Cronaca Nera
Ciro Grillo, al processo è bagarre e viene (ri)proiettato il video del presunto stupro
Nuovo colpo di scena al processo contro Ciro Grillo e i suoi amici, accusati di violenza sessuale a Porto Cervo. Durante l’udienza, la psichiatra Marina Loi ha dichiarato che la vittima era completamente ubriaca e passiva, scatenando la protesta della difesa, che ha chiesto di riprodurre il video del presunto stupro. Intanto, Roberta racconta dettagli scioccanti della notte in questione. Il caso si fa sempre più complesso e drammatico. Restate aggiornati per ulteriori sviluppi!
A Tempio Pausania continua il processo che vede Ciro Grillo, figlio di Beppe Grillo, e i suoi amici Edoardo Capitta, Vittorio Lauria e Francesco Corsiglia accusati di violenza sessuale. L’episodio risale alla notte tra il 16 e il 17 luglio 2019, quando si sarebbe verificata l’aggressione nella villa di Porto Cervo del fondatore del M5S. Al centro dell’inchiesta ci sono le testimonianze e le prove raccolte, compresi i video girati dagli imputati.
La testimonianza della consulente di parte civile
Durante la recente udienza, è scoppiata una bagarre in aula. La psichiatra Marina Loi, consulente di parte civile, ha affermato che la giovane che ha presentato la denuncia era in uno stato di totale ubriachezza quella notte, tanto da essere “passiva” durante i rapporti sessuali. “Era completamente ubriaca e non in grado di opporsi,” ha dichiarato Loi.
La difesa insorge e chiede di riprodurre il video
La difesa degli imputati ha protestato vigorosamente, chiedendo di rivedere il video del presunto stupro, di cui erano stati mostrati solo alcuni frame. Il presidente del collegio ha acconsentito alla richiesta, permettendo la proiezione di 28 secondi del filmato girato con i telefonini degli accusati. Il punto cruciale è determinare se la ragazza fosse in grado di comprendere ciò che le stava accadendo.
Francesco Corsiglia: dichiarazioni e interrogatorio
Oggi è atteso in aula Francesco Corsiglia, che ha già rilasciato dichiarazioni spontanee e ora si sottoporrà a un interrogatorio. Le sue dichiarazioni saranno fondamentali per chiarire i dettagli della notte in questione.
Il racconto di Roberta: una testimonianza drammatica
Roberta, che avrebbe subito abusi la stessa notte, ha fornito un resoconto dettagliato degli eventi. “Silvia era in un letto singolo, nuda, confusa, aveva tutto il trucco colato e mi disse che l’avevano violentata tutti,” ha raccontato Roberta. Anche lei avrebbe subito abusi mentre dormiva, come rilevato dai magistrati attraverso foto e video sui cellulari degli imputati.
Le accuse della madre di Silvia
La madre di Silvia non è stata tenera con Roberta, accusandola di aver tentato di convincere sua figlia a tacere lo stupro. Roberta ha ricostruito la notte trascorsa con Silvia e gli imputati, spiegando che li avevano incontrati al Billionaire “verso l’1.30. L’organizzatore della serata era Ciro Grillo, il figlio di Beppe: si vantava di avere contatti con il personale del locale. Nel privé ci hanno portato due bottiglie di champagne e due di vodka, abbiamo bevuto tutti. Mentre ero in pista ho visto Ciro e Silvia che si baciavano su un divanetto, Silvia si staccava e mi è sembrato che non corrispondesse l’interesse”.










L’albo privato di Ciro Grillo
L’invito a casa e il rifiuto della droga
“A fine serata Ciro ci proponeva di fermarci a dormire a casa sua, con gli altri. Io non ero molto convinta, ma quando Silvia mi ha proposto di andare ho acconsentito, mi diceva di non preoccuparmi.” Una volta giunti lì, “Corsiglia cercava molto di avvicinarsi a Silvia. Ci hanno offerto alcolici ma non abbiamo accettato”. Roberta ha poi aggiunto: “Io e Silvia non abbiamo usato droghe, ma quando eravamo a casa ci proponevano di fumare marijuana; si chiedevano l’un l’altro dove l’avessero messa”.
Le urla di Ciro e la scoperta choc
Roberta ricorda di essersi svegliata per delle urla: “Sentivo Ciro che urlava. Era arrabbiato perché Silvia era con un altro. Diceva: ‘Me la sono portata a casa perché me la volevo sc… e invece lo sta facendo lui’ riferito evidentemente a Corsiglia. Poi, mentre dormivo, si è avvicinato e mi ha chiesto se volessi andare in camera con lui, ho detto di no. A un certo punto Silvia era accovacciata accanto a me, in accappatoio e piangeva. Le chiedevo cos’era successo, non rispondeva. È arrivato uno dei ragazzi, chiedeva se era tutto a posto e lei gli volgeva le spalle si è allontanata, saranno state le 8.30”.
“Mi hanno violentata tutti”
La scoperta choc arriva il giorno dopo: “Tra le 12.30 e le 13 mi sono svegliata e sono andata a cercarla. Era in un letto singolo, nuda, confusa, aveva tutto il trucco colato si guardava intorno come se non riuscisse a capire dove fosse ha detto: ‘Mi hanno violentata tutti'”. Nei giorni successivi, Silvia è apparsa “evasiva e turbata”. Quando Roberta l’ha rivista a Milano il primo agosto, Silvia ha detto che aveva parlato dell’accaduto con sua madre e stava prendendo provvedimenti.
Precedenti episodi
Roberta ha ricordato un episodio simile accaduto a Silvia l’anno prima: “Era in campeggio con la scuola, in Norvegia, aveva dormito in tenda con un compagno. Si era svegliata all’improvviso perché lui le era saltato addosso e aveva avuto un rapporto con lei contro la sua volontà”.
Il processo continua, e la ricerca della verità su quella notte a Porto Cervo prosegue. Restate sintonizzati per ulteriori aggiornamenti.
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Cronaca Nera
Omicidio Meredith, parla Mignini: «Una nuova pista, un nome mai emerso». E riapre il caso di Amanda Knox e Raffaele Sollecito
Giuliano Mignini rivela di aver trasmesso alla Procura un nome inedito. L’ex magistrato non assolve Knox e Sollecito: «Erano gli unici presenti. Circostanze fortunate per loro». Mentre la nuova pista prende forma, tornano dubbi, ferite e domande su uno dei casi più mediatici della cronaca italiana.
Diciotto anni dopo, il caso Meredith Kercher torna a farsi sentire come un eco che non si spegne mai. A riaccendere la miccia è Giuliano Mignini, il magistrato che coordinò le indagini sull’omicidio della studentessa inglese uccisa a Perugia nel 2007. Una dichiarazione, una suggestione, e il fascicolo rientra nell’immaginario di un Paese che quel delitto non l’ha mai davvero archiviato.
Mignini parla di una nuova informazione arrivata di recente: «Una fonte che ritengo affidabile mi ha fatto il nome di un individuo, mai preso in considerazione prima d’ora. Una persona che potrebbe essere implicata nell’omicidio e che scappò all’estero pochi giorni dopo il delitto». Una frase che pesa, perché arriva da chi quella storia l’ha vissuta dall’interno. E perché, per la prima volta, si cita un potenziale nuovo protagonista.
La Procura di Perugia, per ora, non conferma l’apertura di un nuovo fascicolo. Ma Mignini specifica: «Ci sono elementi che potrebbero far pensare che questa persona abbia un qualche coinvolgimento nella vicenda. Ho segnalato la cosa alla Procura di Perugia». Poi un retroscena: «Se avessi conosciuto certi particolari all’epoca, avrei sicuramente approfondito. Purtroppo, per anni, chi sapeva non ha parlato per paura».
Nel frattempo, la storia resta segnata dalla condanna di Rudy Guede — oggi libero — e dall’assoluzione di Amanda Knox e Raffaele Sollecito dopo un percorso giudiziario infinito. Una conclusione che Mignini non ha mai considerato soddisfacente. «Le circostanze sono state fortunate per loro», osserva. E aggiunge: «Sicuramente Knox e Sollecito pensano di aver “stravinto” ma la realtà è ben diversa. Bastava che l’avvocato Biscotti non chiedesse il rito abbreviato per Guede e la condanna sarebbe stata certa anche per loro».
Non un’accusa esplicita, ma un’ombra che torna. «Sono stati assolti con formula dubitativa», ricorda l’ex pm. «Gli unici presenti sul luogo del delitto erano con certezza conclamata Amanda Knox e quasi certamente Raffaele Sollecito. Il dubbio è su quello che hanno fatto. Hanno partecipato o sono stati solo spettatori?». Una domanda che sembra avere perso i confini del processo per diventare terreno di memoria, convinzioni personali, ferite istituzionali.
Diciotto anni dopo, Meredith Kercher resta al centro di una storia giudiziaria che continua a interrogare più che a rassicurare. E nell’Italia che osserva questi ritorni, c’è una sensazione sospesa: come se il tempo avesse provato a chiudere una porta che qualcuno, ancora oggi, non riesce a sigillare.
Cronaca Nera
“Corona aveva rapporti con i clan”: le rivelazioni del pentito William Alfonso Cerbo, detto “Scarface”
William Alfonso Cerbo, 43 anni, ex collettore economico del clan Mazzei di Catania, ha raccontato ai pm della Dda di Milano che Fabrizio Corona “si rivolgeva a Gaetano Cantarella quando aveva problemi su Milano”. Tra i ricordi, una richiesta di “recupero di 70mila euro a Palermo” e una cena con Lele Mora legata all’Ortomercato.
Il pentito William Alfonso Cerbo, detto “Scarface”, ha chiamato in causa Fabrizio Corona nel corso del maxi processo “Hydra” sulla presunta alleanza tra Cosa Nostra, ’ndrangheta e camorra in Lombardia. Davanti ai pm della Dda di Milano Alessandra Cerreti e Rosario Ferracane, Cerbo ha raccontato di essere stato “collettore economico a Milano del clan Mazzei di Catania” e di aver avuto contatti diretti con il mondo dello spettacolo.
Secondo quanto emerge dai verbali, l’ex re dei paparazzi “si rivolgeva a Gaetano Cantarella, storico affiliato al clan Mazzei, quando aveva problemi su Milano o per un recupero credito di 70mila euro a Palermo legato a una truffa subita da un suo amico”. Cerbo ha anche ricordato che “Corona e Cecilia Rodriguez vennero nella mia discoteca a Catania”, sottolineando come Cantarella avesse rapporti con “diversi personaggi dello spettacolo”.
Nel corso dei sei interrogatori, tra settembre e ottobre, Cerbo – oggi 43enne – ha ammesso la propria “partecipazione al reato associativo” e depositato una memoria di 27 pagine in cui elenca i punti della sua collaborazione con la giustizia. Tra questi, la scomparsa di Cantarella, ucciso nel 2020 in un episodio di lupara bianca su cui indagano i magistrati milanesi.
In un altro capitolo della memoria, Cerbo parla anche di Lele Mora. “Una domenica sera andammo a cena a casa di Lele Mora a discutere di affari all’Ortomercato”, ha raccontato. “Voleva sapere che tipo di frutta avrei potuto fornire, le quantità e i prezzi. Mi disse di avere rapporti stretti con il presidente della Sogemi e che sarei potuto essere utile grazie ai miei prezzi”.
Cerbo sostiene di aver inviato all’ex agente dei vip “il package della frutta in arrivo”, che Mora avrebbe poi girato a contatti all’interno del mercato ortofrutticolo milanese.
L’inchiesta “Hydra” coordinata dalla Dda di Milano mira a ricostruire le connessioni economiche e criminali tra le principali organizzazioni mafiose in Lombardia. E le parole di “Scarface” – tra imprenditori, personaggi televisivi e affari illeciti – aggiungono un tassello inquietante alla trama di rapporti tra mondi apparentemente lontani.
Cronaca Nera
Il mistero del guanto scomparso nel delitto Mattarella: arrestato un ex funzionario per depistaggio
Era una delle prove più importanti dell’inchiesta sull’omicidio dell’ex presidente della Regione Siciliana, Piersanti Mattarella. Ma quel guanto, repertato nel 1980 e mai più ritrovato, è ora al centro di un presunto depistaggio. Arrestato l’ex funzionario di polizia Filippo Piritore, presente al sopralluogo.
Un guanto di pelle marrone, da mano destra, ritrovato davanti al sedile passeggero della Fiat 127 usata dai killer di Piersanti Mattarella. È questo il dettaglio che, a 45 anni di distanza, riaccende i riflettori su uno dei delitti più oscuri della storia repubblicana. Secondo la procura di Palermo, quel guanto sarebbe stato fatto sparire da un ex funzionario della Squadra Mobile, Filippo Piritore, arrestato con l’accusa di depistaggio.

La presenza di Piritore sulla scena è attestata da una fotografia della Scientifica scattata durante il sopralluogo, subito dopo il ritrovamento dell’auto utilizzata per la fuga. Secondo la prassi, l’indumento avrebbe dovuto essere repertato e sottoposto ad analisi, ma ciò non avvenne.
E qui inizia la zona d’ombra. Il giorno successivo, il 7 gennaio 1980, Piritore — già in possesso degli oggetti trovati sulla vettura — attribuì al guanto una “destinazione diversa” rispetto al resto del materiale, che venne invece riconsegnato al proprietario della macchina.

Dalla documentazione rinvenuta oggi dalla Squadra Mobile emerge che l’ex funzionario avrebbe inviato il guanto all’allora sostituto procuratore Pietro Grasso, titolare delle indagini, tramite un agente della Scientifica. Una procedura anomala, secondo i magistrati, perché un reperto di quel tipo avrebbe dovuto restare agli esperti della polizia tecnica per le analisi balistiche e biologiche.
“La prassi adottata presenta diverse preoccupanti stranezze”, sottolineano i pm palermitani. Non solo il guanto è sparito, ma non esiste traccia di alcun verbale di consegna o ricevuta firmata dal magistrato o dal suo ufficio.




Per gli inquirenti, quella mancata registrazione rappresenta un passaggio cruciale in un possibile depistaggio volto a cancellare elementi utili per risalire agli autori materiali e ai mandanti del delitto. E quel piccolo oggetto di pelle scura, svanito nel nulla, torna oggi a pesare come un simbolo della verità mancata.
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