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Cronaca

Denise Pipitone, la madre: “Ho la foto di una ragazza che sembra mia figlia”

Il mistero della scomparsa di Denise Pipitone potrebbe finalmente risolversi grazie a una nuova segnalazione, rivelata dalla madre Piera Maggio. Con una foto potenzialmente rivelatrice in mano, Maggio continua la sua incrollabile ricerca della verità dopo 20 anni di speranze e dolori. Un capitolo nuovo si apre in questa intricata vicenda che ha scosso l’Italia.

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    Una nuova segnalazione potrebbe finalmente gettare nuova luce sul mistero che avvolge la scomparsa di Denise Pipitone, la bambina di quattro anni sparita nel nulla a Mazara del Vallo nel settembre del 2004. Questa sorprendente notizia è stata divulgata dalla madre, Piera Maggio, che ha condiviso il suo costante spirito di speranza nel ritrovare sua figlia.

    Maggio ha descritto l’emozione di aver ricevuto una foto di una ragazza che potrebbe potenzialmente essere Denise. “C’è una ragazza, una minore, straordinariamente somigliante a mia figlia”, ha dichiarato. “Quell’immagine risale a molti anni fa e stiamo cercando di individuare l’anno quando è stata scattata e chi erano quelle persone. Non mi innamoro di un’immagine perché la ritengo assolutamente, con alta probabilità, di mia figlia”, ha aggiunto, sottolineando la determinazione nel perseguire ogni possibile pista.

    “Continuerò a considerare la scomparsa di Denise come un rapimento finché non avrò prove concrete del contrario”, ha ribadito Maggio. “Io e mio marito siamo impegnati nella ricerca da vent’anni. Finché non verrà fuori la verità, non potrò trovare pace. La mia non è la vita tipica di una madre; devo essere forte e andare avanti, ma ogni giorno le sfide mi logorano”, ha confessato la madre con sincera tristezza.

    Riguardo alle segnalazioni ricevute, Maggio ha spiegato che continuano a giungere molte informazioni su Denise, ma che stanno concentrando gli sforzi sulle segnalazioni più credibili. “C’è una pista che stiamo seguendo”, ha dichiarato. “Questa bambina ha molte somiglianze con Denise. Stiamo lavorando con gli avvocati per verificare ulteriormente, e se non riusciamo a chiuderla, renderemo pubblica questa pista”.

    Infine, Maggio ha rivelato i sospetti che ancora la tormentano insieme a suo marito, Piero Pulizzi. “Mio marito ha perso tre figlie”, ha raccontato. “Abbiamo ancora dei sospetti sulle due figlie di Piero avute dal matrimonio con Anna Corona. Da quando è scomparsa Denise, lui non le ha più frequentate. Abbiamo le idee molto chiare sui fatti accaduti, nonostante la sentenza di terzo grado non cambi il nostro punto di vista”, ha concluso.

      Storie vere

      RistOrobie l’osteria tutta al femminile dove riscoprire i sapori di montagna

      RistOrobie, osteria di montagna premiata da Slow Food con la Chiocciola, propone una visione più briosa e contemporanea della cucina tradizionale montanara.

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        E’ situata ai Piani dell’Avaro in Alta Val Brembana, in provincia di Bergamo, e rappresenta una perla della cucina di montagna gestita completamente da donne. Si chiama Osteria RistOrobie, ed è stata premiata da Slow Food con la Chiocciola. E come mai? Fondamentalmente perché questo ristorante familiare sa offrire una visione contemporanea di alta qualità della cucina tradizionale alpina lombarda. La gestione di questo locale incastonato nell’Alta Val Brembana è affidata a Paola Rovelli e Miriam Gozzi, che vent’anni fa hanno trasformato un rifugio alpino in un ristorante, portando avanti una cucina in sinergia con la natura circostante.

        Tutto in famiglia a selezionare e servire il meglio della produzione locale

        RistOrobie si distingue dai numerosi punti di ristoro disponibili anche nella stessa zona per l’attenta valorizzazione dei prodotti locali. Un esempio? I formaggi DOP della zona (Taleggio, Agrì di Valtorta, Stracchino all’antica e Formai de Mut) e la selvaggina, ottenuta da fonti tracciabili grazie all’adesione al progetto “Selvatici e buoni“. Le figlie di Paola, Sara e Claudia, che si sono arruolate nella gestione, hanno apportato un tocco innovativo alla proposta culinaria, introducendo, per esempio, una carta dei vini con un’ampia selezione di etichette bergamasche e valtellinesi.

        Andare per Erbe per offrire sempre il meglio del territorio

        Il locale abbraccia anche la tradizione del foraging. Il termina significa “Andare per Erbe” ovvero raccogliere cibo selvatico, una passione antica e tradizionale che ha conquistato anche i grandi chef e che sposa il concetto di sostenibilità nel piatto. L cucina di RistOrobie, infatti, utilizza erbe locali come parùc, ortica e tarassaco, protagoniste di piatti innovativi come la maionese all’Achillea. Provare per credere.

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          Storie vere

          Baristi detective a Roma: il Twins bar e i mille casi risolti alla stazione Termini

          Omicidio alla stazione Termini di Roma: parlano i baristi detective che in 30 anni hanno risolto più di mille casi. Il loro segreto? Clienti schedati e telecamere ovunque.

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            I fratelli Massimiliano e Gianluca Bagordo gestiscono il Twins bar da oltre 30 anni. Oltre a servire caffè, il loro locale è diventato un punto di riferimento per la sicurezza grazie al loro innovativo sistema di sorveglianza e alla stretta collaborazione con le forze dell’ordine.

            Indagini possibili grazie alle telecamere ad alta definizione

            Abbiamo contribuito a risolvere quasi mille casi tra risse, rapine ed episodi gravi,” raccontano. Uno degli ultimi casi seguito dai due detective baristi riguarda l’omicidio del 28enne Jarol Bernaola, accoltellato dal connazionale Sergio Siguas Nunez con l’aiuto di un complice. “Le nostre telecamere ad alta definizione hanno ripreso tutta la scena, dall’accoltellamento alla fuga dell’assassino, permettendo di risolvere il caso in poche ore.”

            Più che un bar il Twins sembra un club super esclusivo

            Il segreto del Twins bar sta nella sua rigorosa sicurezza. Dopo le 22, chiunque voglia entrare deve tesserarsi, lasciare i propri documenti e depositare eventuali zaini in guardaroba. Questa politica, concordata con l’ex prefetto di Roma Matteo Piantedosi, oggi ministro dell’Interno, permette di tenere sotto controllo chi frequenta il locale e prevenire furti e borseggi. “In tanti anni ne abbiamo viste di tutti i colori,” spiegano i due fratelli Bogardo. Tra gli episodi più curiosi, raccontano di una ragazza derubata dal fidanzato sotto i loro occhi, o del figlio che ha rubato il portafoglio alla madre. Cose dell’altro mondo…

            Un tentativo di ristabilire l’ordine nel quartiere

            Il loro approccio alla sicurezza non è solo dettato dalla scelta di tutelare il locale, ma anche per cercare di migliorare una zona – quella della Stazione Termini – ormai invasa da gang e criminalità. Via Giolitti, nei pressi della stazione, è considerata fuori controllo, con rapinatori, borseggiatori e spacciatori che si aggirano continuamente. “Abbiamo scelto di rinunciare ai guadagni facili e selezionare la nostra clientela. Il 90% delle persone sa che non deve fare sciocchezze, e per quel 10% che ci prova, le telecamere risolvono subito la situazione.”

            Occhio vigile a disposizione delle forze di Polizia

            Nel corso degli anni, i Bagordo sono stati coinvolti in numerosi casi, come l’accoltellamento dello chef Luca Battisti o l’aggressione a bastonate di una donna mentre aspettava l’autobus. Grazie alla loro sorveglianza, il Twins bar è diventato così un pilastro per la sicurezza della zona, in collaborazione con le forze dell’ordine.

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              Politica

              Processo Open Arms: chiesti sei anni per Salvini sotto accusa per aver negato i diritti dei naufraghi

              Matteo Salvini avrebbe abusato del suo ruolo di ministro per ostacolare lo sbarco di 147 migranti, ignorando i diritti umani fondamentali e cercando un guadagno politico a scapito delle vite in mare.

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                Il processo Open Arms che vede imputato Matteo Salvini si è trasformato in un atto d’accusa contro un ex ministro che, secondo la procura, ha sfruttato la sua posizione per perseguire fini politici, calpestando i diritti umani. Sei anni la richiesta dei pm per sequestro di persona. Le scelte di Salvini durante l’estate del 2019, quando negò l’accesso a un porto sicuro per 147 migranti soccorsi dalla nave Open Arms, non sarebbero state motivate dalla difesa dei confini, bensì dal desiderio di consolidare il proprio consenso politico, anche a costo di violare leggi internazionali e diritti fondamentali.

                L’accusa: abuso di potere per fini politici
                «Non si può invocare la difesa dei confini senza tenere conto della tutela della vita umana in mare», ha esordito la procuratrice aggiunta Marzia Sabella, che non ha esitato a definire le azioni di Salvini un abuso di potere volto a ottenere un ritorno politico. Secondo l’accusa, l’ex ministro avrebbe scavalcato ogni principio di umanità e ogni norma internazionale per ergersi a difensore della sovranità nazionale, ignorando deliberatamente il diritto dei migranti a essere soccorsi e messi in salvo.

                Una scelta politica mascherata da atto amministrativo
                La requisitoria della procura di Palermo è stata chiara: le decisioni di Salvini non furono un atto di governo, ma una scelta personale, un’iniziativa che andava oltre la linea politica ufficiale dell’esecutivo Conte 1. L’azione dell’ex ministro, sostenuta solo in parte dal governo, è stata descritta come una mossa calcolata per rafforzare la propria immagine pubblica a scapito dei diritti umani. «Il ministro Salvini ha fatto prevalere l’obiettivo della redistribuzione dei migranti sulla salvaguardia dei loro diritti umani», ha sottolineato Sabella, ricordando come anche il premier di allora, Giuseppe Conte, avesse sconfessato queste iniziative.

                Un muro contro la vita umana
                Nell’estate del 2019, Salvini non si limitò a negare un porto sicuro alla nave della Ong spagnola: eresse un vero e proprio muro nel Canale di Sicilia, lasciando in balia del mare 147 persone, tra cui minori, in una condizione precaria. La procura non usa mezzi termini, parlando di «illegittima privazione della libertà personale» perpetrata ai danni di questi migranti, costretti a rimanere a bordo della nave per giorni, fino all’intervento della procura di Agrigento che ne ordinò lo sbarco.

                La difesa dei confini come strumento di propaganda
                La difesa di Salvini, guidata dall’avvocata Giulia Bongiorno, cerca di spostare l’attenzione su una presunta linea politica condivisa dal governo, ma l’accusa rimane ferma: quella di Salvini fu una scelta deliberata, volta a fare propaganda politica sulla pelle di esseri umani disperati. Il pm Geri Ferrara ha evidenziato come la decisione di non concedere il “place of safety” (Pos) non fosse giustificata da alcuna reale preoccupazione per la sicurezza nazionale, ma fosse piuttosto un tentativo di alimentare il consenso elettorale, sfruttando la paura e l’insicurezza diffuse nel Paese.

                La responsabilità del ministro
                Salvini ha invocato la difesa dei confini come scusa per le sue azioni, ma la procura ha demolito questa linea difensiva, sottolineando che «i diritti dell’uomo vengono prima della difesa dei confini». L’ex ministro, secondo l’accusa, ha manipolato la situazione per apparire come un baluardo contro l’immigrazione clandestina, ignorando deliberatamente le convenzioni internazionali che impongono agli Stati l’obbligo di soccorso in mare. «Salvini ha trasformato una questione umanitaria in un’opportunità per alimentare la sua retorica politica», ha accusato Ferrara.

                Un processo che va oltre la politica
                Il processo a Palermo non è semplicemente un confronto tra linee politiche, ma un giudizio su come un ministro abbia sfruttato il suo potere per ottenere un vantaggio personale a spese dei diritti umani. «La competenza di concedere un porto sicuro era di Salvini», ha ribadito la procura, e la sua decisione di non farlo, pur di mantenere il sostegno popolare, lo pone ora di fronte a un’accusa gravissima: quella di aver anteposto la propaganda politica alla vita di esseri umani in pericolo.

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