Cronaca
Chi è suor Anna Donelli? La religiosa accusata di collusione con la ‘ndrangheta: “Se ti serve, è una dei nostri”
Assistente spirituale nelle carceri di Milano e Brescia, la suora 57enne è finita agli arresti domiciliari per concorso esterno in associazione mafiosa. Secondo gli inquirenti, avrebbe veicolato messaggi per il clan Tripodi.
Suor Anna Donelli, 57 anni, originaria di Cremona ma da tempo residente a Milano, è stata per oltre un decennio una presenza fissa tra le mura di San Vittore come assistente spirituale. Nota per il suo impegno tra i detenuti, dove arrivava persino ad arbitrare le partite di calcetto, è ora al centro di uno scandalo che la vede accusata di collusione con la ‘ndrangheta. Arrestata nell’ambito di una maxi inchiesta antimafia coordinata dalla Procura della Repubblica di Brescia, suor Anna si trova ai domiciliari con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa.
Le accuse
Secondo le indagini, la religiosa avrebbe sfruttato il suo ruolo per veicolare messaggi tra i membri del clan Tripodi, ritenuto un potente sodalizio criminale. Il gip che ha firmato l’ordinanza di custodia cautelare parla di una vera e propria collaborazione tra la suora e Stefano Tripodi, uno dei presunti vertici dell’organizzazione. Le intercettazioni riportano riferimenti espliciti a «una monaca» e a un presunto «patto» tra la religiosa e il clan.
Tra i suoi incarichi, suor Anna avrebbe visitato detenuti legati al clan per risolvere conflitti interni e rafforzare i legami dell’organizzazione. In un episodio specifico, sarebbe stata mandata da un detenuto coinvolto in una lite con un altro affiliato, fungendo da tramite per ripristinare l’ordine secondo i desiderata dei Tripodi.
La rete criminale e il ruolo della suora
Le indagini rivelano che la base operativa del clan era situata a Flero, nel bresciano. Qui, suor Anna sarebbe stata vista in più occasioni partecipare a incontri con i membri del sodalizio. Durante queste riunioni, Stefano Tripodi si sarebbe vantato delle sue capacità intimidatorie, raccontando persino di aver insegnato a un giovane sodale a sparare per utilizzarlo in rapine. In una delle conversazioni intercettate, la suora viene indicata come «l’amica di Stefano» e come una risorsa preziosa per chi avesse bisogno di aiuto all’interno delle carceri.
Gli inquirenti hanno ricostruito anche un episodio significativo: dopo l’arresto e il trasferimento in cella di uno dei membri del clan, Candiloro, suor Anna avrebbe dovuto presentarsi al nuovo affiliato con la frase “l’amica di Stefano”. Un segnale chiaro, secondo la Procura, della sua funzione di tramite tra i detenuti e il clan esterno.
Una figura insospettabile al servizio del clan
Suor Anna Donelli, che fino a poco tempo fa era considerata una figura insospettabile, è ora descritta dagli inquirenti come un elemento funzionale all’organizzazione criminale. La sua presenza tra le carceri di Milano e Brescia non sarebbe stata motivata solo dalla sua missione spirituale, ma anche da un patto oscuro con i Tripodi.
Nel corso degli incontri a Flero, i membri del clan l’avrebbero presentata ad altri affiliati come «la suora che lavora in carcere». Secondo l’ordinanza, questa affermazione sottolineava il suo ruolo di “interna” al sistema mafioso, una persona su cui poter contare per gestire affari e comunicazioni delicate dentro e fuori dal carcere.
Il futuro del caso
Suor Anna Donelli si trova ora agli arresti domiciliari, mentre la Procura di Brescia continua a indagare per chiarire la portata del suo coinvolgimento con il clan. Se le accuse saranno confermate, il suo caso rappresenterebbe uno dei più clamorosi episodi di infiltrazione mafiosa in un ambito così lontano, almeno in apparenza, dai circuiti della criminalità organizzata.
Per ora, la suora non ha rilasciato dichiarazioni, mentre il clamore intorno alla vicenda cresce, alimentato da un intreccio di fede e malaffare che lascia sgomenti.
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Politica
Nuovo amore per Maria Elena Boschi: dopo Berruti arriva l’avvocato Roberto Vaccarella. Prima fuga romantica a New York
Avvistati a Capalbio e pronti per un viaggio insieme negli Stati Uniti, Boschi e Vaccarella sembrano intenzionati a vivere questo nuovo legame lontano dal clamore. Per la deputata di Italia Viva si apre una nuova fase sentimentale: discreta, sorridente e con il passo leggero di chi ricomincia.
Archiviata una storia lunga e mediatica, se ne apre un’altra, più silenziosa ma non per questo meno intensa. Maria Elena Boschi sembra aver ritrovato il sorriso accanto a Roberto Vaccarella, avvocato penalista e fratello di Elena, da anni compagna del presidente del CONI Giovanni Malagò.
Dopo cinque anni con l’attore Giulio Berruti — relazione intensa, raccontata e spesso sotto i riflettori — l’ex ministra di Italia Viva sceglie oggi un passo diverso. Meno esposizione, più vita reale. La notizia è circolata nelle ultime ore dopo le indiscrezioni sui primi avvistamenti a Capalbio, poi confermati da più fonti. Passeggiate, cene riservate, niente ostentazione.
A questo si aggiunge un dettaglio che racconta bene l’evoluzione del rapporto: i due sarebbero pronti a partire per New York per la loro prima vacanza a due. Un viaggio simbolico, di quelli che segnano il passaggio da conoscenza promettente a coppia ufficiale. E chi conosce Boschi racconta di una serenità nuova, più matura, più protetta.
La parabola è chiara: dalle copertine alla discrezione, dall’amore cinematografico a una relazione che sembra preferire il passo lento e gli occhi bassi sulle cose piccole. Il resto, al momento, resta fuori dall’inquadratura. Nessun annuncio, nessuna foto insieme, nessuna conferma social.
Per lei è un ritorno a una normalità voluta, dopo anni in cui la vita privata è stata materia di dibattito pubblico. Oggi la narrazione cambia: c’è spazio per un sorriso nelle vie del centro, per un viaggio programmato con calma, per un tempo personale che non chiede applausi.
Se son rose fioriranno, dice il proverbio. Qui, per ora, c’è un bocciolo custodito, e la scelta precisa di lasciarlo crescere senza fretta. In un mondo che corre, Maria Elena Boschi — almeno sul fronte del cuore — sembra aver deciso di fermarsi dove il ritmo è più umano. E di ripartire, stavolta, solo quando sarà il momento.
Cronaca Nera
Omicidio Meredith, parla Mignini: «Una nuova pista, un nome mai emerso». E riapre il caso di Amanda Knox e Raffaele Sollecito
Giuliano Mignini rivela di aver trasmesso alla Procura un nome inedito. L’ex magistrato non assolve Knox e Sollecito: «Erano gli unici presenti. Circostanze fortunate per loro». Mentre la nuova pista prende forma, tornano dubbi, ferite e domande su uno dei casi più mediatici della cronaca italiana.
Diciotto anni dopo, il caso Meredith Kercher torna a farsi sentire come un eco che non si spegne mai. A riaccendere la miccia è Giuliano Mignini, il magistrato che coordinò le indagini sull’omicidio della studentessa inglese uccisa a Perugia nel 2007. Una dichiarazione, una suggestione, e il fascicolo rientra nell’immaginario di un Paese che quel delitto non l’ha mai davvero archiviato.
Mignini parla di una nuova informazione arrivata di recente: «Una fonte che ritengo affidabile mi ha fatto il nome di un individuo, mai preso in considerazione prima d’ora. Una persona che potrebbe essere implicata nell’omicidio e che scappò all’estero pochi giorni dopo il delitto». Una frase che pesa, perché arriva da chi quella storia l’ha vissuta dall’interno. E perché, per la prima volta, si cita un potenziale nuovo protagonista.
La Procura di Perugia, per ora, non conferma l’apertura di un nuovo fascicolo. Ma Mignini specifica: «Ci sono elementi che potrebbero far pensare che questa persona abbia un qualche coinvolgimento nella vicenda. Ho segnalato la cosa alla Procura di Perugia». Poi un retroscena: «Se avessi conosciuto certi particolari all’epoca, avrei sicuramente approfondito. Purtroppo, per anni, chi sapeva non ha parlato per paura».
Nel frattempo, la storia resta segnata dalla condanna di Rudy Guede — oggi libero — e dall’assoluzione di Amanda Knox e Raffaele Sollecito dopo un percorso giudiziario infinito. Una conclusione che Mignini non ha mai considerato soddisfacente. «Le circostanze sono state fortunate per loro», osserva. E aggiunge: «Sicuramente Knox e Sollecito pensano di aver “stravinto” ma la realtà è ben diversa. Bastava che l’avvocato Biscotti non chiedesse il rito abbreviato per Guede e la condanna sarebbe stata certa anche per loro».
Non un’accusa esplicita, ma un’ombra che torna. «Sono stati assolti con formula dubitativa», ricorda l’ex pm. «Gli unici presenti sul luogo del delitto erano con certezza conclamata Amanda Knox e quasi certamente Raffaele Sollecito. Il dubbio è su quello che hanno fatto. Hanno partecipato o sono stati solo spettatori?». Una domanda che sembra avere perso i confini del processo per diventare terreno di memoria, convinzioni personali, ferite istituzionali.
Diciotto anni dopo, Meredith Kercher resta al centro di una storia giudiziaria che continua a interrogare più che a rassicurare. E nell’Italia che osserva questi ritorni, c’è una sensazione sospesa: come se il tempo avesse provato a chiudere una porta che qualcuno, ancora oggi, non riesce a sigillare.
Cronaca
Filippo “Champagne” Romeo sogna Milano da sindaco ma apre un locale… nel cuore di Monza
Si parla del suo futuro da candidato sindaco e di una lista dal nome folcloristico, “Il Popolo della Gaina”, mentre gli amici lo rilanciano come volto outsider. Intanto Filippo “Champagne” Romeo, noto per le sue serate mondane e per i trascorsi alla Gintoneria di Davide Lacerenza finita nell’inchiesta su escort e droga, apre un nuovo locale: non a Milano, ma a Monza.
Filippo “Champagne” Romeo, personaggio noto della movida meneghina e fratello del capogruppo leghista al Senato Massimiliano Romeo, torna a far parlare di sé. Questa volta non per una festa, né per una delle sue celebri notti a base di champagne, ma per un progetto che sembra oscillare tra politica e intrattenimento. Romeo, infatti, coltiva l’ambizione di correre come candidato sindaco di Milano, sostenuto da una lista civica dal nome che è già tutto un programma: “Il Popolo della Gaina”, gallina in dialetto, un richiamo volutamente pop e identitario pensato per strizzare l’occhio alla città e ai suoi umori.
Il personaggio, del resto, non ha mai nascosto il suo gusto per la provocazione e per il racconto colorato della politica. Romeo arriva da anni trascorsi tra nightlife, locali esclusivi e frequentazioni altisonanti, inclusa quella con Davide Lacerenza, proprietario della Gintoneria finita al centro dell’inchiesta che ha coinvolto escort e droga. Un passato che alimenta curiosità e mormorii, ma che non sembra frenare le sue ambizioni.
E mentre nei corridoi milanesi si discute della sua possibile discesa in campo, Romeo fa ciò che gli riesce meglio: riparte dal mondo dei locali. Solo che questa volta non sceglie Milano, bensì Monza. Qui sta per aprire un nuovo spazio dedicato alla nightlife, un locale che dovrebbe diventare il cuore del suo nuovo progetto imprenditoriale, perfetto per riunire amici, curiosi e sostenitori in un ambiente più raccolto ma strategico.
La scelta di Monza non è casuale: più discreta, più gestibile, meno sovrapposta alle tensioni politiche che inevitabilmente accompagnerebbero un’apertura nel capoluogo lombardo. Un terreno neutro da cui rilanciarsi e sperimentare, mentre l’idea di una candidatura continua a rimbalzare sui social e nelle chat della Milano bene.
Amici e simpatizzanti lo incoraggiano, qualcuno lo dipinge addirittura come una figura “anti-sistema” capace di rompere gli schemi della politica locale. Altri, più scettici, vedono in questa aspirazione una trovata pubblicitaria utile soprattutto a dare visibilità al nuovo locale.
Quel che è certo è che Filippo “Champagne” Romeo resta un personaggio che non passa inosservato. Tra serate mondane, ambizioni civiche e aperture strategiche fuori città, il suo nome continua a circolare. Milano, per ora, può attendere. Monza, invece, è pronta ad accoglierlo.
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