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Cronaca

Elon Musk: no Trump, no Marte. Senza il tycoon non si va da nessuna parte

Parola del fondatore di Space X e CEO di X: “Non raggiungeremo mai Marte se vince Kamala”. Da tempo convinto delle idee di Donald Trump, in vista del voto negli Stati Uniti il patron della Tesla ha le idee molto precise.

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    Parola del fondatore di Space X e CEO di X: “Non raggiungeremo mai Marte se vince Kamala”. Da tempo convinto delle idee di Donald Trump, in vista del voto negli Stati Uniti il patron della Tesla ha le idee molto precise.

    Preoccupato per una ipotetica vittoria della Harris

    L’uomo che ha promesso all’unmanità la nuova frontiera, giurando di poter portare chiunque su Marte, al contempo ha espresso ”molte preoccupazioni su un potenziale regime di Kamala” se la vicepresidente dovesse imporsi alle elezioni previste per il prossimo. Perché ”il mio ostacolo principale è che la burocrazia che attualmente sta soffocando l’America a morte è destinata a crescere sotto un’amministrazione del Partito Democratico”.

    Quanto le trovate di Musk influenzeranno il voto?

    Una crociata la sua che assume toni quasi caricaturali – aspetto che negli USA non risulta poi così tanto difficile – contro la sinistra della Harris: chissà se riuscirà davvero a dimostrarsi decisiva per le presidenziali a stelle & strisce? Forse no… ma con i deep fake (e il suo enorme potere ammaliatore e persuasivo) sta stravolgendo le regole tradizionali.

    La crezione di Grok

    In una recente dichiarazione Trump ha dichiarato (forse è più corretto dire… minacciato) che, se eletto, si comporterà da dittatore nel primo giorno della sua presidenza. Ed Elon Musk la butta sullo scherzo, col suo fare da provocatore con la faccia da quello che non ha fatto nulla di male. Tirando fuori dalla sua intelligenza artificiale, Grok, un deep fake nel quale appare una lugubre Kamala Harris in divisa da guardia rossa, con cappello sul quale campeggiano falce e martello. Poi le attribuisce la medesima frase di Trump sulla dittatura, chiedendo ai suoi follower se credono o meno a quella messa in scena.

    Una fake Kamala in versione stalinista

    E’ solo satira, nulla di più…

    Rivendicando un assoluto free speech in nome del quale riapre X (ex Twitter) ai suprematisti bianchi, a falsità e teoriecomplottistiche di vario tipo, di ogni tipo, l’imprenditore che negli ultimi due anni si è trasformato in potente attivista politico, pretende mano libera nella realizzazione di questi deep fake che, a sentire lui, vanno considerati sotto la categoria “satira” e nulla più. Come il finto spot elettorale nel quale Kamala racconta con la sua voce e le sue immagini che, se sarà eletta, l’America sprofonderà nel caos.

    Tutti su Marte dal 2028

    Musk ribadisce che ”Space X ha in programma di lanciare cinque astronavi senza equipaggio su Marte in due anni. Se tutte queste atterrano in sicurezza, allora le missioni con equipaggio saranno possibili in quattro anni. Se ci saranno delle difficoltà, allora le missioni con equipaggio saranno posticipate di altri due anni”. Lo ha scritto sul suo ‘X’ ribadendo la sacra promessa: ”Vogliamo consentire a chiunque voglia diventare un viaggiatore spaziale di andare su Marte!”. Il visionario magnate punta a lanciare nel 2026 l’astronave Starshippuntandola verso Marte, contemplando l’invio dei primi equipaggi sul leggendario pianeta rosso nel 2028.

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      Cronaca

      Lo schiavismo va di moda, ma si paga: maxi multa da 3,5 milioni per Giorgio Armani Spa

      Secondo l’Autorità, il gruppo Armani era a conoscenza delle condizioni dei lavoratori in alcune aziende subfornitrici di borse e accessori. L’azienda annuncia ricorso e rivendica la trasparenza della sua filiera.

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        Tre milioni e mezzo di euro: tanto costano, secondo l’Antitrust, le dichiarazioni etiche non mantenute. Giorgio Armani Spa, simbolo del lusso made in Italy, è stata multata per pratica commerciale ingannevole: un colpo pesante per l’immagine della maison, che proprio quest’anno celebra cinquant’anni di attività.

        La sanzione arriva al termine dell’indagine aperta dopo l’inchiesta per caporalato che aveva travolto Giorgio Armani Operations, la società del gruppo che produce borse e accessori. Nel 2024 la Procura di Milano aveva chiesto l’amministrazione giudiziaria per omissione di controlli sui fornitori, misura poi revocata nel febbraio 2025 grazie – come scrisse il Tribunale – a un «percorso virtuoso» di regolarizzazione.

        Ora, però, l’Antitrust accusa il gruppo di aver diffuso dichiarazioni «non veritiere» sulle proprie politiche di responsabilità sociale. Il Codice Etico e i contenuti online della sezione “Armani Values” sarebbero stati presentati come garanzia di filiere etiche, ma non riflettevano la realtà di alcuni laboratori di pelletteria. Gli ispettori hanno documentato condizioni di lavoro irregolari e persino la presenza di un dipendente del gruppo in un laboratorio irregolare, incaricato di controlli qualità mensili: per l’Autorità, la prova che la società fosse consapevole di ciò che accadeva.

        Durissima la replica della maison: «Giorgio Armani Spa accoglie con amarezza e stupore la decisione», annunciando ricorso al Tar. L’azienda rivendica trasparenza e correttezza, ricordando che gli episodi contestati «riguardavano due soli fornitori, pari allo 0,7% degli acquisti complessivi».

        Resta però l’ennesima macchia su un’industria del lusso che preferisce mostrare passerelle e campagne patinate piuttosto che le ombre delle proprie filiere. Per Armani la partita si sposta in tribunale, ma il danno di immagine – in un mondo in cui l’etica è marketing – rischia di valere molto più dei 3,5 milioni di multa.

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          Cronaca

          Un sushi davvero stupefacente: arrestato a Roma pusher che nascondeva hashish nei “nigiri” al salmone

          L’uomo, già noto alle forze dell’ordine, riceveva gli ordini via WhatsApp e consegnava il “menu speciale” tra Montespaccato, Mostacciano e Anagnina. La polizia lo ha fermato in via Enna: nella borsa frigo cinque pacchi di hashish termosaldati e oltre duemila euro in contanti.

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            A Roma il sushi può dare alla testa. Soprattutto quando non è a base di tonno o salmone, ma di hashish. La polizia ha arrestato un pusher di 45 anni, italiano e già noto alle forze dell’ordine, che aveva trovato un metodo ingegnoso – e grottesco – per distribuire la sua merce: spacciava droga confezionata come nigiri al salmone, pronta da “gustare” solo per i clienti giusti.

            Il blitz è scattato lunedì 28 luglio intorno alle 21, quando gli agenti del VII distretto San Giovanni hanno notato una Fiat Panda a noleggio ferma in via Enna. Al volante il 45enne, subito agitato alla vista della pattuglia. La scena non ha convinto i poliziotti, che hanno deciso di procedere con una perquisizione approfondita.

            Nel bagagliaio, dentro una borsa frigo, la sorpresa: cinque pacchi di hashish termosaldati, per un totale di 510 grammi, ognuno con l’immagine di eleganti nigiri di salmone stampata sopra. Accanto alla “scorta”, oltre 2.000 euro in contanti, probabilmente frutto delle ultime consegne.

            Dalle verifiche sul cellulare è emerso il sistema di ordini e consegne via WhatsApp. I clienti inviavano l’indirizzo e l’uomo partiva per le sue “consegne gastronomiche” in diverse zone della Capitale, tra cui Montespaccato, Mostacciano e Anagnina. Una sorta di delivery illegale, che trasformava il sushi in un piatto davvero stupefacente.

            Dopo il fermo, il 45enne è stato accompagnato in commissariato e sottoposto a rito direttissimo, al termine del quale è scattato l’arresto per detenzione ai fini di spaccio di sostanza stupefacente.

            Per una volta, il proverbiale “sushi d’asporto” non è finito sulla tavola ma in sequestro, mentre il finto chef della droga dovrà ora rispondere delle sue specialità… proibite.

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              Politica

              Tajani sorride, i Berlusconi comandano: Forza Italia a Cologno fra consigli, statuti e voglia di rinnovamento

              Antonio Tajani arriva a Cologno Monzese per un incontro “tra amici”, ma la regia politica di Forza Italia è ormai tutta nelle mani degli eredi del Cav. Pier Silvio parla di “rinnovamento”, e il segretario obbedisce: nuovo statuto, nuova comunicazione, stesso sorriso forzato.

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                «Parleremo di tutto, del futuro e anche di Forza Italia». Antonio Tajani prova a recitare il copione del leader saldo, mentre si presenta alla villa di Marina Berlusconi a Cologno Monzese. Lo accompagna il mantra di sempre: «Li conosco da quando sono ragazzi, questi incontri li abbiamo sempre fatti». Ma dietro le parole di circostanza, la fotografia è chiara: chi comanda davvero sono gli eredi del Cavaliere.

                A tavola con lui ci sono Marina e Pier Silvio, veri azionisti politici e finanziari del partito – il loro credito verso Forza Italia sfiora i 90 milioni di euro – e Gianni Letta, garante della liturgia familiare. L’incontro era stato rinviato due settimane fa tra voci di malumori, ora torna come se nulla fosse: «Un incontro tra amici», dice Tajani, cercando di smussare i rumors su un partito percepito come troppo appiattito sugli alleati e incapace di ritagliarsi uno spazio proprio.

                La realtà è che basta una frase di Pier Silvio Berlusconi per orientare la rotta: quando ha parlato di “rinnovamento”, Tajani ha eseguito. In pochi giorni è arrivato il nuovo statuto, è stato scelto Simone Baldelli come coordinatore della comunicazione e si è dato il via a un lifting silenzioso della catena di comando. Tutto senza clamori, ma con un messaggio inequivocabile: Forza Italia è un marchio di famiglia, e chi la gestisce in politica lo fa in affitto.

                Intanto, le voci di insofferenza per il segretario crescono: la linea prudente di Tajani, fatta di piccoli compromessi e temi secondari come lo Ius scholae, convince poco i custodi del brand berlusconiano. «Ascolto i consigli che arrivano dagli amici», ripete lui, ma gli amici hanno appena deciso quali note dovrà suonare.

                Per ora Tajani sorride e incassa. La regia resta a Cologno, la bacchetta pure.

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