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Cronaca Nera

Garlasco, blitz a casa di Sempio e canale prosciugato: si cerca l’arma del delitto di Chiara Poggi

Nuovi sviluppi nell’inchiesta sull’omicidio di Chiara Poggi, a 17 anni dal delitto. L’arma potrebbe essere un attizzatoio gettato nel canale indicato da una testimonianza raccolta dalle Iene

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    Diciassette anni dopo il delitto di Chiara Poggi, a Garlasco si torna a scavare. Letteralmente. I carabinieri del nucleo investigativo di Milano hanno effettuato oggi una serie di perquisizioni, su delega della procura di Pavia, nell’ambito della nuova inchiesta sull’omicidio della giovane uccisa nella villetta di via Pascoli il 13 agosto 2007. L’operazione, che coinvolge Andrea Sempio – indagato per omicidio in concorso – ha toccato tre luoghi distinti: la sua abitazione a Voghera, la casa dei suoi genitori a Garlasco, e un canale a Tromello, paese poco distante, dove si cerca quella che potrebbe essere l’arma del delitto.

    Blitz a casa di Sempio e canale prosciugato

    Le operazioni sono scattate all’alba. I militari si sono presentati nella casa di Sempio a Voghera per eseguire una perquisizione mirata: sequestrati supporti informatici, telefoni, pc e una scatola di cartone il cui contenuto non è ancora stato reso noto. Presente anche l’avvocata Angela Taccia, legale del 37enne, che al momento risulta iscritto nel registro degli indagati. In contemporanea, altri militari hanno bussato alla porta della villetta dei genitori di Sempio, a meno di 800 metri da quella in cui Chiara fu uccisa.

    I movimenti della famiglia

    Qui gli investigatori hanno concentrato l’attenzione sui movimenti della famiglia nella mattina del delitto. In particolare, sulla madre, Daniela Ferrari, già ascoltata nelle scorse settimane come persona informata sui fatti ma poi colta da malore dopo essersi avvalsa della facoltà di non rispondere. Nel mirino anche un vecchio scontrino di un parcheggio di Vigevano, consegnato da Sempio ben un anno dopo i fatti, che solleva più dubbi che certezze.

    Un canale a Tromello

    Ma il cuore delle operazioni si è spostato a Tromello, lungo un canale che scorre dietro una vecchia casa di corte in via Fante d’Italia. Un luogo che potrebbe nascondere – secondo un testimone anonimo – l’arma del delitto. La roggia si trova nei pressi dell’abitazione in cui ha vissuto la nonna delle gemelle Cappa e, all’epoca del delitto, il fratello Cesare, che però quel giorno era in vacanza in Croazia.

    Un lavoro complesso

    Il canale è stato ispezionato per circa un chilometro e duecento metri, con l’ausilio dei vigili del fuoco e della protezione civile. Le squadre hanno installato delle paratie per bloccare il flusso dell’acqua e attivato le idrovore per prosciugarlo. Un lavoro complesso, necessario per permettere un’eventuale ricerca dell’arma che – secondo il racconto del testimone, raccolto dalle Iene e al centro di una puntata in onda il 20 maggio – sarebbe stata gettata proprio lì.

    L’oggetto descritto nel video è lungo e metallico, compatibile con un attizzatoio da camino. Un attrezzo del genere, secondo alcune teorie investigative mai del tutto abbandonate, potrebbe corrispondere all’arma con cui Chiara fu colpita mortalmente nella sua casa. Le prime perquisizioni di quel tratto di canale, effettuate anni fa, si erano concentrate solo su un segmento di circa 300 metri. Oggi, invece, l’intervento si estende su un’area molto più vasta.

    Un tecnico del Comune di Tromello ha spiegato che, senza uno svuotamento completo, sarebbe stato impossibile cercare con efficacia. “Metteranno delle paratie per isolare il tratto e poi lo svuoteranno con le idrovore”, ha detto. L’acqua residua, profonda qualche decina di centimetri, sarà rimossa lungo tutto il tratto interessato.

    Al momento, nessuna informazione ufficiale è stata diffusa su eventuali ritrovamenti. Ma le attività, coordinate dal procuratore capo Fabio Napoleone, dall’aggiunto Stefano Civardi e dalla pm Valentina De Stefano, proseguiranno per tutta la giornata. L’arma – se mai verrà ritrovata – potrebbe riscrivere una storia giudiziaria che sembrava chiusa con la condanna definitiva all’ergastolo di Alberto Stasi, ex fidanzato di Chiara Poggi. E invece è tornata più aperta che mai.

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      Cronaca Nera

      Una morte assurda nei boschi dell’Alto Adige: il caso Aaron Engl

      L’indagine è chiusa: nessun omicidio, ma una tragica fatalità. Secondo la Procura di Bolzano, il 24enne si sarebbe decapitato da solo con una motosega sotto l’effetto di sostanze allucinogene, dopo un rave party.

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        Una notte di festa, poi l’oblio. E infine la morte. Quella di Aaron Engl, 24 anni, boscaiolo altoatesino, è una delle vicende più incredibili e spaventose che l’Italia abbia conosciuto negli ultimi mesi. Non per efferatezza, non per mano di assassini, ma per l’inquietante miscela di isolamento, sostanze psicotrope e casualità che ha portato il giovane a una fine tanto assurda quanto solitaria.

        Il caso risale alla mattina del 18 agosto 2023, in località Marga di Terento, nei pressi della malga Raffalt. Lì, in una zona impervia della Val Pusteria, il corpo di Engl viene ritrovato semidecapitato accanto alla sua motosega. Una scena inquietante, che sin da subito solleva interrogativi. La prima ipotesi è brutale: si pensa a un omicidio. A un’esecuzione. Ma la pista, col passare delle ore, vacilla. E inizia a farsi strada un’altra verità. Più sottile. Più disturbante.

        Il rave, il viaggio solitario e la motosega

        Secondo quanto ricostruito dalla Procura di Bolzano, la sera prima della tragedia Aaron aveva partecipato a un rave party assieme a un gruppo di amici e parenti. Una serata lunga, fuori controllo, segnata anche – come confermeranno poi le analisi tossicologiche – dall’assunzione di sostanze allucinogene. Nulla di sconosciuto agli inquirenti: nella zona si è parlato più volte di eventi non autorizzati nelle valli alpine, spesso accompagnati da uso di stupefacenti.

        Aaron, raccontano gli amici, a un certo punto si sente male. Viene riaccompagnato a casa. Tutto sembra tornare nella norma. Ma a quanto pare, la notte non è finita lì.

        Il suo cellulare – elemento chiave dell’inchiesta – racconta un altro percorso. Nessuno degli amici o familiari ha lasciato casa propria nelle ore successive. Aaron sì. Intorno all’alba, sale sul suo furgone, dove sono ancora caricate le motoseghe da lavoro, e riparte. Da solo. Arriva nei pressi della malga. E lì avviene l’impensabile.

        Un incidente drogato dall’alterazione mentale

        Secondo il referto del medico legale e la relazione finale del RIS di Parma, Aaron si sarebbe involontariamente ferito alla gola con la motosega, causandosi una decapitazione parziale. Non si sarebbe trattato di un gesto volontario, né – tantomeno – di un suicidio nel senso canonico. Bensì di un atto compiuto in stato di alterazione profonda, legato alle sostanze psicotrope ancora attive nel suo organismo.

        Il medico legale parla di “un gesto autonomo, seppur non volontario”. L’ipotesi più accreditata è che il ragazzo, in preda a un delirio o a un’allucinazione, abbia impugnato la motosega e se la sia poggiata sulla spalla, come probabilmente era solito fare nel lavoro quotidiano nei boschi. Ma il macchinario, ancora armato e acceso, si è attivato all’improvviso, provocando una ferita letale.

        Il RIS ha trovato solo tracce di DNA di Engl sia sull’attrezzo che sugli indumenti e sul veicolo. Nessuna presenza estranea. Nessun altro coinvolto.

        Fine dell’inchiesta: nessun colpevole, solo il vuoto

        Così, dopo mesi di accertamenti, esami genetici, rilievi ambientali e indagini digitali, la Procura ha chiuso il fascicolo. L’ipotesi di omicidio è stata definitivamente archiviata. La morte di Aaron Engl viene ufficialmente classificata come una tragica fatalità legata all’effetto di sostanze allucinogene.

        “Si ritiene – scrivono i magistrati – che la morte non sia riconducibile all’azione violenta di terzi, bensì a un gesto autonomo del giovane, presumibilmente correlato al grave stato di alterazione derivante dall’assunzione di sostanze stupefacenti”.

        Domande senza risposta

        Resta il dolore, naturalmente. E la sensazione che la verità, per quanto accertata, non riesca a consolare. Aaron Engl era un ragazzo benvoluto, cresciuto tra i boschi e la neve. Uno che lavorava sodo, che maneggiava motoseghe ogni giorno, che amava la montagna. Una serata sbagliata, una sostanza sbagliata, un gesto incomprensibile. Ed ecco una fine che sembra più scritta da un incubo che da una logica.

        C’è chi, in paese, ancora oggi fatica a credere a questa versione. Ma le prove, a quanto pare, non lasciano margini. Nessuna colluttazione, nessun segno di trascinamento, nessun testimone. Solo un ragazzo solo, all’alba, nel cuore dei boschi. E il silenzio dell’Alto Adige, che tutto avvolge.

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          Garlasco, spunta una nuova testimonianza: «Potrebbe riscrivere la storia dello scontrino»

          Una nuova persona è stata ascoltata dagli inquirenti sul delitto di Chiara Poggi e secondo la difesa di Alberto Stasi potrebbe cambiare tutto: «I carabinieri sanno molto di più». Intanto l’avvocato di Andrea Sempio attacca: «Niente più collaborazione, è guerra con la Procura».

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            Il caso Garlasco torna a infiammarsi. Dopo anni di silenzi e sentenze, ecco spuntare una nuova testimonianza che, secondo l’avvocato di Alberto Stasi, potrebbe «riscrivere la storia dello scontrino», ovvero uno dei punti chiave dell’alibi di Andrea Sempio, già attenzionato in passato ma mai formalmente indagato. La rivelazione è arrivata durante la trasmissione Ore 14 su Rai 2, dove il legale di Stasi, Antonio De Rensis, ha commentato le ultime mosse investigative: «Ritengo che i carabinieri abbiano molto ma molto di più di quanto possiamo immaginare al momento», ha dichiarato, lasciando intendere che il quadro potrebbe essere ben diverso da quello ormai cristallizzato nei fascicoli processuali.

            Secondo quanto trapelato, la madre di Sempio, convocata in caserma lunedì scorso, avrebbe fatto riferimento a una persona nuova, già sentita dagli inquirenti, prima di essere colta da un malore. Un dettaglio che alimenta i sospetti su un possibile cambio di scenario, tanto da spingere De Rensis ad affermare: «Ora andremo a vedere se è vero quello che ci hanno raccontato. Non abbiamo interesse a spostare dalla scena Stasi, ma forse chi indaga aggiungerà altri nomi. E forse allora tutto sarà più chiaro».

            Nel frattempo, l’altra sponda si barrica. Massimo Lovati, avvocato di Andrea Sempio, intervenuto telefonicamente durante la trasmissione, ha annunciato la rottura totale con gli inquirenti: «Non ci fidiamo più della Procura né dell’Arma dei carabinieri di Milano. Ci sono state scorrettezze e procedure anomale». Il riferimento è all’invito, pare telefonico e informale, a presentarsi per il rifacimento delle impronte digitali: «Dovevano avvertirmi, scrivermi. Non si convocano le persone così, con una telefonata. È una modalità che non accettiamo più», ha dichiarato infuriato.

            La polemica si è fatta via via più accesa, fino alla dichiarazione definitiva: «Le prossime mosse saranno tutte volte a controbattere le richieste. Non c’è più alcuna collaborazione, è guerra all’ultimo sangue. Presenteremo tutte le eccezioni possibili, a partire dall’inutilizzabilità delle impronte, vecchie e nuove».

            Dietro le schermaglie legali, però, resta l’omicidio irrisolto di Chiara Poggi, avvenuto il 13 agosto del 2007. Un delitto che, nonostante una condanna definitiva per Alberto Stasi, continua a dividere l’opinione pubblica e ad alimentare dubbi e interrogativi. L’avvocato De Rensis, parlando del contesto investigativo, si è lasciato sfuggire un accenno inquietante: «Questa testimonianza nuova potrebbe rivelare dettagli chiave su quella mattinata. E se così fosse, ci troveremmo davanti a una narrazione completamente diversa».

            Per ora, però, il contenuto delle dichiarazioni resta riservato. Si sa soltanto che, come accaduto troppe volte in questa lunga e dolorosa vicenda, un nome, una frase, un dettaglio possono ribaltare tutto. Oppure rivelarsi solo un’ombra tra le tante.

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              Garlasco, parla il giudice che assolse Stasi: “A ogni verifica i dubbi aumentavano”

              Stefano Vitelli, oggi giudice del Riesame a Torino, racconta il primo processo a Stasi nel 2009: “C’era qualcosa che non tornava, ma mancava la prova definitiva. E soprattutto mancava un movente”

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                Un’indagine complessa, una storia giudiziaria che si trascina da oltre 16 anni, un caso che continua a dividere. Oggi, mentre un nuovo nome è tornato nel registro degli indagati per l’omicidio di Chiara Poggi, a parlare è Stefano Vitelli, il magistrato che nel 2009 assolse Alberto Stasi in primo grado. All’epoca giudice per le udienze preliminari a Vigevano, oggi in forza al tribunale del Riesame di Torino, Vitelli ricorda perfettamente il processo abbreviato che lo portò a quella decisione. E lo fa con una lucidità che getta ancora più ombre sulla ricostruzione del delitto.

                “A ogni verifica i dubbi aumentavano”

                “Il ragionevole dubbio è essenziale per noi magistrati e per l’opinione pubblica”, dice Vitelli. Un principio che fu il cardine della sua sentenza di assoluzione. “Non voglio giudicare le inchieste successive, non ne conosco gli atti, ma quando processai Stasi, più si andava avanti e più aumentavano le domande senza risposta”.

                Uno degli elementi chiave fu la perizia informatica: “Era una sera d’estate, me lo ricordo ancora. L’ingegnere mi chiamò e mi disse: ‘Dottore, è sul divano? Ci resti. Stasi stava lavorando al computer, sulla sua tesi’”. Un dettaglio che spiazzò gli inquirenti: il ragazzo, secondo l’accusa, avrebbe dovuto inscenare la sua attività online per crearsi un alibi, e invece risultò che stava effettivamente correggendo passaggi del suo lavoro con concentrazione e coerenza.

                “C’era qualcosa che non tornava,” spiega Vitelli. “Si parlava di scarpe pulite, eppure i test dimostrarono che a volte si sporcavano, altre no. La bicicletta? Una testimone ne descriveva una diversa. Nessuna traccia di sangue nel lavabo. Ogni elemento che avrebbe dovuto rafforzare la tesi dell’accusa, finiva per renderla più fragile”.

                Un puzzle senza pezzi combacianti

                Vitelli non nasconde che, in quella fase processuale, c’erano aspetti che lo lasciavano perplesso. “Gli indizi erano tanti, ma contraddittori e insufficienti. Abbiamo interrogato i vicini: nessuno ha sentito rumori, nessuno ha visto movimenti strani. Stasi, poi, avrebbe dovuto compiere un delitto così brutale e subito dopo mettersi a lavorare alla tesi in modo lucido? Anche il dettaglio del dispenser del sapone faceva riflettere: aveva mangiato la pizza la sera prima, lavarsi le mani era un gesto normale”.

                E poi c’era il movente. O meglio, la sua assenza. “Nei casi incerti, il movente diventa un elemento decisivo per chiudere il cerchio. Qui, un movente non c’era”.

                E Andrea Sempio?

                L’altro nome che emerge dalle carte è Andrea Sempio, oggi formalmente indagato dopo anni di voci e supposizioni. Vitelli ricorda solo un dettaglio della sua testimonianza: “Un alibi basato su uno scontrino conservato. Mi sembrò curioso”.

                Quanto all’impatto mediatico del caso, il magistrato ha sempre cercato di restarne fuori: “Ho chiuso la porta a giornalisti, pm, avvocati. Di un processo si parla solo nelle aule di giustizia. L’unica cosa che mi dava fastidio era sentire dire che ero ‘pro’ o ‘contro’. Il nostro lavoro deve essere laico”.

                Sedici anni dopo, i dubbi restano

                Vitelli ha riletto la sua sentenza proprio in questi giorni, su richiesta della rivista Giurisprudenza penale. E la sua opinione non è cambiata: “Con gli elementi che avevo, l’assoluzione di Stasi era sacrosanta”.

                Oggi, il caso Garlasco è di nuovo sotto i riflettori. Ma le stesse domande che Vitelli si pose nel 2009 rimangono senza risposta. Chi ha ucciso Chiara Poggi? E soprattutto: c’è davvero una verità che metterà fine a questa storia?

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