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Sic transit gloria mundi

Il Nulla avanza? Il festival Atreju di Fratelli d’Italia nel mirino degli eredi di Michael Ende: “Non rappresenta i valori del protagonista”

La kermesse di Fratelli d’Italia al Circo Massimo si scontra con l’indignazione degli eredi di Michael Ende, che criticano l’uso politico del nome di Atreju, protagonista del romanzo La storia infinita. Il giovane eroe, simbolo di inclusione e resistenza al nichilismo, non rappresenta i valori della destra, sottolineano gli eredi, denunciando la mancanza di autorizzazione per un’appropriazione giudicata impropria e contraria agli ideali del celebre autore tedesco.

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    Il giovane guerriero di Fantàsia non è mai stato così fuori posto. Il nome di Atreju, protagonista del celebre romanzo fantasy La storia infinita di Michael Ende, campeggia da anni sull’evento politico simbolo di Fratelli d’Italia. Ma l’uso di quel nome, avverte Roman Hocke – agente letterario e amico dello scrittore – non è mai stato né richiesto ai legittimi proprietari, gli eredi dell’autore morto nel 1995, né è stato da loro autorizzato. Ed è una scelta che, secondo lui, tradisce tutto ciò che il personaggio rappresenta: apertura, inclusione e un’arte che unisce invece di dividere.

    Da quando il festival di destra ha iniziato a utilizzare il nome di Atreju, Roman Hocke, agente letterario e amico di Michael Ende, ha manifestato apertamente il suo disappunto, definendo la scelta un “malinteso enorme”. Secondo Hocke, Atreju non è solo un personaggio di fantasia, ma un simbolo di valori universali: “Atreju è figlio di tutti,” spiega, sottolineando che nel romanzo La storia infinita il giovane guerriero è cresciuto dalla comunità della sua tribù, senza una famiglia tradizionale. Questa caratteristica riflette un messaggio importante: l’identità personale non è rigidamente legata all’ascendenza o alle origini, ma si costruisce attraverso le scelte e le responsabilità individuali.

    L’agente – che è tutt’ora il legittimo rappresentante legale dei diritti d’autore di Ende – ritiene che questi valori siano in netto contrasto con quelli associati a Fratelli d’Italia che organizza il festival: “Leggendo bene La storia infinita si capisce che i valori del libro sono tutt’altro rispetto a quelli della destra.” Non è solo una questione di nome, dunque, ma di rispetto per il messaggio originale dell’opera di Ende, che secondo Hocke è stato frainteso e distorto. Questa posizione chiara mira a proteggere l’integrità dell’opera e i suoi ideali di apertura, inclusione e responsabilità individuale.

    L’evento Atreju nasce nel 1998 come festival dei giovani di destra, passando da Azione Giovani al PdL e poi a Fratelli d’Italia. Ma solo negli ultimi anni il suo nome è arrivato all’attenzione degli eredi di Ende. “La segnalazione è arrivata tardi, quando l’evento era già noto,” spiega Hocke. Da allora, l’agenzia letteraria Ava International ha cercato di fare chiarezza, ma la questione è ingarbugliata. La legislazione sui diritti d’autore varia da Paese a Paese. Se in Italia il nome di un personaggio potrebbe non essere protetto come parte dell’opera, in Germania la tutela è più stringente. Ma anche qui, il nodo è filosofico prima che legale: Ende non avrebbe mai voluto associare le sue creazioni a partiti politici.

    Michael Ende, figlio di un pittore perseguitato dal nazismo, ha sempre considerato l’arte come uno strumento di unione. “La cultura appartiene a tutti e ha il compito di unire,” ripeteva. Proprio per questo si teneva lontano dalla politica, pur essendo vicino a idee progressiste come quelle dei Verdi e dei socialisti tedeschi. La strumentalizzazione di Atreju per fini partitici, dice Hocke, sarebbe stata per lui inconcepibile: “Atreju è un simbolo contro il nichilismo, ma questo è un concetto filosofico, non politico.” La cultura per Ende aveva un valore universale, e usarla per dividere, come fanno i partiti, equivale a tradirne l’essenza.

    La premier italiana, che ha reso il nome Atreju un’icona della sua narrazione politica, ha spiegato la scelta nella sua autobiografia Io sono Giorgia. “Atreju è un giovane coraggioso impegnato a combattere il Nulla che avanza,” scrive, associando il personaggio alla lotta contro il nichilismo. Ma la visione politica si scontra con quella artistica. Ende vedeva il Nulla come una forza distruttiva, non tanto politica quanto esistenziale. “Attribuire a un’opera d’arte uno scopo politico significa snaturarla,” avverte Hocke, ribadendo che l’arte deve “orientare gli individui nel mondo” e non essere piegata a obiettivi di partito.

    Dove finisce l’omaggio e inizia l’appropriazione indebita? È una domanda che emerge ogni volta che un’opera d’arte o un personaggio letterario viene usato per scopi politici. E nel caso di Atreju, il confine è stato ampiamente superato, secondo Hocke. L’agente letterario denuncia non solo l’uso non autorizzato, ma anche la mancanza di rispetto per il lascito di Ende. “Non ci è mai stata chiesta l’autorizzazione, né c’è stata mai l’intenzione di rinunciare a questo uso,” afferma. E così, un personaggio nato per unire diventa il simbolo di una parte politica di matrice nazionalista, con buona pace dell’universalità che Ende voleva rappresentare.

    Per ora, il caso resta aperto, più sul piano etico che legale. La complessità delle normative sui diritti d’autore rende difficile un intervento diretto. Ma Hocke non intende arrendersi: “Continueremo a difendere l’integrità dell’opera di Ende.” Nel frattempo, Atreju continuerà a campeggiare sugli striscioni di Fratelli d’Italia, una presenza che, per chi conosce il messaggio originale del libro, suona come un’ironia amara. Il Nulla avanza davvero, ma non è quello che Atreju avrebbe mai immaginato di combattere.

    Il nodo dei diritti d’autore non è solo una questione tecnica, ma una battaglia culturale. Perché appropriarsi di un simbolo significa riscriverne la storia, adattarlo a scopi che l’autore non avrebbe mai condiviso. E mentre l’evento Atreju si svolge al Circo Massimo tra applausi e slogan, resta l’amaro in bocca per l’ennesima volta in cui la cultura viene piegata a logiche di parte. Atreju, nato per combattere il Nulla, ora deve combattere per difendere il suo nome.

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      Caso Epstein, Melania Trump pronta a chiedere oltre un miliardo a Hunter Biden: “Accuse false e diffamatorie”

      Melania Trump ha minacciato una causa miliardaria contro Hunter Biden per aver dichiarato che sarebbe stato Epstein a presentarla al marito. Intanto i democratici puntano il dito sul trasferimento di Ghislaine Maxwell in un carcere meno severo.

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        Melania Trump è passata al contrattacco. La first lady americana ha annunciato l’intenzione di fare causa a Hunter Biden, chiedendo un risarcimento da oltre un miliardo di dollari, dopo che il figlio del presidente ha affermato che sarebbe stato Jeffrey Epstein – il finanziere condannato per abusi sessuali e traffico internazionale di minori – a presentarla a quello che poi sarebbe diventato suo marito. Una ricostruzione definita dai legali di Melania “falsa, denigratoria, diffamatoria e provocatoria”.

        Le dichiarazioni di Biden risalgono a un’intervista di inizio mese, in cui aveva ripercorso i rapporti tra il presidente e il miliardario pedofilo, sottolineando vecchie frequentazioni poi interrotte “agli inizi degli anni Duemila”, come lo stesso Trump ha sempre sostenuto.

        Ma la vicenda non si ferma qui. I democratici della Commissione Giustizia della Camera hanno sollevato un polverone sul trasferimento di Ghislaine Maxwell – ex compagna e complice di Epstein – in un carcere federale del Texas con regime meno restrittivo. La donna, condannata a 20 anni, era detenuta a Tallahassee, in Florida, ma è stata spostata subito dopo un incontro con il vice procuratore generale Todd Blanche.

        Secondo il deputato Jamie Raskin, leader dei democratici in Commissione, il trasferimento “offre maggiore libertà ai detenuti” e “prima di questo caso era categoricamente vietato per chi fosse condannato per molestie sessuali”. In una lettera al procuratore generale Pam Bondi e al direttore del Bureau of Prisons William K. Marshall, Raskin parla di “preoccupazioni sostanziali” su possibili pressioni per indurre Maxwell a fornire una testimonianza favorevole al presidente, “violando le stesse politiche federali”.

        Un’accusa che, in un contesto già incandescente, riaccende i riflettori sul nodo più imbarazzante per la Casa Bianca: i rapporti passati tra il presidente e Jeffrey Epstein.

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          Sgarbi, la figlia chiede un amministratore di sostegno: “Non è più lucido”. Lui replica: “È mal consigliata e cerca visibilità”

          Dopo il ricovero al Gemelli e mesi di assenza da Arpino, l’ex sottosegretario alla Cultura rompe il silenzio: “Non sono preoccupato, solo addolorato. Mi opporrò a ogni decisione che limiti la mia libertà”.

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            Una richiesta che ha il sapore di un colpo basso. Vittorio Sgarbi, 72 anni, si trova al centro di un nuovo caso familiare dopo che la figlia Evelina ha presentato istanza al tribunale per la nomina di un amministratore di sostegno, sostenendo che il padre “non sarebbe più in grado di seguire i propri interessi”.

            Il critico d’arte, ex sottosegretario alla Cultura e attuale sindaco di Arpino, non l’ha presa bene. «È mal consigliata, vuole visibilità e ha una volontà di rivalsa», ha dichiarato a la Repubblica. «Non so cosa pensi di ottenere facendo così. Io sto meglio, sono qui e non sono preoccupato. Sono solo addolorato».

            L’istanza, presentata tramite l’avvocato Lorenzo Iacobbi, è stata notificata ai parenti più stretti: la sorella Elisabetta, i figli Carlo e Alma, e la compagna Sabrina Colle. La prima udienza è fissata per il 28 ottobre, quando il giudice dovrà valutare le condizioni dell’ex parlamentare e decidere se accogliere la richiesta.

            Sgarbi negli ultimi mesi ha attraversato un periodo di fragilità fisica: un lungo ricovero al Policlinico Gemelli di Roma lo ha costretto a rallentare i ritmi e a restare lontano dalla vita pubblica. Ad Arpino, dove è stato eletto nel 2023, da tempo non si fa vedere, ma il suo vice, Massimo Sera, assicura che il sindaco è vigile e informato su tutto. «L’ho sentito cinque giorni fa – racconta – stava molto meglio e mi ha detto che entro fine mese sarebbe tornato. È deciso come sempre, e di certo si opporrà alla nomina di un tutore».

            Dietro la decisione della figlia si nascondono tensioni antiche. I rapporti tra Evelina e il padre si sarebbero raffreddati da tempo, complici incomprensioni e vecchie ferite mai risolte. Ma questa volta la frattura si sposta in un’aula di tribunale, con il rischio di trasformare un dolore privato in un caso pubblico.

            Sgarbi, nel frattempo, continua a mostrarsi lucido e combattivo, deciso a non farsi commissariare da nessuno. «Sono abituato a governare, non a farmi governare», avrebbe confidato ad alcuni amici.

            Un nuovo scontro, dunque, in una vita che non ha mai conosciuto tregua. Ma per il professore di Ferrara, da sempre allergico a ogni forma di controllo, questa battaglia – forse più personale di tutte – ha il sapore della libertà.

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              Santa Rita De Crescenzo vergine e martire (del trash televisivo e dei suoi stessi followers)

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                Ogni epoca ha i suoi santi. Noi, che non ci facciamo mancare nulla, abbiamo Rita De Crescenzo: patrona delle punturine di acido ialuronico, del silicone spacciato per estetica e dei monologhi social che neppure alla recita dell’asilo. «Ho paura, basta odio, basta violenza mediatica», piagnucola oggi la tiktoker partenopea, appena il sindaco di Castel Volturno le ha cancellato uno show. Una Madonna del trash che si immola sull’altare della visibilità, con tanto di rosario fatto di stories Instagram.

                Il problema, però, non è lei. È la folla che l’applaude. Migliaia di followers che la venerano nonostante accuse di spaccio per conto del clan Elia, minacce a un deputato («Devo essere il tuo incubo, è arrivata l’ora che ti distrugga io»), video dove la cultura del nulla diventa linguaggio quotidiano. Santa Rita del degrado non canta, non balla, non recita. Non sa fare assolutamente niente, eppure è riuscita a trasformare l’ignoranza in un titolo di studio, il pressapochismo in curriculum, l’urlato in vangelo.

                La sua difesa? «Sono una donna, una madre, una persona come tutte le altre». Tutte le altre chi? Quelle che fanno dei filtri TikTok un manifesto politico? Quelle che credono che il talento consista nel mettersi una minigonna fluorescente e ripetere frasi sconnesse in diretta?

                Il miracolo è che funziona: più la criticano, più sale. Più le istituzioni le chiudono le porte, più diventa martire. È la beatificazione trash: non serve saper cantare, scrivere, pensare. Serve piangere davanti a una telecamera, gonfiare le labbra fino a sembrare canotti e agitare le mani in aria come se fossero ali d’angelo caduto.

                Chi la segue, in fondo, non cerca un’artista. Cerca un’icona dell’idiozia elevata a forma d’arte, un simbolo che rassicura: “se ce l’ha fatta lei, posso farcela anch’io”. E infatti ce l’ha fatta. A diventare il monumento vivente di un Paese che si inchina al nulla e lo incorona.

                Meritiamo l’estinzione? Sicuramente. Ma tranquilli: prima dell’apocalisse ci sarà la sua prossima diretta online di Santa Rita, e sarà sold out.

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