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Cronaca Nera

Delitto di Garlasco, la famiglia Cappa: “Basta illazioni. Non tollereremo oltre queste menzogne”

Le gemelle Paola e Stefania Cappa finiscono al centro delle ricostruzioni più fantasiose sul delitto di Garlasco. Il consulente dei Poggi chiede nuovi prelievi di Dna, la famiglia Cappa si difende: “Inaccettabile”. Intanto la Procura allarga le indagini sull’ora della morte di Chiara Poggi.

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    “Non passa giorno senza che vengano diffuse le più assurde e implausibili pseudo-informazioni”. La famiglia Cappa rompe il silenzio e risponde alle illazioni sul delitto di Garlasco, che continuano a trascinare le gemelle Paola e Stefania nell’occhio del ciclone. “Non tollereremo oltre questo modo di agire illecito e contrario alle norme di civile convivenza”, scrivono i legali in una nota al vetriolo. Il messaggio è chiaro: basta speculazioni.

    Intanto, mentre le ombre e i sospetti continuano ad addensarsi, il consulente dei Poggi, Marzio Capra, ha chiesto di ampliare i prelievi di Dna oltre la lista prevista. Un elenco che già comprende nomi noti: Alberto Stasi, condannato a 16 anni; Andrea Sempio, indagato in questa nuova inchiesta; la famiglia Poggi e gli amici più vicini alla vittima. Ma Capra spinge per estendere i controlli a chiunque abbia toccato i reperti, dai medici legali ai tecnici, “per evitare che, fra anni, un eventuale ‘Ignoto 3’ o ‘Ignoto 4’ sia in realtà il Dna di un carabiniere o del mio stesso”.

    Nel frattempo, la Procura di Pavia non si limita a rileggere le tracce biologiche. Il nuovo fascicolo sta rivalutando anche la possibile ora della morte di Chiara Poggi. Una variabile che potrebbe rimettere tutto in discussione: secondo la difesa, se Stasi fosse “togliuto” dalla scena del crimine nella finestra tra le 9.12 e le 9.35, il delitto potrebbe essersi consumato più tardi, almeno di 11 minuti, quando Chiara non risponde a un “squillo” del fidanzato alle 9.46.

    Le ricostruzioni, però, non coincidono. Il primo medico legale, Marco Ballardini, parlava di un decesso tra le 10.30 e le 12.00. La perizia collegiale del 2009, invece, rinunciò a fissare un’ora precisa. La verità, ancora oggi, resta sospesa. Ma la famiglia Cappa non ci sta a finire di nuovo nella gogna mediatica. “Basta veleni e fantasie. Noi ci difenderemo in tutte le sedi”. Il maxi incidente probatorio è alle porte. E Garlasco, 17 anni dopo, non smette di far parlare di sé.

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      Cronaca Nera

      Il serial killer delle escort: «Ho ucciso anche Ana Maria. E ora cerco di ricordare quante altre»

      Vasile Frumuzache, la guardia giurata che ha strangolato e decapitato Denisa Paun, confessa un secondo omicidio: Ana Maria Andrei, 27 anni, scomparsa nel luglio 2023. Trovati i resti dove aveva già abbandonato Denisa. Le indagini si allargano in Toscana e in Sicilia: si sospettano altri casi.

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        Non si ferma l’orrore attorno a Vasile Frumuzache, la guardia giurata romena di 32 anni che ha confessato l’omicidio di Denisa Paun, la connazionale di 30 anni strangolata e decapitata il 15 maggio scorso in un residence di Prato. Messo alle strette, Frumuzache ha confessato un secondo omicidio: quello di Ana Maria Andrei, 27 anni, anche lei escort e sua connazionale, scomparsa misteriosamente a fine luglio 2023.

        Una rivelazione che conferma i sospetti più foschi: Denisa non era stata la prima vittima. Il killer ha ammesso di aver colpito un anno fa, nello stesso campo a Montecatini Terme dove ha abbandonato il corpo di Denisa: «Abbiamo discusso, l’ho accoltellata», ha detto. I carabinieri, grazie a un’intuizione durante i sopralluoghi nella proprietà dell’assassino a Monsummano Terme, hanno trovato una Bmw scura con tracce di vernice rossa, come l’auto che Ana Maria guidava prima di sparire. E non solo: dal cellulare della ragazza partì una telefonata verso quello di Frumuzache pochi minuti prima che Denisa venisse uccisa. «Non so perché l’ho fatta – ha detto lui – avevo bruciato il suo telefono ma conservato la scheda».

        Gli investigatori hanno ritrovato resti di Ana Maria, insieme a una parrucca proprio nel punto indicato dal killer. E adesso, mentre proseguono le ricerche nella zona, si allarga la lente degli investigatori coordinati dal procuratore Luca Tescaroli. La nuova pista? Possibili altri delitti. Si indaga su decine di denunce di scomparsa in Toscana negli ultimi sette anni e nella provincia di Trapani, dove Frumuzache ha vissuto prima di trasferirsi nel Pistoiese.

        L’uomo sembra aver seguito una sorta di rituale macabro: lo stesso coltello da cucina che avrebbe usato nel primo omicidio, lo ha portato con sé anche la notte dell’assassinio di Denisa. «Non l’ho usato», ha detto. Ma gli inquirenti sospettano che fosse un simbolo della sua violenza seriale.

        La confessione di Frumuzache apre scenari cupi. Mentre la cronaca si popola di dettagli inquietanti, i carabinieri scavano nel passato dell’uomo e nelle ombre di una vita apparentemente normale: padre di due figli e impiegato come guardia giurata. Eppure, dietro la facciata, si cela una spirale di violenza che potrebbe aver lasciato altre vittime.

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          Paola e Stefania Cappa, la verità in bilico sul delitto di Garlasco e i misteri che nessuno indaga

          Dalla bicicletta nera alla fossa comune di silenzi e incongruenze: Paola e Stefania Cappa, cugine di Chiara Poggi, restano al centro di un intrigo che da diciotto anni non smette di alimentare sospetti e teorie. In questa storia di segreti e omissioni, sono loro a portare con sé la chiave mancante.

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            C’è una bicicletta da donna nera, con portaborse color fucsia, parcheggiata davanti alla villetta di via Pascoli a Garlasco. C’è una famiglia, i Cappa, che in quella casa aveva accesso e confidenza, unica insieme alla vittima e alla sua famiglia. C’è un tentativo di suicidio, due giorni prima del delitto, e una violenza mai approfondita subita in tenera età. Ombre, sospetti e misteri, che gravitano attorno a Paola e Stefania Cappa e a un delitto – quello di Chiara Poggi – che, a distanza di quasi due decenni, ancora non trova un punto fermo.

            13 agosto 2007

            Siamo a Garlasco, provincia di Pavia. È il 13 agosto 2007 quando Chiara Poggi viene ritrovata morta nella cantina di casa sua. Alberto Stasi, fidanzato della vittima, verrà poi condannato in via definitiva per omicidio. Ma la vicenda processuale ha lasciato buchi neri e interrogativi mai risolti, tra cui quelli che riguardano proprio le gemelle Cappa.

            Il suicidio tentato

            Paola, la più fragile, aveva tentato il suicidio l’11 agosto, due giorni prima del delitto. Un gesto disperato e carico di significati che nessun investigatore ha mai approfondito. Paola, sempre lei, ha parlato di un uomo con la camicia bianca, “non il fidanzato”, che avrebbe ucciso Chiara, secondo una misteriosa sensitiva.

            Stefania ha incastrato Stasi?

            Stefania, la più spavalda, invece ha partecipato a un colloquio con Alberto Stasi registrato in caserma dai carabinieri. Con una frase sconcertante: “Ma alle 9 e mezza?”, orario del delitto che verrà confermato solo anni dopo. Come faceva a saperlo? Nessuno gliel’ha mai chiesto.

            I Cappa avevano le chiavi di casa

            I Cappa, unica famiglia insieme ai Poggi a detenere le chiavi e l’allarme di casa, non hanno mai dato un racconto davvero lineare di quella mattina. Ermanno, lo zio potente e influente in paese, parla di orari che non coincidono. Maria Rosa, la moglie, viene vista in giro in auto prima di quanto dichiara. E Stefania e Paola restano nell’ombra, tra mezze verità e reticenze.

            In questo quadro ambiguo, c’è la bicicletta. Quella bici da donna, la “Raleigh” con le borse laterali fucsia, era lì, immortalata nella memoria delle vicine. Mai fotografata. Mai sequestrata. Mai confrontata con la bici che porterà poi alla condanna di Alberto Stasi. Un dettaglio sfuggito o forse ignorato.

            E poi c’è la Croce Garlaschese, dove Paola e Stefania facevano volontariato. Proprio lì un muratore denuncia la sparizione di una mazzetta da un chilo, un attrezzo potenzialmente letale. Era il 20 agosto, appena una settimana dopo l’omicidio. Coincidenze? Forse. Ma la Procura di Pavia ha deciso di riaprire quel cassetto.

            Il cerchio dei sospetti e delle chiacchiere di paese si stringe attorno alle gemelle. Paola, con i suoi messaggi vocali a un amico in cui confessa di essere stata “usata” per incastrare Stasi. Stefania, che a quattro giorni dal delitto si muove tra le voci e i misteri di Garlasco, alla ricerca di verità. Un microcosmo di silenzi e di bugie, dove l’unica certezza resta la morte di Chiara Poggi.

            Oggi, i nuovi approfondimenti della Procura puntano a colmare quei vuoti investigativi lasciati negli anni. Paola e Stefania sono lì, in bilico tra la memoria e il sospetto, testimoni di un mondo dove la verità è sempre stata un passo più in là.

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              Garlasco, una donna complice sul luogo del delitto? Il sospetto dell’impronta col tacco e il mistero dell’arma “con uno spigolo netto”

              Dal sospetto dell’impronta lasciata da un tacco alla ferita compatibile solo con una scarpa femminile: gli elementi dell’autopsia e le nuove indagini su Andrea Sempio rilanciano l’ipotesi di una complice donna sul luogo del delitto. In un’indagine che non ha mai smesso di inquietare, la figura femminile riemerge come un’ombra, tra la violenza cieca dell’omicidio e i dettagli sfuggiti agli occhi di chi, finora, si era fermato alle certezze più facili.

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                A Garlasco, nell’agosto del 2007, la vita di Chiara Poggi si è spezzata in un mattino che ancora oggi inquieta e divide. Dopo anni di processi e sentenze, un nuovo dettaglio affiora e insinua un dubbio sottile: sul luogo del delitto ci sarebbe potuta essere una donna, una presenza silenziosa ma decisiva nell’economia dell’omicidio.

                Secondo quanto riportato da Il Giorno, gli inquirenti di Pavia stanno rileggendo ogni dettaglio delle indagini e del referto autoptico firmato dal professor Marco Ballardini. È proprio in quelle pagine, redatte nel linguaggio freddo e chirurgico della medicina legale, che si nascondono dettagli capaci di riaprire scenari sepolti.

                Chiara Poggi è stata uccisa senza potersi difendere. Le ferite che le sono state inflitte parlano di un’arma contundente e pesante, con almeno uno spigolo netto, vibrata con forza solo contro la testa della ragazza. Una violenza cieca, che non le ha lasciato il tempo né la possibilità di proteggersi: “Scarsamente efficaci o anche assenti tentativi di difesa della vittima”, annota il medico legale.

                Ma c’è di più. C’è quella ferita sulla coscia sinistra della giovane che sembra raccontare un altro retroscena. Una contusione compatibile, scrive Ballardini, “con un calettamento violento dal tacco o dalla punta di una scarpa”. Non una suola piatta e maschile come quella delle scarpe Frau numero 42, attribuite ad Alberto Stasi, già condannato in via definitiva per l’omicidio. Una scarpa diversa, più minuta, femminile. Forse appartenente a una donna.

                E qui, in questa impronta che non trova un proprietario, si annida l’ipotesi di una complice. Perché se la scarpa di Stasi non poteva lasciare quel segno, e se Andrea Sempio – oggi indagato per concorso in omicidio – resta un sospettato con un passato di amicizia e segreti nella cerchia di Chiara, la presenza di una figura femminile sul luogo del delitto torna a farsi largo. Una donna che avrebbe infierito sul corpo già martoriato, forse per un gesto di odio o disprezzo, forse come segno di complicità.

                Chi era questa donna? E, soprattutto, perché nessuno l’ha mai cercata davvero?

                La scena del crimine, come sappiamo, fu inquinata dalle troppe presenze quella mattina. Ma la ferita sulla coscia di Chiara non è un dettaglio postumo. Non è un segno casuale lasciato dai soccorritori o dai curiosi entrati nella villetta di via Pascoli. È un’impronta viva, un segno della violenza subita quando Chiara era ancora in vita.

                Eppure, per anni, l’indagine si è fermata al racconto ufficiale: Alberto Stasi, solo, nella villetta. Il ragazzo di buona famiglia, condannato a sedici anni in via definitiva. Ma attorno a lui, nella rete di conoscenze e segreti di provincia, si muovevano anche altri nomi. Andrea Sempio, amico di Marco Poggi, il fratello di Chiara, è uno di questi. E in quel cerchio, si diceva già allora, c’erano ragazze che sapevano, che forse c’erano.

                Oggi la procura di Pavia non esclude più la pista della complicità. Le nuove verifiche sull’arma del delitto – “uno strumento pesante, con spigolo netto” – e sulle impronte compatibili con una scarpa femminile riaprono il campo delle ipotesi.

                E intanto, la figura di Chiara Poggi, la ragazza “dell’oratorio e della banca” come la raccontavano i giornali, si tinge di nuove ombre. Lei che, secondo le contusioni trovate sul corpo, avrebbe provato a fuggire, forse cadendo durante un disperato tentativo di scampo. Lei che, in quella casa, ha trovato la morte senza un solo grido, e con la mano di chi l’ha uccisa – o di chi l’ha aiutato a farlo – rimasta nell’ombra.

                La verità, a Garlasco, resta sempre un passo più in là. E la sensazione è che ci sia ancora qualcuno che non ha raccontato tutto.

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