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Sic transit gloria mundi

Vannacci contro il Papa: il generale che si crede più misericordioso di Dio

Mentre Francesco apre la Porta Santa invitando i carcerati a non perdere la speranza, il generale leghista si lancia in una crociata tutta sua: meno perdono, più punizioni. Vannacci, ormai esperto in tutto, pretende persino di insegnare al Papa cosa significhi misericordia.

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    Quando si parla di personaggi che non sanno stare al loro posto, Roberto Vannacci si merita un trofeo. Dopo essersi improvvisato sociologo, critico letterario e filosofo del senso comune, ora il generale leghista ha deciso di fare anche il teologo, lanciando frecciatine niente meno che a Papa Francesco. Sì, avete capito bene: Vannacci, con la sua proverbiale modestia, si è sentito in dovere di correggere il Papa, colpevole di aver rivolto un messaggio di speranza ai detenuti del carcere di Rebibbia.

    Mentre il pontefice, con il gesto simbolico dell’apertura della Porta Santa, invitava i carcerati a non perdere la speranza, Vannacci ha deciso di fare il suo solito show. “La mia solidarietà va soprattutto alle vittime, non ai detenuti”, ha dichiarato ad Affaritaliani.it. Come se il messaggio del Papa – il massimo rappresentante della Chiesa cattolica – avesse bisogno del benestare di un generale in cerca di consensi facili.

    Un uomo, una lezione (inutile) al Papa

    Secondo Vannacci, il Santo Padre avrebbe dimenticato di parlare delle vittime della criminalità. Un’accusa priva di senso, visto che il tema del Giubileo è proprio quello della misericordia, un concetto che evidentemente al generale sfugge. “La stessa speranza che il Santo Padre invoca per i carcerati servirebbe anelarla soprattutto per le vittime della criminalità,” ha pontificato, con il solito tono da primo della classe.

    Ma davvero abbiamo bisogno che Vannacci ci spieghi il significato del perdono? O che ci faccia un corso accelerato di “giustizia fai-da-te” con tanto di carceri trasformati in fabbriche di lavoro forzato? “Ogni carcerato dovrebbe lavorare duramente per risarcire le vittime,” ha aggiunto, rispolverando un’idea da manuale del populismo più becero. Peccato che nel suo schema non ci sia traccia di riabilitazione, di riflessione o di umanità.

    Montato di testa? Forse un po’ troppo

    Il vero problema è che Vannacci sembra aver preso un po’ troppo sul serio il suo ruolo di star dei talk show. Dopo aver cavalcato la polemica su immigrati, gender e altri temi sensibili, ora si lancia persino contro il Papa. Non contento di denigrare i carcerati – che secondo lui devono solo soffrire e pagare – si arroga il diritto di reinterpretare il messaggio cristiano, mettendo da parte ogni traccia di compassione.

    Ma chi si crede di essere? L’impressione è che il generale sia più interessato a raccogliere applausi dai suoi sostenitori che a ragionare con lucidità. D’altra parte, le sue uscite sembrano sempre studiate per alimentare lo scontro e ottenere un titolo sui giornali.

    L’arroganza come stile di vita

    Vannacci si dimentica che il Papa non parla solo ai detenuti, ma a tutta l’umanità. La sua missione non è dividere, ma unire. In un mondo lacerato da guerre e ingiustizie, Francesco offre un messaggio di speranza, mentre il generale ci regala l’ennesima lezione di rancore.

    Se c’è qualcuno che dovrebbe “riciclarsi e ripartire”, per usare le sue stesse parole, è proprio Vannacci. Magari cominciando con il mettere da parte l’arroganza e ascoltando davvero il messaggio di Bergoglio. Chissà, potrebbe imparare qualcosa su cosa significhi essere davvero un uomo di giustizia e di pace.

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      Perché Mediaset tace sul caso Signorini? Il silenzio imbarazzante che pesa più delle accuse di Corona

      In altri Paesi, di fronte a presunte molestie, le aziende intervengono subito. Qui no. Nessuna nota ufficiale, nessuna sospensione cautelare, nessun chiarimento. Solo silenzio. Un silenzio che diventa posizione, protezione, scelta. E che apre una domanda: perché?

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        Il punto non è stabilire se Fabrizio Corona dica la verità o no. Quello riguarda le procure, gli avvocati, i tribunali. Il punto è che intorno ad Alfonso Signorini si è sollevata una tempesta mediatica gigantesca, con accuse pubbliche, testimonianze, interrogatori, parole pesantissime. Sui social non si parla d’altro, i giornali ne scrivono ogni giorno, l’immagine di Mediaset è trascinata dentro un vortice potenzialmente devastante. E l’azienda cosa fa? Niente. Non una riga. Non una parola. Non una postura pubblica.

        In qualunque altra azienda del mondo sarebbe impensabile

        Negli Stati Uniti, in Inghilterra, in Francia, basta un sospetto del genere e partono immediatamente provvedimenti cautelativi: sospensioni temporanee, comunicati ufficiali, prese di distanza nette, annunci di indagini interne. È una regola non scritta ma rigorosa: prima si tutela il marchio, poi – eventualmente – si difende la persona.
        Qui no. Qui tutto tace. Qui si finge che non stia succedendo nulla. Qui si aspetta. Qui si ignora volutamente un dibattito gigantesco. Qui sembra quasi che si speri che passi la tempesta.

        Forse Signorini non è un semplice volto tv

        E allora sorge spontanea la domanda che tanti stanno facendo: perché questo silenzio?
        Perché di fronte a un caso che esplode a livello nazionale, l’azienda sceglie la linea dell’assenza? Forse perché Alfonso Signorini non è solo un conduttore, ma il custode dei segreti della casa del Biscione da trent’anni? Forse perché se davvero decidesse di “aprire la cassaforte”, rischierebbero in molti e non solo lui?
        È una domanda scomoda, certo. Ma ignorarla è impossibile.

        Il silenzio è già una risposta

        Mediaset può parlare quando vuole. Può chiarire, può prendere posizione, può difendere il suo uomo, può prendere le distanze, può annunciare verifiche. Ma non può più fingere che non stia accadendo niente. Perché quel silenzio è già una dichiarazione.
        E sì, è un silenzio imbarazzante.

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          Buon Natale da LaCity Magazine: il nostro regalo siete voi, tra lifestyle, spettacolo, tendenze e voglia di bellezza

          Moda, cinema, musica, televisione, cucina, beauty, viaggi, gossip, tendenze: LaCity Magazine ha raccontato un anno pieno di novità e passioni. Vi ringraziamo per averci scelto ogni giorno e vi auguriamo un Natale leggero, luminoso e pieno di cose belle. Il 2026 vi sorprenderà: noi saremo qui, pronti a raccontarlo.

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            Cari lettori,
            questo è il momento più semplice e allo stesso tempo più importante dell’anno: dirvi grazie e augurarvi Buon Natale. LaCity Magazine è un daily online che vive di curiosità, energia, creatività e voglia di raccontare ciò che rende la vita più interessante: lo spettacolo che emoziona, il cinema che fa sognare, la musica che accompagna i ricordi, la cucina che unisce, il beauty che fa stare bene, le tendenze che raccontano il cambiamento.

            In dodici mesi abbiamo condiviso notizie, storie, interviste, retroscena, ispirazioni e passioni. Abbiamo seguito i grandi eventi, gli scandali, i successi, le mode e le novità. E soprattutto lo abbiamo fatto insieme a voi, che ogni giorno scegliete di leggere LaCity Magazine per informarvi, divertirvi, distrarvi e trovare quello spazio di leggerezza intelligente che tutti, ogni tanto, meritiamo.

            Il Natale è una pausa luminosa: un momento per rallentare, respirare e trovare un po’ di bellezza nelle cose semplici. Il nostro augurio è che sia un Natale pieno di sorrisi, affetti, emozioni e piccoli piaceri. E che il nuovo anno porti nuove storie, nuovi sogni e nuova voglia di vivere bene.

            Noi continueremo a fare ciò che amiamo: raccontare la vita nelle sue mille sfumature, con il nostro stile e la nostra attenzione. Grazie per esserci, grazie per seguirci, grazie perché, ogni giorno, rendete LaCity Magazine quello che è.

            Dal direttore e da tutta la redazione,
            Buon Natale e Felice Anno Nuovo.

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              Sic transit gloria mundi

              Signorini contro Corona, Corona contro Signorini: la resa dei conti tra ex complici di uno star system che finge di scandalizzarsi

              Lo scontro tra Alfonso Signorini e Fabrizio Corona non è uno scandalo morale, ma un regolamento di conti tra due figure cresciute nello stesso sistema televisivo. Un meccanismo noto da decenni, che trasforma il potere in intrattenimento, gli abusi in gossip e l’indignazione in spettacolo, mentre il vero problema resta intatto.

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                Chiariamo subito un punto, senza ipocrisie né prudenza lessicale: Alfonso Signorini non è il problema. È il sintomo. È la faccia pettinata, rassicurante, televisivamente educata di un meccanismo che da anni scambia il vuoto per spettacolo e il potere per talento. Se oggi è sotto accusa, non è perché abbia inventato qualcosa, ma perché ha incarnato alla perfezione ciò che questo sistema richiede: obbedienza alle dinamiche, cinismo mascherato da ironia, gestione del desiderio altrui come merce di scambio.

                E poi c’è Fabrizio Corona. Che improvvisamente scopre di essere il depositario della verità. L’uomo che oggi si atteggia a giustiziere morale è lo stesso che per anni ha campato, prosperato e si è arricchito esattamente grazie a quel mondo che ora finge di voler smascherare. Non è un pentito. È un escluso. E la differenza è enorme.

                Il punto non è che Corona parli. Il punto è che reciti la parte di chi “non sapeva”, quando invece sapeva benissimo. Anzi, partecipava. Frequentava. Usava. Guadagnava. Oggi si presenta come se fosse appena entrato in scena, come se non avesse passato una vita a giocare allo stesso tavolo di Signorini, con le stesse regole non scritte, gli stessi silenzi, le stesse ambiguità.

                Questo non è uno scandalo. È una resa dei conti. È una guerra tra ex alleati che si conoscono troppo bene. Gente che ha condiviso favori, coperture, opportunità e ipocrisie, e che ora si accoltella a colpi di podcast, interviste e minacce legali. La parola “sistema” viene agitata come una clava, ma non è una scoperta: è la casa in cui hanno abitato entrambi per anni.

                La televisione, intanto, osserva compiaciuta. Perché mentre Signorini viene dipinto come il volto del male e Corona come il profeta tardivo, il meccanismo resta intatto. Funziona. Produce ascolti, clip, meme, schieramenti da stadio. Trasforma accuse gravissime in intrattenimento e le lotte di potere in format. E il pubblico fa esattamente ciò che gli viene richiesto: si divide, si indigna, difende il proprio idolo, urla “vergogna” senza mai spostare lo sguardo dal tendone.

                Nel frattempo, questioni enormi vengono schiacciate sotto il peso del circo. Perché al di là di Signorini e Corona, entrambi milionari e perfettamente integrati nel sistema che fingono di combattersi, esiste un tema molto più scomodo: gli abusi di potere all’interno dello star system, soprattutto quando il potere passa dal desiderio, dalla promessa, dalla possibilità di “farcela”. Un tema che altrove ha prodotto movimenti come il #MeToo, e che qui viene ridotto a gossip, meme e tifo organizzato.

                Quando Corona pronuncia frasi come «se non andavi a letto con lui, non andavi in televisione», non sta rivelando un segreto arcano. Sta dicendo qualcosa che scrittori, giornalisti e autori raccontano da almeno sessant’anni. Da Truman Capote a Bret Easton Ellis, passando per Aldo Busi e il suo brutale ma onesto “obolo del sofà”. Davvero qualcuno crede che lo star system funzioni per merito puro? Davvero esistono ancora gli ingenui divorati da dinamiche che “non conoscevano”?

                La verità è più scomoda: questo sistema è marcio, sì, ma è noto. È accettato. È frequentato. E spesso, finché conviene, è persino difeso da chi oggi grida allo scandalo. Non esistono solo carnefici e vittime immacolate. Esistono zone grigie, compromessi, scelte consapevoli. E raccontarla diversamente serve solo a salvare le coscienze, non a cambiare le cose.

                Alla fine, non esplode nessuna verità. Non cade nessun impero. Cambiano i ruoli: chi era dentro ora accusa, chi era al comando ora si difende. Ma il tendone resta in piedi. E chi urla più forte non è il più puro: è semplicemente quello che non ha più nulla da perdere.

                Il resto è rumore. E la televisione, come sempre, ringrazia.

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