Salute
Sette giorni senza zucchero: la sfida che cambia corpo e mente
Non si tratta di eliminare completamente il dolce, ma di riconoscere l’effetto subdolo degli zuccheri nascosti e ristabilire un rapporto più sano con il cibo. Sette giorni possono fare la differenza.
Lo zucchero è ovunque: nei dolci, certo, ma anche nei prodotti industriali più insospettabili, dove viene impiegato come conservante, insaporitore, edulcorante. Non è solo una questione di gusto, ma di salute. Un consumo eccessivo di zucchero può portare a spossatezza, difficoltà di concentrazione, cefalea, sbalzi d’umore, gonfiore addominale e problemi digestivi. Dopo mesi di fastidi ricorrenti, abbiamo deciso di sperimentare una settimana senza zuccheri aggiunti. La scelta è nata da una riflessione su quanto questo ingrediente sia presente nella dieta di tutti i giorni. Dai cereali per la colazione ai sughi pronti, passando per marmellate, bevande e snack.
Secondo i Livelli di Assunzione di Riferimento di Nutrienti ed Energia per la popolazione italiana (LARN), gli zuccheri totali non dovrebbero superare il 15% del fabbisogno giornaliero, di cui quelli aggiunti limitati al 5-10%. Con questa consapevolezza, abbiamo deciso di eliminare gli zuccheri raffinati, scegliendo conserve senza zuccheri aggiunti, cereali integrali, yogurt bianco e pasti freschi cucinati in casa. Ma perchè sette giorni? E’ il tempo minimo per interrompere il circolo vizioso della dipendenza da zuccheri, aiutando il corpo a ristabilire una sensibilità più equilibrata del gusto e della risposta insulinica. Secondo la biologa nutrizionista Francesca Beretta, una settimana di detox può portare a maggiore lucidità mentale, gestione più stabile delle emozioni, energia più costante e riduzione del gonfiore. Ma quanto male fanno gli zuccheri? Il glucosio è essenziale per il nostro corpo, ma un eccesso di zuccheri semplici è dannoso. Alterano la sensibilità insulinica, favoriscono l’accumulo di grasso viscerale, aumentano il rischio di sindrome metabolica e accelerano l’invecchiamento cellulare.
Primo giorno: mal di testa da scoppiare
Abbiamo affrontato la giornata senza zuccheri aggiunti, senza cioccolato, gelati, caramelle, senza la consueta coccola dopo i pasti. La colazione è stata una bowl di yogurt bianco con banana, mirtilli, semi di lino e granella di pistacchi. A pranzo, un’insalata con rucola, ceci, carote e finocchi, mentre la cena ha visto orata al forno con verdure e patata americana. Il mal di testa è arrivato presto, insieme a un senso di spossatezza e un desiderio di dormire ovunque. Era già astinenza.
Secondo giorno: completa astinenza di zucchero
Al risveglio, il desiderio di zucchero era forte. La giornata è iniziata con porridge di avena con aggiunta di lamponi e scaglie di mandorle, cioccolato fondente all’85% per un po’ di sollievo. A pranzo riso venere con zucchine e gamberetti, a cena zuppa di legumi con radicchio di campo. Il mal di testa era presente ma attenuato, la voglia di dolci ancora forte, ma il controllo su di essa progrediva veloce.
Terzo giorno: un benefico picco di energia
La stanchezza mattutina persisteva, ma nel resto della giornata si è sentito chiaramente un picco di energia. Il gonfiore addominale, molto forte nei primi giorni, ha iniziato a ridursi. La colazione era a base di pane di segale, yogurt di soia e mela cotta con cannella. A pranzo, spaghettini di soia con verdure saltate, a cena spiedini di pollo con insalata di finocchi e arance. I vestiti hanno iniziato a risultare più comodi. Una moivazione in più per continuare a vivere senza zucchero.
Quarto giorno: sonno più profondo e rigenerante
Sette ore di sonno senza interruzioni, cosa che non accadeva da mesi. Al risveglio ci si sente più tonici, e il viso appare più disteso, con pelle compatta e senza occhiaie. Il gonfiore addominale, presente nei giorni precedenti, sparito e la concentrazione è rimasta alta per tutto il giorno. A colazione pane integrale con marmellata senza zuccheri e mirtilli, a pranzo polpo e patate con pomodorini e rucola, a cena dahl di lenticchie rosse e spinaci. Come spuntini, qualche anacardo con una pera al mattino e yogurt bianco nel pomeriggio.
Quinto giorno: gioia interiore
Nessun mal di testa. Gli arti sembrano più snelli e il gonfiore era sparito. Riduzione della ritenzione idrica e circonferenza coscia diminuita di un paio di centimetri. Nel menu: chia pudding con kiwi e burro di mandorle a colazione, centrifugato con arancia, carota e limone come spuntino, burrito integrale con yogurt greco, fagioli rossi, peperoni e insalata iceberg a pranzo. Nel pomeriggio, yogurt bianco con ananas e menta. A cena verdure grigliate e scaloppine di tacchino con funghi champignon. Zucchero non ti temo.
Sesto giorno: nuova energia da impiegare
Una giornata con un alta quota di energia in più. La vera soddisfazione? Sedersi a tavola con serenità, senza la sensazione di appesantimento dopo i pasti. Per colazione pane di segale con quark e ribes, per lo spuntino noci pecan e kiwi, a pranzo pasta integrale con feta, pomodorini e basilico accompagnata da broccoli al vapore. Nel pomeriggio un frullato con bevanda vegetale alla mandorla e banana, mentre a cena polpettine di legumi fatte in casa al sugo con verdure gratinate.
Settimo giorno: finisce in gloria…
Astenia, mal di testa, difficoltà di concentrazione? Scomparsi. La voglia irrefrenabile di dolci si è ridotta a episodi isolati. Il peso è rimasto lo stesso, ma il corpo ha assunto forme più armoniche. A colazione latte scremato con muesli, frutti rossi e mandorle, a metà mattina fragole e nocciole, a pranzo riso integrale con asparagi e parmigiano, per merenda bastoncini di carote con hummus di ceci, infine a cena minestrone di verdure con piselli e frittata di spinaci e porri.
Conclusioni? Non ne abbiamo…
Dopo una settimana con gli zuccheri controllati non sarà semplice il ritorno alla normalità, subentreranno nuove abitudini. Come spiega la biologa nutrizionista Francesca Beretta, la sfida deve continuare con un’attenzione maggiore alla qualità degli alimenti e alle etichette, senza demonizzare gli zuccheri, ma rieducando il corpo a un consumo più equilibrato I benefici saranno equamente distribuiti lungo tutto il nostro corpo e le sue funzioni vitali. L’eccesso di zuccheri, per esempio, può alterare la flora batterica intestinale, favorendo batteri fermentativi che causano gonfiore e discomfort intestinale. Eliminandoli e aumentando il consumo di cibi integrali, verdure fresche e fermentati naturali, il transito intestinale migliora, così come la digestione e la regolarità. Ma non solo. Potremmo scoprire di non aver bisogno d tutto quel cibo che ci ingolfava anche “l’anima”, fino a sette giorni prima. Questo perché si riduce il craving di zuccheri, e il corpo regola meglio il senso di fame e sazietà. Picchi glicemici più contenuti e una dieta ricca di fibre rendono il senso di sazietà più duraturo e naturale.
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Salute
Smartphone in bagno? L’abitudine “innocente” che può danneggiare la salute
Portare il telefono con sé al WC è diventato un rito quotidiano. Ma trattenersi più del necessario in quella posizione aumenta la pressione sulle vene della zona anale e può concorrere alla comparsa di disturbi come le emorroidi. Per gli esperti, la regola è semplice: meno schermo, più rapidità.
Ammettiamolo: il cellulare in bagno è ormai il nostro inseparabile compagno. Un messaggino, due scroll sui social, un video da finire… e quei pochi minuti si trasformano in una sosta molto più lunga del previsto. È un’abitudine comunissima, soprattutto nei Paesi occidentali, eppure non è esattamente un toccasana.
La posizione seduta sul water, spiegano i professionisti della salute – dai gastroenterologi ai fisioterapisti del pavimento pelvico – non è pensata per essere mantenuta a lungo. Quando ci intratteniamo oltre il necessario, magari distratti da notifiche e feed infiniti, si crea una pressione continua sulle vene situate all’interno e intorno all’ano. Questo può favorire l’insorgenza o l’aggravamento delle emorroidi, un disturbo molto diffuso, che colpisce uomini e donne di ogni età.
Gli specialisti ricordano che, da seduti sul WC, i muscoli del pavimento pelvico restano in tensione. Inoltre, la circolazione venosa della parte bassa del bacino può risultare meno fluida rispetto alla postura eretta. Il problema non nasce da un singolo episodio, ma dalla ripetizione quotidiana di questa abitudine: un “rituale digitale” che, prolungandosi negli anni, può trasformarsi in un fattore di rischio.
Non a caso, numerosi medici suggeriscono di limitare la permanenza in bagno allo stretto necessario: idealmente non più di pochi minuti. Non perché ci sia una soglia universale e definitiva, ma perché il tempo aggiuntivo spesso non serve a nulla. È la distrazione del telefono a farci restare ben oltre il momento in cui il nostro corpo ha già completato la sua funzione fisiologica.
Segnali da non trascurare
Se dopo essere andati in bagno compaiono sangue sulla carta igienica, dolore, sensazione di peso o piccoli rigonfiamenti percepibili al tatto, è importante non ignorare i sintomi e rivolgersi al proprio medico o a uno specialista. Le emorroidi, nella maggior parte dei casi, vengono gestite con trattamenti conservativi o cambiando alcune abitudini quotidiane. Evitare lunghe sedute sulla toilette, curare l’alimentazione e mantenere una corretta idratazione sono tra le misure più citate nella prevenzione.
Un’occasione per rallentare davvero
C’è poi un altro aspetto tutt’altro che secondario: il tempo. Restare incollati allo schermo mentre si è in bagno è… semplicemente una perdita di minuti che potremmo impiegare molto meglio. Gli esperti del benessere invitano a riflettere sull’opportunità di trasformare la sosta in bagno in un momento di autenticità: niente schermi, niente distrazioni. Un piccolo esercizio di attenzione al corpo e a ciò che ci chiede.
In fondo, la soluzione più semplice è anche la più salutare: lasciare lo smartphone fuori dalla porta e ricordarsi che la toilette non è una sala d’attesa digitale. Una volta completata la missione, alzarsi e tornare alle proprie attività. Un gesto banale che può fare la differenza nel lungo periodo.
Perché sì: meno tempo sul water significa più tempo di vita reale.
Salute
Estrogeni: gli ormoni chiave per la salute femminile oltre la fertilità
Dal controllo del colesterolo alla protezione dalle fratture, dal buonumore alla lubrificazione vaginale, gli estrogeni regolano numerosi aspetti della vita di una donna. Ecco come agiscono e quando intervenire con stile di vita o terapie mirate.
Gli estrogeni sono noti come gli ormoni femminili per eccellenza, essenziali per la riproduzione. Ma il loro ruolo va ben oltre la fertilità: sono presenti in ossa, cuore, fegato, intestino e vasi sanguigni, dove attivano recettori specifici che regolano funzioni cellulari fondamentali. «Sono una sorta di linfa vitale che nutre il corpo femminile», spiega la professoressa Alessandra Graziottin, direttore del Centro di ginecologia e sessuologia medica all’ospedale San Raffaele Resnati di Milano.
Gli estrogeni funzionano al meglio se bilanciati con il progesterone, prodotto dalle ovaie o sostituito da progestinici. Uno squilibrio, una riduzione drastica o l’assenza di progesterone può generare numerosi problemi di salute.
Cuore e pressione sotto controllo
«Gli estrogeni dilatano i vasi sanguigni, mantengono stabile la pressione e regolano il colesterolo», precisa la professoressa Stefania Piloni, ginecologa e docente di fitoterapia. Quando calano, aumentano i rischi di ipertensione, aterosclerosi, infarto e ictus, soprattutto in menopausa. Per ridurre i danni, è utile uno stile di vita sano: no al fumo, attività fisica regolare, peso forma e dieta ricca di fitoestrogeni come legumi, semi di lino e frutti di bosco. Al contrario, è bene limitare alcol, zuccheri e carni provenienti da allevamenti convenzionali.
Ossa forti e scheletro protetto
Gli estrogeni favoriscono la formazione ossea e il fissaggio del calcio. La loro riduzione, fisiologica in menopausa, può portare all’osteoporosi. Anche in età fertile, cali dovuti a dimagrimenti estremi o attività fisica eccessiva possono compromettere la produzione ormonale e aumentare il rischio di fratture. Integrare calcio, vitamina D e silicio è utile, dopo consulto medico.
Seno e mammella
Durante il ciclo, un eccesso di estrogeni rispetto al progesterone può provocare mastodinia o tensione mammaria. In caso di mastopatia fibrocistica, benigni noduli al seno, è sufficiente un monitoraggio periodico: la condizione tende a risolversi in menopausa, quando il calo degli estrogeni trasforma le cisti in tessuto adiposo.
Sessualità e lubrificazione
Gli estrogeni regolano anche la lubrificazione vaginale. Un calo, dovuto a stress, pillola anticoncezionale o menopausa, può causare secchezza, bruciore e dolore durante i rapporti sessuali. I rimedi includono gel lubrificanti a base di aloe o acido ialuronico, e in menopausa, prodotti a base di estriolo sotto controllo medico.
Cervello, umore e intestino
Gli estrogeni influenzano memoria, apprendimento e umore, agendo anche sul microbiota intestinale, che produce serotonina. Fluttuazioni ormonali possono provocare ansia, tristezza, stipsi e gonfiore. Rimedi naturali includono agnocasto, magnesio e triptofano, mentre nei casi più gravi si può ricorrere a una pillola per la sindrome premestruale o a terapia ormonale sostitutiva.
Terapia ormonale sostitutiva
Dopo la menopausa, la TOS con estradiolo bioidentico, combinato a progesterone naturale, può ridurre infarto, ictus e osteoporosi, migliorare l’umore e le funzioni cognitive. Per chi preferisce approcci naturali, i fitoestrogeni da soia, trifoglio rosso e semi di lino, integrati da fitoprogestinici, sono una valida alternativa.
Estrogeni, età per età
- 20 anni: massimi livelli, ma forti dimagrimenti li riducono rapidamente.
- 40 anni: inizio della pre-menopausa, produzione di estradiolo in calo.
- 50 anni: assenza di protezione naturale; TOS e stile di vita sano riducono i rischi cardiovascolari e ossei.
Salute
Sindrome compartimentale: quando un dolore diventa un’emergenza
La sindrome compartimentale è una condizione in cui la pressione all’interno dei muscoli aumenta oltre i limiti fisiologici, compromettendo circolazione e funzionalità dei tessuti. Dalle cause ai sintomi, fino ai trattamenti: ecco cosa sapere per intervenire rapidamente e in sicurezza.
Un problema di pressione che può mettere a rischio i muscoli
La sindrome compartimentale è una condizione clinica caratterizzata da un aumento anomalo della pressione all’interno dei compartimenti muscolari — zone delimitate da fasce rigide che non si espandono. Quando la pressione interna supera quella dei vasi sanguigni, il sangue fatica a raggiungere i tessuti, che rischiano danni anche irreversibili.
Gli specialisti distinguono due forme principali:
- acuta, considerata un’emergenza medica, spesso conseguenza di traumi o fratture;
- cronica da sforzo, più comune negli sportivi, che si manifesta gradualmente durante allenamenti intensi.
Le cause più frequenti
La forma acuta si osserva in situazioni come:
- fratture, soprattutto a tibia e avambraccio;
- contusioni importanti;
- ustioni estese;
- utilizzo di bendaggi o gessi troppo stretti;
- sanguinamenti interni dovuti a traumi o a farmaci anticoagulanti.
La forma cronica colpisce invece soprattutto chi pratica sport ripetitivi — corridori, ciclisti, militari — dove il continuo aumento del volume muscolare durante lo sforzo genera una pressione eccessiva all’interno della fascia.
Come riconoscerla: i sintomi che non vanno ignorati
Il segnale principale è il dolore intenso e sproporzionato rispetto al tipo di trauma o di sforzo. È un dolore che non migliora con gli antidolorifici e che aumenta quando si cerca di muovere il muscolo interessato.
Altri sintomi tipici includono:
- gonfiore marcato e aumento della tensione del muscolo;
- formicolii o perdita di sensibilità;
- debolezza muscolare;
- pallore e freddo dell’area colpita;
- nelle forme avanzate, assenza di polso periferico (segno grave).
La forma cronica si presenta in modo più graduale: dolore, rigidità e bruciore compaiono durante l’attività fisica e scompaiono dopo alcuni minuti di riposo.
Diagnosi e trattamenti: quando serve la chirurgia
Per la forma acuta, la diagnosi è spesso clinica e può essere confermata tramite misurazione invasiva della pressione intracompartimentale. Il trattamento è una vera corsa contro il tempo: l’unica terapia risolutiva è la fasciotomia, un intervento chirurgico che libera il muscolo dalla pressione e ripristina il flusso sanguigno. Se si interviene nelle prime ore, la maggior parte delle persone recupera pienamente; ritardi possono portare a necrosi muscolare e complicanze permanenti.
La forma cronica, invece, viene gestita con un approccio conservativo quando possibile:
- modifica del tipo e dell’intensità dell’allenamento;
- stretching regolare;
- fisioterapia mirata;
- scarpe o supporti ortopedici adeguati.
Se i sintomi persistono nonostante i cambiamenti nelle abitudini sportive, anche in questo caso può essere indicata una fasciotomia, sebbene in forma programmata e non d’urgenza.
Prevenzione: ascoltare il corpo è la prima regola
Ridurre il rischio di sindrome compartimentale significa prestare attenzione ai segnali del corpo, evitare eccessi negli allenamenti e assicurarsi che bendaggi, tutori o gessi non siano mai troppo stretti. Per chi pratica sport intensivi, programmare un incremento graduale dei carichi riduce notevolmente il rischio di sviluppare la forma cronica.
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