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Moda e modi

Eyeliner cat-eye e labbra rosse: il makeup di Taylor Swift simbolo del girl-power

Il guardaroba di Taylor Swift è conosciuto nei minimi dettagli, ma il makeup della popstar rimane un enigma. Il suo rossetto rosso e l’eyeliner cat-eye sono diventati una firma stilistica, e nonostante nessun marchio ne rivendichi la paternità, il 42% della GenZ americana desidera un brand beauty firmato Swift. Scopri di più su come il suo look semplice e riconoscibile alimenta la curiosità dei fan e rafforza il loro legame con la star.

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    Mentre del guardaroba di Taylor Swift si conosce ogni dettaglio – dai nomi dei brand che la vestono, ai modelli disegnati apposta per lei, fino agli accessori che indossa nei tour e nei video – il makeup della popstar rimane un enigma. Il rossetto rosso e l’eyeliner cat-eye sono la firma distintiva del suo look da sempre. Tuttavia, nessun marchio ne rivendica la paternità, nonostante il potenziale commerciale evidente. Infatti, il 42% della GenZ americana desidera che Taylor fondi un proprio brand beauty (fonte: Statista), e Cosmetify ha rilevato un aumento del 669% nelle ricerche su Google di “red lipstick” ogni volta che Taylor appare in pubblico.

    L’enigma del makeup di Taylor Swift

    La makeup artist personale di Taylor Swift, riceve incessanti richieste di informazioni da fan e giornalisti. Tuttavia, tramite la sua agenzia, fa sapere che non può rivelare alcun dettaglio sul trucco della star. Anche Jemma Muradian, storica hairstylist di Taylor, mantiene il segreto. Sul web, però, proliferano i siti che cercano di individuare i prodotti utilizzati dalla cantautrice. Uno dei più autorevoli è TaylorSwiftStyle.com, creato dalla “swiftologa” e fashion blogger Sarah Chapelle. Il sito elenca 9 lipstick e relative sfumature di rosso che Taylor avrebbe usato nel corso degli anni: da un caldo rosa anguria a un intenso rosso/blu. Anche se non si può confermare che siano realmente i rossetti di Taylor, i primi due della lista sono andati sold out.

    Il significato del rossetto rosso di Taylor Swift

    Ma perché Taylor Swift sceglie sempre il rossetto rosso? Secondo Valentina Farinon, ricercatrice universitaria che ha collaborato al corso “Psychology of Taylor Swift – Advanced Topics of Social Psychology” presso l’Arizona State University, “è il colore che Swift ha scelto per trascendere le varie ‘ere’”. È un simbolo di eleganza e rispetto, capace di attirare e mantenere l’attenzione. Indossarlo in modo continuo sfida l’idea che sia un dettaglio rétro e patriarcale, rivendicando il potere del makeup e trasmettendo un messaggio di auto-affermazione.

    L’identificazione dei fan con Taylor Swift

    Lucy Bennett, docente di Popular Music, Fandom e Fan Culture presso la Cardiff University, spiega che l’identificazione degli swifties con Taylor è fondamentale per il senso di appartenenza alla fandom. I testi delle sue canzoni, ricchi di storie personali, permettono ai fan di ritrovarsi nelle sue esperienze. Utilizzare il suo rossetto o altri prodotti di bellezza può rafforzare questo legame, dando la sensazione di vicinanza fisica alla star, simile alla pratica del cosplay.

    L’evoluzione del look di Taylor Swift

    La forza mediatica del makeup di Taylor risiede nella sua semplicità: pochi elementi, riconoscibili e apparentemente alla portata di tutti. Il suo stile evolve in modo naturale, riflettendo la maturazione dei suoi gusti. La giovane cantante country di “Hannah Montana: The Movie” nel 2009 non è molto diversa dalla popstar odierna, semplicemente cresciuta, come le sue fan. Recentemente, Taylor ha adottato un look ispirato all’estetica anni Trenta di Clara Bow, diva del muto, ma è solo una parentesi nel suo amore per il rossetto rosso, come confermano gli autori del libro “Taylor You’ll be fine!” della community Tswiftita.

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      Il risveglio dell’anima: perché la primavera fa bene anche alla mente

      L’arrivo della primavera migliora l’umore, riduce lo stress e ci spinge a riprendere contatto con noi stessi e con il mondo. Una rinascita silenziosa che la scienza conferma.

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        C’è qualcosa di magico nell’aria quando arriva la primavera. Lo sentiamo sulla pelle, negli occhi che si socchiudono al primo sole tiepido, nei respiri che si fanno più profondi mentre l’odore dei fiori invade le strade. Ma non è solo una suggestione romantica: la primavera ha effetti reali e misurabili anche sulla nostra mente. È una vera e propria stagione del benessere interiore.

        Il primo cambiamento parte dalla luce. Con le giornate che si allungano, aumenta la produzione di serotonina, il cosiddetto “ormone della felicità”. Non è un caso se molti psicologi parlano di “effetto primavera” per descrivere quel senso di leggerezza, energia e voglia di fare che ci invade dopo i mesi bui dell’inverno. Il nostro orologio biologico, messo a dura prova dal freddo e dalla mancanza di luce, torna a girare al ritmo giusto. E il buonumore non tarda ad arrivare.

        Anche il nostro corpo si risveglia. Le temperature più miti ci spingono naturalmente a muoverci di più: una passeggiata al parco, una corsa leggera, perfino il semplice atto di prendere il sole su una panchina diventano piccoli gesti di cura che influiscono sul nostro equilibrio psicologico. Il movimento stimola la produzione di endorfine, altre alleate preziose del nostro benessere, capaci di combattere ansia, stress e persino forme leggere di depressione.

        Non è solo una questione chimica, però. La primavera ci invita a guardare fuori, a riallacciare i legami con il mondo esterno dopo i mesi di chiusura domestica. Rivedere amici, partecipare ad attività all’aperto, vivere la città che si risveglia sono tutte esperienze che nutrono la mente. Ci ricordano che la vita è movimento, relazione, scambio.

        E poi c’è il potere terapeutico dei colori. Psicologi e cromoterapeuti concordano: il verde dei prati, il giallo dei narcisi, il rosa dei ciliegi in fiore non sono solo belli da vedere, ma parlano direttamente al nostro inconscio. Il verde rilassa e riequilibra, il giallo stimola l’ottimismo, il rosa infonde tenerezza e serenità. Un tripudio visivo che agisce senza che ce ne rendiamo conto, riportando armonia laddove l’inverno aveva lasciato stanchezza e malinconia.

        La primavera è anche il momento ideale per ripensare a se stessi. Non a caso, molti iniziano percorsi di crescita personale, fissano nuovi obiettivi o si concedono una pausa rigenerante proprio in questa stagione. È come se, insieme ai germogli, spuntassero anche i nostri desideri più autentici, quelli che durante l’inverno avevamo lasciato sopiti sotto il gelo delle preoccupazioni quotidiane.

        Persino la scienza, da tempo, ha dato ragione a questa sensazione collettiva. Studi pubblicati su riviste di psicologia e medicina dimostrano che l’esposizione alla luce naturale, tipica della primavera, può ridurre del 50% i sintomi della depressione stagionale e migliorare significativamente la qualità del sonno, l’energia e la capacità di concentrazione.

        Certo, non tutto avviene per magia. Chi si porta dietro ansie profonde o stress cronici non guarirà semplicemente uscendo in giardino. Ma la primavera offre una cornice perfetta per iniziare a prendersi cura di sé: un invito gentile, ma potente, a cambiare passo.

        Quindi sì, la primavera è molto più di una stagione: è una rinascita anche dell’anima. Non resta che aprire le finestre, lasciarsi attraversare dalla brezza tiepida, e ricordare a noi stessi che la bellezza — quella vera, che cura — spesso inizia da una semplice carezza di sole.

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          Quando la primavera ti illude e poi piove: il meteo dell’anima

          Si chiama malumore meteorologico e no, non è una scusa. Dopo mesi di grigio, speravi nella svolta, nel sole tiepido e nei maglioni dimenticati nell’armadio. E invece: pioggia, vento, umidità e una voglia crescente di urlare al cielo “Ma che ti ho fatto?”.

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            C’è un tipo di delusione che non trovi nei libri di psicologia spicciola. Non ha a che fare con relazioni tossiche, né con il fallimento professionale. È più sottile, ma non meno fastidiosa: si chiama “malumore da primavera mancata”, ed è quella sensazione di stanchezza, irritazione e senso di tradimento che provi quando aprile ti aveva promesso il sole… e invece ti svegli con un cielo color cartoncino bagnato.

            È la delusione di chi aveva già preparato le sneakers bianche, aveva scelto il trench “quello giusto” e aveva persino osato una ceretta di troppo. Perché sì, la primavera è anche una questione di pelle nuda e di aria che profuma di gelsomino. Ma basta una perturbazione, un fronte atlantico che decide di fare una sosta imprevista, e tutto crolla: torna la coperta sul divano, l’umore sotto le scarpe e il cappotto che pensavi di aver detto addio fino a novembre.

            Non è solo il meteo: è il senso di ingiustizia cosmica che ti prende mentre guardi le previsioni e vedi pioggia per giorni, dopo che hai resistito a sei mesi di buio e freddo con la sola speranza che, prima o poi, sarebbe arrivato quel momento in cui ti svegli e dici: “Ecco, è primavera”. E invece no.

            E allora ti incupisci. Non hai voglia di uscire, né di sorridere. Ti prende un’irritazione passiva-aggressiva verso chiunque ti dica “ma serve per la natura”. Lo sai che serve. Ma adesso serviva anche un po’ di luce, un maglione in meno, un pomeriggio a camminare senza ombrello, un cielo da fissare e sentirsi migliori.

            In fondo, il meteo è lo specchio dell’umore collettivo. E se ci metti anche le allergie, le mezze stagioni che non esistono e le giornate che sembrano schizofreniche – 8 gradi al mattino, 22 a pranzo, e vento a tradimento al tramonto – capisci perché la gente si sveglia arrabbiata con la vita.

            La primavera, quando si fa attendere troppo o si presenta con il muso lungo, è come quella persona che ami da sempre e che finalmente arriva al vostro appuntamento… ma dimentica di dirti che in realtà oggi non può restare.

            E allora ci resti male, eccome. Anche se lo sapevi. Anche se in fondo, ogni anno, è sempre la stessa storia.

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              Benessere tossico: se non mediti almeno tre volte al giorno, sei una brutta persona

              La ricerca del benessere è diventata un’ossessione da manuale. Tra acque alcaline, docce fredde e coach motivazionali, ci siamo dimenticati come si vive senza cronometrare ogni respiro. E chi osa dire che è stanco, viene guardato come un peccatore.

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                Se ti svegli dopo le 7:00, bevi un caffè e non hai ancora fatto un respiro profondo consapevole… sei già in ritardo sulla tua giornata da essere umano evoluto. Perché oggi il benessere non è più una scelta: è un obbligo. E chi non lo persegue con fanatismo, rischia la pubblica gogna da parte dei nuovi sacerdoti del wellness.

                Il mantra è chiaro: devi dormire almeno 8 ore, ma svegliarti comunque presto per fare esercizio a digiuno. Devi meditare, ma anche correre, ma anche ascoltare i podcast motivazionali mentre bevi acqua con limone e zenzero. Devi mangiare anti-infiammatorio, ma senza stressarti troppo (che poi ti infiammi).

                Il paradosso? Ci stanno dicendo che per rilassarci dobbiamo impegnarci come per una maratona. E se non segui la dieta perfetta, se non fai yoga almeno due volte a settimana, se non misuri i tuoi livelli di stress con una smartband che costa quanto un affitto… sei fuori. Sei tossico. Sei un caso umano.

                Nel frattempo i social pullulano di influencer che sembrano appena scesi da un ritiro spirituale in Himalaya, ma in realtà hanno solo fatto sei stories nella vasca piena di petali finti. E tu, che magari hai solo voglia di startene in pigiama senza masticare semi di chia, vieni preso da un senso di colpa cosmico.

                C’è chi si fa la doccia ghiacciata all’alba e chi pubblica foto di barrette proteiche accanto al diario della gratitudine. Ma se dici che hai avuto una giornata di merda, la risposta sarà: “Hai provato a ringraziare l’Universo per le difficoltà?”

                No, grazie. A volte uno vuole solo lamentarsi, magari con un panino in mano e il frigo pieno di colpe. E sì, va bene il benessere, va bene la cura di sé. Ma siamo arrivati al punto che non si può più essere normali. Che se non prendi almeno due integratori al giorno non sei abbastanza. Che se non vai in palestra ti dicono che “non ti vuoi bene”.

                Forse è il caso di ricordare che il benessere vero è quello che non ti fa sentire in difetto. Che ti lascia respirare senza contare fino a dieci. Che non ti giudica se ogni tanto vuoi solo una pizza e una serie tv senza sensi di colpa.

                Perché se la ricerca della salute ti fa venire l’ansia, allora non è benessere. È marketing. E pure tossico.

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