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La svolta storica di Papa Francesco: suor Simona Brambilla diventa la prima donna prefetto di un dicastero del Vaticano

Per la prima volta una donna guida un dicastero del Vaticano. Un incarico che apre nuove prospettive sul ruolo delle donne nella Chiesa e sfida i conservatori interni a confrontarsi con un futuro che non può più ignorare la parità

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    Una donna al vertice di un dicastero del Vaticano. Un titolo che, fino a pochi anni fa, sarebbe sembrato impossibile. Eppure, oggi è realtà: Suor Simona Brambilla, missionaria della Consolata e figura di spicco della vita religiosa, è stata nominata da Papa Francesco a capo del Dicastero per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica. Un momento storico, una svolta che segna un nuovo capitolo nella Chiesa Cattolica, dove il protagonismo femminile, spinto con determinazione da Bergoglio, continua a infrangere barriere consolidate.

    La nomina non è solo simbolica. Il dicastero che Suor Simona guiderà è uno dei più rilevanti all’interno della Curia romana, responsabile della vita religiosa di migliaia di congregazioni e ordini sparsi in tutto il mondo. Mai prima d’ora una donna aveva ricoperto un incarico di tale rilievo nel cuore decisionale del Vaticano. Il Papa, ancora una volta, ha dimostrato la sua capacità di spingere oltre i confini tradizionali, sfidando resistenze interne e aprendo la strada a una nuova visione di Chiesa, più inclusiva e sensibile al contributo delle donne.

    Suor Simona Brambilla, che il prossimo 27 marzo compirà 60 anni, non è nuova a sfide di questa portata. Il suo percorso è quello di una vita dedicata agli altri: dopo aver conseguito il diploma di infermiera professionale, si è unita alle Missionarie della Consolata, dove ha ricoperto ruoli sempre più importanti fino a diventare superiora generale dell’istituto. Ma è in Africa, terra che l’ha accolta per molti anni, che ha maturato l’esperienza umana e spirituale che oggi porterà nel suo nuovo incarico. Missionaria in Mozambico, ha vissuto a stretto contatto con le comunità locali, affrontando le sfide quotidiane della povertà, della malattia e della marginalità. Un’esperienza che ha plasmato il suo stile di leadership, improntato all’ascolto e alla cura, valori essenziali per il compito che l’attende.

    Questa nomina si inserisce in un percorso di cambiamento iniziato da Papa Francesco sin dall’inizio del suo pontificato. Dal 2013 al 2023, la percentuale di donne all’interno della Santa Sede è cresciuta dal 19,2% al 23,4%, un aumento che, seppur lento, segna una direzione chiara. Tra i precedenti passi significativi c’è stata la nomina di Barbara Jatta come direttore dei Musei Vaticani nel 2016, prima donna a ricoprire questo ruolo in una delle istituzioni culturali più prestigiose al mondo, e quella di Suor Raffaella Petrini nel 2022 come segretario generale del Governatorato, un incarico tradizionalmente riservato ai vescovi.

    Ma il caso di Suor Brambilla va oltre. È il primo esempio di una donna a capo di un dicastero, un incarico di governo vero e proprio. Non è più solo una questione di “collaborazione femminile”, ma di piena partecipazione alle scelte strategiche della Chiesa. Un cambiamento che non riguarda solo l’amministrazione, ma riflette una visione teologica e pastorale che considera le donne non come figure di supporto, ma come protagoniste.

    Naturalmente, questa svolta non è stata priva di opposizioni. All’interno della Chiesa, il fronte conservatore guarda con sospetto queste aperture, temendo che possano minare l’assetto tradizionale della gerarchia ecclesiastica. Eppure, Papa Francesco continua a camminare su questa strada con fermezza, consapevole che un reale cambiamento non può che passare attraverso scelte coraggiose e talvolta divisive.

    Suor Brambilla eredita un dicastero cruciale, in un momento delicato per la vita religiosa. Le congregazioni affrontano sfide crescenti: il calo delle vocazioni, le difficoltà economiche, le crisi interne e, soprattutto, il bisogno di rinnovarsi per rimanere rilevanti in un mondo in rapido cambiamento. La sua esperienza sul campo, la sua sensibilità missionaria e la sua capacità di dialogo saranno strumenti preziosi per affrontare questo compito.

    Resta ora da vedere come questa nomina sarà accolta e quale impatto avrà sul futuro della Chiesa. È un segnale forte, certo, ma anche una scommessa: la presenza di una donna al vertice di un dicastero saprà davvero aprire la strada a un cambiamento più ampio? O resterà un episodio isolato, simbolico ma senza effetti duraturi?

    Quello che è certo è che il cammino intrapreso da Papa Francesco non lascia indifferenti. Ogni decisione del pontefice sembra un invito a immaginare una Chiesa diversa, capace di rinnovarsi senza perdere la propria essenza. E con Suor Simona Brambilla, il messaggio è chiaro: il futuro della Chiesa non può prescindere dal protagonismo delle donne. Come sarà raccolta questa sfida, lo diranno i prossimi anni.

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      Trump, Musk e la corsa su Marte: l’ironia profetica di Fascisti su Marte

      Il film satirico di Corrado Guzzanti, uscito nel 2007, sembra più attuale che mai dopo le dichiarazioni di Trump e il gesto controverso di Elon Musk. La pellicola, una critica surreale al regime fascista, continua a essere un cult della comicità italiana. Tra camicie nere nello spazio e sogni di conquista del “pianeta bolscevico”, l’opera di Guzzanti anticipava inconsapevolmente scenari che oggi fanno discutere.

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        Ci sono film che invecchiano, altri che con il passare del tempo acquistano una nuova, inquietante attualità. Fascisti su Marte, lungometraggio storico-satirico diretto da Corrado Guzzanti e Igor Skofic, rientra senza dubbio nella seconda categoria. Uscito nel 2007, il film racconta in chiave grottesca le vicende di un manipolo di camicie nere impegnate in una missione surreale: colonizzare Marte, il “pianeta bolscevico e traditor”.

        Oggi, dopo le dichiarazioni di Donald Trump sulla necessità di uno sbarco su Marte e il gesto di Elon Musk durante l’insediamento del 47° presidente degli Stati Uniti – interpretato da molti come un saluto romano – la pellicola torna prepotentemente sotto i riflettori. L’opera, che all’epoca era già una satira corrosiva del regime fascista e delle sue follie, assume oggi un’aura quasi profetica.

        Il ritorno di un cult

        Fascisti su Marte è diventato nel tempo un punto di riferimento della comicità italiana, grazie alla sua capacità di mescolare satira politica e assurdità, con uno stile che ricalca il linguaggio e la retorica dell’epoca fascista per metterne in ridicolo l’ottusità. Il cast, composto da nomi del calibro di Corrado Guzzanti, Pasquale “Lillo” Petrolo, Marco Petrocca, Andrea Purgatori, Andrea Salerno e Caterina Guzzanti, ha dato vita a una serie di gag e battute diventate iconiche.

        Nel film, le camicie nere sbarcano su Marte convinte di portare la civiltà fascista su un pianeta ostile, salvo poi rendersi conto che il loro stesso progetto è fallace e senza senso. Una critica tagliente non solo al regime, ma a ogni forma di totalitarismo e propaganda.

        Un’ironia che anticipa il presente

        Se all’epoca il film era stato accolto come un’operazione nostalgico-demenziale, oggi il suo messaggio sembra più attuale che mai. Trump che rilancia l’obiettivo di portare l’uomo su Marte, Musk che si lascia andare a gesti ambigui, il clima politico globale sempre più incline al revisionismo: tutto sembra richiamare, in modo grottesco, l’assurda impresa raccontata da Guzzanti.

        La satira, del resto, ha spesso il potere di cogliere dinamiche nascoste e proiettarle nel futuro. Nel caso di Fascisti su Marte, il futuro è arrivato e somiglia incredibilmente a una commedia nera in cui realtà e parodia si confondono.

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          Salutiamo il nuovo (si fa per dire…) Presidente degli Stati Uniti d’America

          Archiviata per sempre l’era Biden, si apre oggi la seconda fase politica del tycoon. “Torno alla presidenza fiducioso e ottimista”, è quanto ha detto il neo eletto nel discorso dell’insediamento.

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            «Benvenuto a casa». Così Joe Biden ha accolto Donald Trump alla Casa Bianca, appena sceso dalla limousine, accompagnato dalla moglie Melania. Il presidente (ri)eletto e l first lady hanno stretto le mani al presidente uscente e alla moglie Jill, che li hanno accolti per un té. Da lì si sono poi recati a Capitol Hill.

            I cellulari dei presenti immortalano l’evento

            L’ultimo atto presidenziale di Biden

            Poche ore prima di cedere il posto a Trump, Joe Biden – come riferiscono i media americani – ha concesso la grazia a rappresentanti eletti e funzionari pubblici per proteggerli da “procedimenti giudiziari ingiustificati e politicamente motivati”. Tra questi anche Anthony Fauci, l’ex responsabile del National Institute of Allergy and Infectious Diseases, diventato una sorta di parafulmine per le critiche della destra durante la pandemia di Covid-19. Tra le altre figure che Biden ha deciso di proteggere da Trump anche l’ex generale Milley e ai membri del Congresso che hanno fatto parte del comitato della Camera incaricato di indagare sull’insurrezione al Campidoglio del 6 gennaio 2021.

            Tutto si è svolto in una Washington blindata

            È il giorno da molti atteso, quello del formale passaggio di consegne tra i due politici: il tycoon ha giurato come 47° presidente degli Stati Uniti, facebdo ritorno alla Casa Bianca per un secondo mandato (non consecutivo) dopo la vittoria alle elezioni di novembre 2024. Washington è apparsa blindata per la cerimonia tenutasi nella Rotonda del Campidoglio. Il primo a prestare giuramento è stato vicepresidente J.D. Vance, seguito da Trump. Poi il discorso che celebra questo nuovo corso.

            Inizia la “rivoluzione del buon senso”

            Il nuovo inquilino della Casa Bianca ha detto alla nazione: “Torno alla presidenza fiducioso e ottimista che stiamo iniziando una nuova emozionante era di successo nazionale. Un’ondata di cambiamento sta investendo il Paese”. E poi l’annuncio: “Oggi firmerò una serie di storici decreti esecutivi. Con queste azioni daremo inizio al completo ritorno dell’America e alla rivoluzione del buon senso. Il mio messaggio oggi agli americani è che è tempo per noi di agire ancora una volta con coraggio, vigore e vitalità”.

            Tra gli ospiti anche la Meloni

            Presenti all’evento molti leader mondiali tra cui anche la nostra premier Giorgia Meloni che al suo arrivo ha detto: “Penso che sia estremamente importante per una nazione come l’Italia, che ha rapporti estremamente solidi con gli Stati Uniti, dare una testimonianza della volontà di continuare e, semmai, rafforzare quella relazione in un tempo in cui le sfide sono globali e interconnesse”. Dal Vaticano il messaggio di Papa Francesco dove si invoca con fornza che “negli Usa non ci sia spazio per l’esclusione”, invitanto Trump a “promuovere la pace tra i popoli”.

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              In primo piano

              Niente più sorrisi, solo minacce: il ritratto ufficiale di Trump è il colpo di scena perfetto per il suo ritorno

              Il ritratto ufficiale diffuso dal suo staff è tutto fuorché istituzionale: niente sorriso, niente pose concilianti, ma uno sguardo torvo, sopracciglio alzato e illuminazione dal basso da manifesto di un thriller. Un déjà-vu inquietante che richiama la sua famosa foto segnaletica del 2023, quando fu arrestato ad Atlanta.

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                Lo sguardo torvo, il sopracciglio alzato, quell’espressione che sembra dire “Sono tornato e non farò prigionieri”. Il nuovo ritratto ufficiale di Donald Trump ha il sapore di una dichiarazione di guerra. Lontano anni luce da quello del 2017, dove almeno abbozzava un sorriso (magari con lo sforzo di chi si sente dire “dica cheese” da un fotografo annoiato), questa volta Trump ha scelto di mostrarsi esattamente come vuole essere percepito: serio, determinato, pronto alla battaglia. La foto in sé è una dichiarazione di guerra. A quattro giorni dall’Inauguration Day, il suo staff ha diffuso le immagini ufficiali del presidente eletto e del suo vice, J.D. Vance, con un titolo che è già una sentenza: “And they go hard”. Traduzione libera? “E spaccano”.

                Il ritratto di Vance, prevedibile e rassicurante, sembra quasi voler bilanciare la carica aggressiva del capo: un classico scatto istituzionale, mezzobusto, giacca e cravatta blu/celeste, bandiera americana sullo sfondo e un sorriso che cerca di trasmettere fiducia. Ma la vera notizia è la foto di Trump, scattata dal suo fotografo capo Daniel Torok, che ha scelto un approccio completamente diverso: niente sorrisi, niente pose ufficiali, niente look accomodante. La stessa luce che viene dal basso a illuminare il viso mettendone in risalto i tratti più duri è quella che viene usata spesso nei film horror o per immortalare i pugili o i wrestler. Il Donald 2024 è un’altra cosa.

                La foto ufficiale è un ritratto ravvicinato, con la luce che arriva dal basso in puro stile horror. Sembra il manifesto di un film di Carpenter, con tanto di ombre strategiche che mettono in evidenza gli occhi e il ghigno impercettibile. L’effetto è voluto, costruito e chirurgico. Trump è un maestro della comunicazione visiva, e non è certo la prima volta che usa un’immagine per scolpire il suo mito. Basta ricordare il suo gesto dopo l’attentato dell’agosto scorso: il pugno alzato, il grido “Fight! Fight! Fight!”, la bandiera americana sullo sfondo e il cerchio perfetto degli uomini della sicurezza che lo incorniciano. Sembrava un quadro di Delacroix aggiornato all’epoca dei social, con Trump nella parte di Gavroche e la folla in delirio.

                Non è un caso. Non esistono foto segnaletiche di ex presidenti degli Stati Uniti. O almeno, non esistevano fino ad agosto 2023, quando Trump venne arrestato ad Atlanta con l’accusa di aver tentato di sovvertire il voto in Georgia. La sua permanenza in carcere durò la bellezza di 20 minuti – giusto il tempo di essere schedato e rilasciato dietro cauzione da 200.000 dollari – ma la foto segnaletica fece il giro del mondo. Matricola P01135809, descrizione: “Maschio bianco, alto 1,92 cm per 97 chili, capelli biondi o fragola, occhi blu”. Un’immagine diventata subito virale, con articoli dedicati perfino alla sfumatura esatta del suo colore di capelli (tra blorange e strawberry blonde).

                E ora, la sua nuova foto ufficiale è praticamente identica. Stesso sguardo torvo, stessa espressione dura, stesso ciuffo pettinato con la proverbiale precisione geometrica. Trump sta collegando le due immagini in modo implicito, senza dirlo apertamente, ma lasciando che il messaggio si costruisca da solo nella mente di chi guarda. Perché? Perché il suo racconto politico è basato sulla narrazione della vittima che lotta.

                Dal momento in cui ha perso le elezioni del 2020, Trump ha trasformato la sua sconfitta in un mito: l’elezione rubata, la resistenza, l’attacco al sistema. Ha attraversato l’attentato, il pugno alzato, il cerotto sull’orecchio, ed è arrivato alla vittoria del 2024. Ora questa immagine è il punto d’arrivo della sua epopea personale. Un messaggio chiaro ai suoi elettori: “Mi hanno voluto distruggere, mi hanno arrestato, mi hanno dato per finito. E invece eccomi qui, pronto a riprendermi tutto.”

                Una storytelling perfetta, che funziona non solo per i suoi sostenitori, ma anche per chi lo detesta. È un’immagine che si aggancia direttamente alla storia recente, che fa “unire i puntini”. Ma soprattutto è una foto che cancella tutto quello che c’è stato nel mezzo: quattro anni di amministrazione Biden spariti nel nulla, come se non fossero mai esistiti. L’America si è svegliata dal sogno democratico ed è tornata esattamente al punto di partenza, con Trump di nuovo alla Casa Bianca.

                Nel 2017, la foto presidenziale di Trump era quella classica: sorriso di circostanza, pettinato, istituzionale, impeccabile. L’esatto opposto di oggi. Quella foto diceva: “Sono il presidente, accettatelo.” Questa dice: “Sto arrivando, e questa volta non faccio prigionieri.”

                Sui social, c’è chi ha trovato la nuova immagine inquietante, e in effetti non è sbagliato. La bocca tesa, lo sguardo accigliato, l’illuminazione strategica: tutto sembra progettato per creare una tensione visiva. Il messaggio subliminale è potente: “Non sono più il Trump del 2017. Ora so come funziona il gioco.” Lo aveva già detto durante la formazione della sua super-controversa squadra di governo: “Quando sono arrivato a Washington, non conoscevo nessuno. Ora so chi muove i fili.”

                Di fronte a tutto questo, il nuovo vicepresidente J.D. Vance ha deciso di fare esattamente il contrario. La sua foto è rassicurante, prevedibile, tradizionale. Il messaggio è chiaro: lui è quello affidabile, quello conservatore, quello senza ambiguità. Perché? Per bilanciare il fuoco d’artificio Trumpiano. Perché non serve che siano entrambi aggressivi, basta uno solo che prenda a martellate lo status quo. L’altro deve fare da garante istituzionale, da volto pulito, da uomo dello Stato.

                La partita, insomma, è appena iniziata. Trump ha costruito un’immagine che si allinea perfettamente alla sua narrativa. Un’immagine che urla vendetta, forza, determinazione. Una foto che non chiede fiducia, la pretende.

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