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Sic transit gloria mundi

Arianna Meloni l’ha lasciato in bermuda? Lollobrigida si presenta al G7 come a un party sulla spiaggia

Il ministro si presenta a un evento ufficiale con pantaloncini mimetici e scarpe tricolore, scatenando l’ironia sui social. È un look “fluido” o una caduta di stile?

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    Mi chiedo: ma davvero ci troviamo a dover parlare di questo? Di un ministro che si presenta a un evento del G7 sull’agricoltura con la stessa disinvoltura di un turista in un lido di Rimini? Non so se sia stata una dimenticanza, una ribellione personale o, più probabile, un’ingenuità sartoriale, ma Francesco Lollobrigida si è presentato con dei bermuda mimetici, una camicia bianca visibilmente stropicciata e un paio di sneakers tricolore. Ora, non dico che per fare il ministro debba per forza indossare l’abito di Aldo Moro anche sotto il sole di agosto, ma un minimo di dignità istituzionale, per favore!

    Giorgio Armani lo ha detto chiaramente: i bermuda vanno indossati solo su una spiaggia o durante una vacanza. Ma qualcuno lo avrà detto a “Lollo” che il G7 non è esattamente una festa in spiaggia? Si trattava di un vertice sull’agricoltura, mica una gara di beach volley. Per di più, il look scelto non era nemmeno una novità: lo stesso outfit è spuntato su un post su Facebook del 2020. Sì, avete capito bene, il nostro ministro ha pensato bene di riciclare un abito da social per un evento internazionale. Originale? No, più che altro sconvolgente.

    E sui social, come era prevedibile, l’ironia è esplosa come una bottiglia di spumante calda. Enrico Mentana ha condiviso la foto su Instagram, sottolineando: “Non è un fotomontaggio”. E come dargli torto? Qualcuno ha suggerito che, se si fosse presentato a scuola con quel look, gli avrebbero dato 5 in condotta. Ah, quei bei tempi in cui la prima Repubblica vedeva Aldo Moro in abito persino sulla spiaggia!

    Ma non finisce qui. Il nostro ministro ha anche optato per delle scarpe tricolore, probabilmente per ricordare che, nonostante il look da vacanza estiva, è sempre “a servizio del Paese”. Forse si è ispirato a Pedro Pascal, il gladiatore del Met Gala, ma c’è una piccola differenza: il red carpet di Hollywood non è esattamente un vertice internazionale. O forse, chi lo sa, il buon Lollo ha solo pensato di rispolverare l’eleganza fluida, in stile Papete, riportando in auge quell’ormai famoso look da spiaggia che tanto ha fatto parlare.

    Non è la prima volta che Lollobrigida finisce sotto i riflettori per i suoi outfit creativi. La scorsa estate, ad esempio, ha fatto scalpore una sua foto in bermuda, insieme ad Andrea Giambruno, fuori da un discount in Puglia. Una scena che, con le buste della spesa in mano, ha suscitato la stessa domanda: “Ma un po’ di stile no?”

    Perché, diciamocelo, la questione non è solo estetica. Essere un ministro significa rappresentare un Paese, non solo con le idee (che già sarebbe una gran cosa), ma anche con la forma. E se è vero che l’abito non fa il monaco, in certi casi sarebbe meglio rifletterci un attimo prima di uscire di casa in mimetica, soprattutto se devi presiedere un vertice internazionale.

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      Rocco Casalino tirato fuori dalla naftalina: mission impossible per risollevare l’immagine di Conte (e fare pace con Grillo)

      Schlein trascina le opposizioni sull’Aventino e disinnesca Giuseppi. Il leader 5 Stelle, in difficoltà, richiama in campo il fidato Rocco Casalino, gran maestro della comunicazione, per rilanciare la sua immagine.

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        Giuseppe Conte non è in gran forma. Già, le ultime mosse della leader PD Elly Schlein hanno spiazzato l’ex premier, portando le opposizioni a bloccare tutto, proprio quando Giuseppi era lì che si preparava a piazzare qualche colpetto laterale di mano con la maggioranza. E così, niente inciuci: game over.

        E come si fa a riprendersi? Serve una mano. Anzi, due: quelle di Rocco Casalino, il vecchio e fedele portavoce con una passione sfrenata per le crisi da risolvere (e, diciamocelo, anche per un po’ di riflettori). Casalino, il gran maestro del controllo mediatico, è tornato in missione speciale: ricostruire l’immagine appannata del suo pupillo e, udite udite, sistemare anche le questioni “di famiglia” con Beppe Grillo. Insomma, una specie di “peace manager” tra l’avvocato e il garante.

        Il problema è che il clima in casa 5 Stelle non è proprio da cena di Natale: il continuo stillicidio tra Conte e Grillo ha raggiunto un livello tale che persino Casalino dovrà tirare fuori tutte le sue “magie” per evitare che i due si scambino definitivamente i saluti. Magari riuscirà a convincerli a una tregua strategica, giusto per salvare le apparenze, ma la strada è lunga e irta di insidie.

        E nel frattempo? La costituente del Movimento slitta, come chi ha prenotato le ferie in agosto ma poi ha dovuto spostarle a novembre per problemi tecnici. Intanto Casalino si sistema, pronto ad attivare la sua macchina del marketing, con una missione: riportare Giuseppi in auge, un tweet alla volta.

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          Non solo Giorgia Meloni: i conti bancari di politici e imprenditori spiati illegalmente

          Licenziato e sotto inchiesta, il dipendente ha creato un clima di sorveglianza illegale che la procura di Bari sta investigando. Tra i nomi spiati figurano quelli di La Russa, Emiliano e il procuratore nazionale antimafia Melillo.

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            Forse non tutti i complotti che Giorgia Meloni vede intorno a sé sono immaginari. Perché, diciamocelo, quella dell’underdog della politica è una parte che le riesce piuttosto bene. Ma, ahimè, sembra che qualcuno ci abbia messo del suo per darle ragione. Spunta infatti la notizia che un dipendente di Intesa Sanpaolo si è preso la briga di sbirciare migliaia di conti correnti, tra cui quelli di personaggi noti e… guarda caso, proprio di membri del governo.

            Ora, immaginate la scena: Giorgia Meloni, la sorella Arianna, l’ex Andrea Giambruno, e persino i ministri Santanché e Crosetto, tutti con i loro conti bancari passati ai raggi X da questo “curioso” impiegato. E no, non è che parliamo di uno scivolone tecnico: il tizio è stato licenziato in tronco (giusto l’8 agosto) e ora è sotto inchiesta. La privacy dei conti bancari, specie di quelli ipersensibili, non è proprio roba da prendere alla leggera.

            L’inchiesta, portata avanti dalla procura di Bari, si aggiunge alla lunga lista di spiate e hackeraggi che sembrano essere diventati il passatempo preferito in Italia. La mole di dati spiati? Enorme, dicono le fonti. E non solo i politici sono finiti nel mirino: imprenditori, sportivi, militari… tutti schedati, come se fosse un catalogo Ikea. Insomma, il funzionario si è fatto prendere la mano.

            Tra i tanti “curiosati”, oltre ai già citati volti noti del governo, ci sono pure il presidente del Senato Ignazio La Russa, Raffaele Fitto e governatori di regioni come Michele Emiliano e Luca Zaia. Per non farsi mancare nulla, si è aggiunto pure il procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo.

            Quindi, cara Giorgia, forse stavolta il complotto c’è davvero…

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              Sic transit gloria mundi

              Il ministro dell’apparenza Carlo Nordio e la guerra santa dichiarata a giornalisti e magistrati

              Il ministro della Giustizia ha deciso di concentrare i suoi sforzi non sulla lotta alla criminalità organizzata o sulla prevenzione delle violenze domestiche e dei femminicidi, ma sull’approvazione di leggi controverse e sulla limitazione delle intercettazioni. Non manca, poi, l’impegno nel cercare di mettere un bavaglio alla stampa libera, attaccando chiunque tenti di opporsi al suo operato, mentre le carceri italiane versano in condizioni sempre più disastrose.

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                Che Carlo Nordio sia considerato “uno dei ministri più attivi” del governo fa sorridere. E la dice lunga sul livello dei suoi colleghi di Governo. O forse è considerato super impegnato per la sua inclinazione a destreggiarsi tra interviste e convegni, a cui presenzia spesso e volentieri. Ma basta guardare al suo operato per chiedersi: attivo in cosa, esattamente? Di certo, non lo è nel contrastare la criminalità organizzata o nell’affrontare l’aumento preoccupante di violenze domestiche e femminicidi che colpiscono il nostro Paese. O nel trovare soluzioni per risolvere i problemi tremendi delle carceri. In realtà, l’unica cosa in cui appare non solo attivo, ma addirittura solerte, è scontrarsi con giornalisti, stampa libera e, soprattutto, con i suoi stessi colleghi magistrati alla ricerca di tutti i modi impossibili per rendere difficile se non inutile il loro lavoro.

                In due anni di governo, Nordio ha portato a casa una sola legge, quella sull’abuso d’ufficio, approvata il 25 agosto. Ed è così raffazzonata che probabilmente la Corte Costituzionale dovrà rimediare ai danni creati rispedendola al mittente. Insomma, un ministro attivo? Forse sì, ma certamente non nel dare risposte concrete ai problemi che affliggono il sistema giudiziario italiano.

                In questo clima di inazione, Nordio trova però il tempo per ribadire, in ogni occasione pubblica, che non ci sono margini per sollevare questioni di costituzionalità sul reato soppresso di abuso d’ufficio. Ma la realtà lo contraddice: da Perugia è già partito un ricorso, e altri seguiranno. Sarà la Corte Costituzionale a decidere se il vuoto normativo creato da questa riforma sia accettabile o meno. Nel frattempo, il caos regna.

                Norme confuse e rischi per la giustizia
                Non basta l’incertezza creata dall’abrogazione dell’abuso d’ufficio. Nordio ha introdotto anche una norma che impone ai pubblici ministeri di interrogare i potenziali arrestati prima di procedere con l’arresto. Un pasticcio che sta già causando problemi alle indagini. Come segnalato da diversi procuratori, tra cui quello di Foggia, far conoscere agli indagati le prove a loro carico potrebbe inquinare le indagini, alimentare alibi fasulli e persino scatenare intimidazioni.

                Una battaglia ideologica, non strutturale
                La battaglia di Nordio non sembra rispondere a nessuna delle necessità concrete della giustizia italiana, bensì a una visione puramente ideologica. Anziché concentrarsi su interventi più urgenti e strutturali, aggrava la repressione verso chi manifesta dissenso e chi, come la stampa libera, ha il compito di vigilare su un mondo – quello della politica – che spesso preferisce le tenebre alla luce, in modo da nascondere le proprie malefatte spazzandole sotto il classico tappeto. Il Guardasigilli sembra più un garante di interessi di parte che un paladino della giustizia.

                Il disastro delle carceri
                Nel frattempo, nelle carceri italiane, le condizioni restano disastrose. Dall’inizio dell’anno, 72 detenuti e 7 agenti penitenziari si sono tolti la vita. Un dato allarmante, ma il nostro prode ministro della Giustizia sembra preferire sfilate internazionali, come l’inaugurazione dell’Anno Giudiziario a Londra, anziché affrontare le problematiche quotidiane del sistema penitenziario.

                E mentre questo disastro si consuma, Nordio firma insieme a Matteo Piantedosi un disegno di legge sulla sicurezza, che prevede una miriade di nuovi reati improbabili. Che, contro il suo stesso credo garantista, finiranno per riempire le prigioni di nuove tipologie di detenuti: quelli che fanno i blocchi stradali, gli ecologisti troppo accesi, i giornalisti non allineati. Il provvedimento è stato così deriso dall’ex presidente delle Camere Penali, Gian Domenico Caiazza, che in un editoriale lo ha definito “inutile e pericoloso”, una vera e propria “lenzuolata di reati à go-go”. Tra le assurdità della nuova legge, c’è anche una norma che prevede di incarcerare i figli delle detenute madri, un provvedimento che non risolve alcun problema ma rischia solo di peggiorare le già precarie condizioni delle prigioni italiane.

                La difesa dei potenti e il bavaglio alla stampa
                Un’altra battaglia su cui Nordio è molto attivo è quella contro la legge Severino, che obbliga gli amministratori locali condannati in primo grado a dimettersi. Per il ministro, questo provvedimento viola la presunzione di innocenza e andrebbe modificato. Ma non si può fare a meno di chiedersi chi Nordio stia cercando di proteggere: i cittadini comuni o i colletti bianchi? La risposta sembra abbastanza chiara.

                E poi c’è la questione delle intercettazioni. Nordio ha fatto capire che il suo obiettivo è quello di limitarne al massimo l’uso, riducendo la loro durata a 45 giorni, a meno che non si tratti di reati gravissimi. Questo, insieme alla riduzione degli ascolti tramite il Trojan e all’impossibilità di intercettare le conversazioni tra avvocati e clienti, mostra chiaramente la sua volontà di ridurre le possibilità di indagine, non di ampliarle.

                Come se non bastasse, il ministro sta cercando di mettere un bavaglio alla stampa, vietando la p Come se non bastasse, il ministro sta cercando di mettere un bavaglio alla stampa, vietando la pubblicazione delle ordinanze di custodia cautelare. Un provvedimento che ha sollevato forti critiche da parte di associazioni come la Fnsi e l’Ordine dei Giornalisti, che hanno definito la norma “liberticida” e contraria ai principi democratici. La direttiva sulla presunzione di innocenza del 2016 non richiede affatto un bavaglio del genere. Eppure, Nordio sembra deciso a procedere in questa direzione, appoggiato da esponenti della maggioranza.

                L’ambiguità delle regole e l’attacco alla giustizia
                Appare evidente, allora, che dietro l’insistenza con la quale la destra invoca una revisione delle regole in senso restrittivo, e più in generale nel modo in cui continua ad affrontare le questioni della giustizia, vi sia una motivazione di natura ideologica più che giuridica. Lo fanno pensare anche certe ambiguità, per esempio nel distinguere tra regole che riguardano le indagini, e quindi il lavoro dei magistrati, e regole che riguardano la diffusione delle notizie, e quindi il lavoro dei mezzi di informazione.

                Nell’ambiguità, infatti, diventa più facile usare eventuali eccessi della stampa per proporre un irrigidimento delle regole che riguardano gli strumenti investigativi a disposizione di chi indaga. Ed è proprio ciò che sta accadendo: un attacco coordinato che mira non tanto a tutelare i diritti dei cittadini, ma a limitare gli strumenti di chi indaga e di chi racconta la verità.

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