo. Anche la conservazione impropria degli avanzi rappresenta una delle principali cause di contaminazione.
Prevenzione: la vera arma
La prevenzione resta lo strumento più efficace. Lavare accuratamente le mani, cuocere bene gli alimenti, rispettare le temperature di conservazione e consumare i piatti entro tempi sicuri riduce drasticamente il rischio. In cucina, soprattutto durante le feste, l’attenzione ai dettagli può fare la differenza.
Feste sì, ma in sicurezza
Godersi il Natale e il Capodanno è possibile senza rinunce, purché si mantenga un approccio consapevole. Riconoscere i segnali di un’intossicazione alimentare e sapere quando intervenire permette di trasformare un potenziale pericolo in un semplice incidente di percorso, evitando conseguenze ben più serie.
Salute
Cibo scaduto: si può mangiare davvero o è sempre un rischio?
Sicurezza alimentare, sprechi e buon senso: cosa dicono le regole, quali prodotti non vanno mai consumati dopo la scadenza e quando, invece, è possibile valutare caso per caso.
Aprire la dispensa e trovare un prodotto appena scaduto è un’esperienza comune. La domanda sorge spontanea: si può consumare o va buttato senza esitazioni? La risposta non è sempre la stessa e dipende da un dettaglio fondamentale spesso ignorato: il tipo di data indicata sull’etichetta.
Le due scadenze che non sono uguali
Sulle confezioni alimentari compaiono principalmente due diciture. La prima è “da consumarsi entro”, che indica una vera e propria data di scadenza. Superato quel termine, il prodotto può rappresentare un rischio per la salute e non dovrebbe essere mangiato. È il caso di alimenti altamente deperibili come carne fresca, pesce, latte fresco, formaggi molli e piatti pronti refrigerati.
La seconda dicitura è “da consumarsi preferibilmente entro”, che segnala invece il termine minimo di conservazione. Oltre quella data il cibo può aver perso parte delle sue caratteristiche organolettiche – gusto, profumo, consistenza – ma non è automaticamente pericoloso, se conservato correttamente e se la confezione è integra.
Quali alimenti possono durare di più
Prodotti secchi o a lunga conservazione come pasta, riso, biscotti, legumi secchi, conserve, farina e zucchero possono spesso essere consumati anche settimane o mesi dopo il termine minimo, purché non presentino muffe, odori anomali o infestazioni. Lo stesso vale per molti prodotti in scatola, che restano sicuri finché il contenitore non è gonfio, arrugginito o danneggiato.
Attenzione agli alimenti a rischio
Diverso il discorso per cibi che favoriscono la proliferazione batterica. Uova, latticini freschi, carne cruda, salumi affettati e pesce non dovrebbero mai essere consumati oltre la data di scadenza vera e propria. In questi casi, il rischio di intossicazioni alimentari supera di gran lunga il beneficio di evitare uno spreco.
L’importanza della conservazione
La data in etichetta vale solo se il prodotto è stato conservato correttamente. Un alimento lasciato fuori dal frigorifero, esposto al caldo o aperto da tempo può deteriorarsi ben prima della scadenza indicata. Per questo è fondamentale seguire le istruzioni riportate sulla confezione e, una volta aperto il prodotto, consumarlo entro i tempi suggeriti.
I sensi come alleati (ma non sempre sufficienti)
Osservare, annusare e assaggiare con cautela può aiutare a capire se un alimento è ancora buono, ma non è una garanzia assoluta di sicurezza. Alcuni microrganismi pericolosi, infatti, non alterano né l’odore né l’aspetto del cibo. Per questo il buon senso deve sempre accompagnarsi alle regole di base della sicurezza alimentare.
Meno sprechi, più consapevolezza
Conoscere la differenza tra le varie date di scadenza aiuta non solo a tutelare la salute, ma anche a ridurre lo spreco alimentare, un problema sempre più rilevante. Buttare cibo ancora sicuro significa sprecare risorse, ma consumare alimenti realmente scaduti può avere conseguenze serie.
La regola d’oro
In caso di dubbio, meglio non rischiare. La sicurezza viene prima di tutto. Ma imparare a leggere correttamente le etichette permette di fare scelte più informate, responsabili e sostenibili, senza rinunciare al buon senso.
Salute
Prurito cronico: quando il campanello d’allarme non è solo la pelle
Dalle malattie dermatologiche ai disturbi interni, fino allo stress e agli squilibri metabolici: cosa può indicare il prurito persistente e quando è il caso di approfondire.
Il prurito è una sensazione fastidiosa e spesso sottovalutata. Quando però diventa cronico, cioè persiste per più di sei settimane, smette di essere un semplice disturbo cutaneo e può trasformarsi in un vero segnale d’allarme. In molti casi, infatti, non è legato solo a problemi della pelle, ma può indicare condizioni sistemiche, neurologiche o psicologiche che meritano attenzione.
Non solo dermatite: le cause più comuni
Le malattie della pelle restano la causa più frequente di prurito: dermatite atopica, psoriasi, orticaria cronica, micosi o infestazioni come la scabbia. In questi casi il prurito è spesso accompagnato da arrossamenti, desquamazioni o lesioni visibili. Tuttavia, quando la cute appare apparentemente normale, è necessario guardare oltre.
Il legame con gli organi interni
Il prurito cronico può essere un sintomo di malattie sistemiche. Disturbi del fegato, come colestasi o cirrosi, sono noti per provocare prurito diffuso, spesso più intenso di notte e senza eruzioni cutanee evidenti. Anche le patologie renali croniche, soprattutto nelle fasi avanzate, possono manifestarsi con un prurito persistente e difficile da controllare.
Non vanno trascurati nemmeno i disturbi della tiroide: sia l’ipertiroidismo sia l’ipotiroidismo possono alterare l’equilibrio cutaneo, causando secchezza e prurito. In alcuni casi, il sintomo è stato associato anche a diabete e ad alterazioni del metabolismo.
Prurito e sangue: quando indagare
Alcune malattie ematologiche, come l’anemia sideropenica o patologie più rare come i linfomi, possono avere tra i primi segnali proprio il prurito generalizzato. È un sintomo poco specifico, ma se associato a stanchezza, perdita di peso o sudorazioni notturne, richiede accertamenti mirati.
Il ruolo del sistema nervoso
Esiste anche un prurito di origine neurologica, legato a lesioni o disfunzioni dei nervi periferici o centrali. In questi casi, la sensazione può essere localizzata, intermittente o accompagnata da formicolii e bruciore, senza segni cutanei evidenti.
Stress, ansia e fattori psicologici
Non va infine sottovalutato l’impatto della sfera emotiva. Stress cronico, ansia e depressione possono amplificare la percezione del prurito o addirittura esserne la causa principale. Il cosiddetto prurito psicogeno tende a peggiorare nei momenti di tensione e può instaurare un circolo vizioso tra disagio emotivo e disturbo fisico.
Quando rivolgersi al medico
Un prurito che dura nel tempo, non risponde ai trattamenti comuni o si accompagna ad altri sintomi generali non dovrebbe essere ignorato. Il medico, attraverso anamnesi, esami del sangue e visite specialistiche, può individuare l’origine del problema e impostare una terapia adeguata.
Ascoltare il corpo
Il prurito cronico non è solo un fastidio da sopportare. È un messaggio del corpo che chiede attenzione. Intercettarlo in tempo significa non solo migliorare la qualità della vita, ma anche individuare precocemente condizioni che, se trascurate, potrebbero diventare più serie.
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