Punti di svista
Insalata russa… di bugie
Matteo Basile lavora come cronista nella redazione milanese de Il Giornale. Si occupa di cronaca italiana e internazionale.

«C’è la mano di Kiev». «I terroristi sono stati pagati dall’Ucraina». «Tutte le evidenze portano a Kiev». «Dopo l’attentato, i terroristi scappavano in Ucraina». Da Putin, fino all’ultimo dei suoi tirapiedi, dopo l’attentato al Crocus City Hall di Mosca del 22 marzo costato la vita a quasi 150 persone, il diktat è stato uno e uno soltanto: incolpare l’Ucraina. Sia mai che si riesca a giustificare la guerra che stanno portando avanti da due anni. Ma anche nel Paese dove se qualcuno in pubblica piazza si azzarda a pronunciare la parola “Pace” viene preso e portato via da squadracce in divisa di poliziotto, mentre quattro persone armate fino ai denti fanno quel che vogliono per due ore seminando morte e paura senza che nessuno intervenga, una bugia ripetuta all’infinito non diventa una verità.
L’Isis rivendica l’attentato, pubblica video, documenti e prove assortite che dimostrano l’autenticità della rivendicazione. Tutti gli Stati occidentali confermano la bontà della rivendicazione e scagionano l’Ucraina. Gli Stati Uniti spiegano addirittura di aver avvisato i russi di un possibile attentato di matrice islamica proprio a Mosca, proprio in quel teatro (beccandosi tra l’altro pernacchie da Putin in persona).
Anche il leader bielorusso Lukashenko, alleato-scendiletto di Putin, dice che no, non stavano scappando in Ucraina ma in Bielorussia. Ma niente, da Mosca tirano dritti: il padrone ordina e tutti ripetono a pappagallo. È stata l’Ucraina e stop. Per raccontare una bugia, però, specie se colossale, ed essere anche solo minimamente credibili, qualcosa di vero in quel che si racconta deve esserci. Altrimenti si passa per cialtroni. E quindi ci provano, ci riprovano, insistono, inventano.
Perché dalle parti del Cremlino all’etichetta ci tengono. Va bene essere bugiardi, assassini, invasori, criminali di guerra riconosciuti, persecutori, illiberali, tiranni. Ma guai a passare per cialtroni. Non sia mai.

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Punti di svista
Nudi alla meta… del cattivo gusto: l’AI riscrive la passerella scandalo dei Grammy
Lo show da total nude look di Bianca Censori, guidata dal rapper Kanye West, ha lasciato di stucco tutti. Stimolando qualche buontempone a giocare con l’intelligenza artificiale…

Togli di qui, scopri di là, prima o poi doveva succedere. Era nell’aria che qualcuno dello show business prima o poi si sarebbe presentato a un evento completamente nudo. È successo ai Grammy – guarda il video integrale qui – dove Bianca Censori, compagna del rapper Kanye West, si è mostrata in tutta la sua esagerata bellezza. Altro che «sotto il vestito niente», celebre libro (e film) anni ’80. Stavolta, nemmeno il vestito. E il clamore internazionale è assicurato.
Esibizionismo dettato dal marketing o disordine mentale?
Non è la prima volta che le trovate di marketing di lady West propongono look estremi che sembrano esperimenti di body painting poco riusciti. Tra chi parla di un banale modo per farsi pubblicità e chi evoca un possibile disordine mentale che sfocia nell’esibizionismo, al di là di chi si erge censore dei costumi (anche senza costumi) e a chi fa il moralizzatore di professione, emerge senza dubbio un tema.
Punto di non ritorno
Fino a che punta ci si può spingere per far parlare di sé? D’accordo che si tratta di spettacolo ma questa volta siamo arrivati al punto di rottura. Riflettori, «scandalo», polemiche e dibattiti che durano per giorni, sui giornali e sui social. Obiettivo raggiunto. D’altronde, lei faccia ciò che vuole. Prima o poi doveva succedere. Se non altro, da oggi in poi, almeno sul tema nude look non si potrà fare di peggio. Forse.
L’AI si vendica in nome delle donne
Ora è il turno di Kanye West, visto che da ieri circola in maniera virale un’immagine “vendetta” generata dall’intelligenza artificiale che lo mostra completamente nudo sul red carpet dei Grammy Award al posto della moglie Bianca Censori. L’atteggiamento del rapper considerato dalla maggior parte degli utenti “misogino” viene ora ribaltato e la sua foto in poco più di due giorni ha ottenuto 4,3 milioni di visualizzazioni soltanto su “X”, attirando anche l’attenzione di molte star che per lui non avevano avuto parole estremamente “positive”.

Punti di svista
Roccaraso, provincia di Trashlandia
L’invasione della stazione turistica dell’Alto Sangro, chiamata a fare i conti con il crescente turismo campano, scatenata dalla rete che sempre più influenza i comportamenti delle persone.

C’era una volta la perla dell’Appennino, tra i pochi luoghi del centro Italia dove sciare come in alta montagna. Poi, è arrivata un’epidemia cui sembra difficile trovare la giusta cura. E no, non sono genericamente «i napoletani». L’epidemia, di stagione, è quella degli influencer.
Un bel caos generato dai social
Dai social alla realtà il passo è stato breve. Qualche video diventato virale, due reel su Instagram, un paio di pose accattivanti e improvvisamente migliaia di turisti napoletani hanno deciso che Roccaraso sarebbe stata la loro nuova meta di pellegrinaggio. Ed è stato subito caos. Code interminabili, strade prese d’assalto, pullman parcheggiati alla bene e meglio. Tra chi, pochi, benedice, il boom turistico, la maggioranza si lamenta dell’invasione in salsa trash. Non solo per i troppi turisti e la troppa confusione. E nemmeno per l’insolito mix tra spritz e babà sulla neve. Il problema sta alla base.
Influenzati dagli influencer
Chi organizza questi mini esodi? Chi ci guadagna veramente? Ma soprattutto: perché se qualche influencer o presunto tale dice «andiamo a Roccaraso», migliaia di persone si muovono tipo zombie per seguirli? Eccolo il problema. Ci facciamo troppo influenzare. Perché quella degli influencer non è solo un’epidemia di stagione ma una tendenza che in tanti, troppi, sembrano seguire.
Riappropriamoci delle nostre scelte
Mister X dice «che buono questo piatto» e migliaia di persone lo mangiano. Miss Y dice «che bella questa borsa» e un sacco di gente la compra. E così è lo stesso per l’assalto a Roccaraso. Viva i social, viva le nuove tecnologie. Ma perché diavolo bisogna fare quello che altri ci dicono di fare anziché pensare con la testa e scegliere sulla base dei nostri gusti, resta un mistero. Una volta la colpa era dei cattivi maestri. Ora, ci sono i cattivi influencer. E l’esercito di zombie che li segue.
Punti di svista
Contro logica, fatti e buonsenso: i No Vax non si rassegnano (e diventano patetici)
Nonostante cinque anni dopo la pandemia i dati parlino chiaro – i vaccini hanno fermato la strage – orde di ottusi continuano a negare la scienza. Possibile che ne sappiano più loro?!?

A un certo punto bisognerebbe farsene una ragione. E invece no, loro no. I no vax continuano imperterriti nella loro insensata battaglia contro la sanità, contro i governi, ma anche contro i numeri che smentiscono ogni tesi complottista. A testa bassa, sena ascoltare ragioni o contestazioni, che se solo ti azzardi sei un servo del sistema.
Becchini e sciacalli
Basta farsi un giretto sui social, che non sono altro che uno specchio del Paese, per quanto parziale, e si trova di tutto. Ci sono i becchini social, che cercano ogni caso di cronaca legato alla morte di qualcuno, per instillare il dubbio che la stessa possa dipendere dai vaccini. Ci sono gli sciacalli, che festeggiano la morte di chi in passato aveva osato schierarsi a favore delle campagne vaccinali.
La teoria del caos
E ci sono pure quelli che, in spregio ai dati ufficiali (e incontrovertibili) che certificano come le cosiddette morti improvvise non siano assolutamente aumentate a seguito delle vaccinazioni contro il Covid, chiedono processi sommari, arresti di massa per i politici e i medici. Il tutto spinti, in maniera poco limpida, di chi da questo potenziale caos in qualche modo trae giovamento. Vedi siti di clickbaiting, azzeccagarbugli e similari…
La mamma degli stupidi è costantemente pregna
In barba alla scienza, ai numeri, ai fatti e al buonsenso, loro vanno avanti. Non passano oltre. Non ce la fanno. Si rendono ridicoli, diventano patetici ma non mollano la battaglia. La soluzione? Una sola, quella dantesca. «Non ti curar di loro ma guarda e passa…»
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