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Italia

Bonus casa 2025: meno generosi, ma ancora attivi

Dalla ristrutturazione agli elettrodomestici, ecco cosa resta delle agevolazioni fiscali per la casa e cosa cambierà nel 2026.

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    Nel 2025 i bonus casa non scompaiono, ma diventano decisamente meno generosi rispetto agli anni passati. La Legge di Bilancio ha infatti ridotto le aliquote e ristretto le condizioni per accedere alle agevolazioni. Ma ha mantenuti attivi alcuni strumenti fondamentali per chi intende ristrutturare o migliorare la propria abitazione. Il Superbonus, che aveva catalizzato l’attenzione negli ultimi anni, resta in vigore ma solo in forma ridotta. L’aliquota scende al 65% e può essere utilizzata esclusivamente da condomìni e organizzazioni senza scopo di lucro. Ma a patto che la comunicazione di inizio lavori sia stata depositata e la delibera approvata entro il 15 ottobre 2024.

    I bonus casa non sono spariti

    Il bonus ristrutturazione rimane uno degli strumenti più accessibili, con una detrazione del 50% su un tetto massimo di 96 mila euro, ma solo per la prima casa. Per le seconde case e gli immobili non residenziali, l’aliquota scende al 36%. Lo stesso vale per l’ecobonus e il sismabonus, che mantengono le loro caratteristiche ma con aliquote differenziate a seconda della tipologia di immobile. Una novità importante riguarda l’esclusione delle caldaie a combustibili fossili dalle agevolazioni per l’efficienza energetica, in linea con le direttive europee sulla transizione ecologica.

    Dal 2026 detrazioni ridotte

    Tra i bonus confermati spicca quello per l’abbattimento delle barriere architettoniche, che resta al 75%. Si applica senza distinzioni tra prima e seconda casa, né tra immobili residenziali e non. Resiste anche il bonus mobili, con una detrazione del 50% su una spesa massima di 5 mila euro, valido per chi ha effettuato lavori di ristrutturazione a partire dal 1° gennaio 2024. Infine, è stato introdotto un nuovo bonus elettrodomestici da 100 euro (200 per le famiglie con ISEE fino a 25 mila euro). E un bonus svincolato da interventi edilizi, ma soggetto a fondi a esaurimento e in attesa del regolamento attuativo. A salutare definitivamente il 2025 è invece il bonus verde, che non è stato rinnovato. E guardando al futuro, dal 2026 le detrazioni subiranno un’ulteriore riduzione. Si passerà infatti al 36% per la prima casa e al 30% per gli altri immobili.

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      Italia

      Ragazzo multato perché “troppo grande” per l’altalena: la protesta della madre

      Il ragazzo ha 14 anni, il regolamento del parco vieta l’uso dei giochi sopra i 12 anni: la madre contesta la sanzione e accusa i vigili di eccesso di zelo.

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        Una semplice altalena, un pomeriggio al parco e una multa da 64 euro. È quanto accaduto a Rimini, al parco Pertini di Miramare, dove una madre si è vista recapitare una sanzione per il comportamento del figlio 14enne. Il ragazzo è stato ritenuto colpevole – secondo il regolamento comunale – di aver utilizzato una altalena riservata ai bambini sotto i 12 anni. La vicenda risale al 28 marzo, ma è diventata di dominio pubblico solo a metà giugno. La donna, 34 anni, di origini rumene ma residente da anni in provincia, ha deciso di raccontare tutto alla stampa. Quel giorno aveva accompagnato il figlio al parco prima dell’allenamento di calcio. Il ragazzo si era seduto su un’altalena, ma poco dopo sono arrivati due agenti della polizia municipale che gli hanno chiesto di scendere.

        Secondo la madre, il figlio non stava facendo nulla di male. “Se rompe l’altalena, la ripago io”, avrebbe detto agli agenti, che però hanno ritenuto il comportamento del ragazzo pericoloso. Lanciava l’altalena in aria, facendola ruotare sull’asta orizzontale, per poi sedersi e dondolarsi con forza, mentre intorno c’erano altri bambini più piccoli, dice il verbale. La donna ha raccontato di aver avuto un breve scambio con i vigili, durante il quale avrebbe anche accennato al fatto che il marito è un poliziotto. Dopo qualche settimana, è arrivata la multa: 50 euro più spese accessorie, per un totale di 64 euro.

        La madre si è detta indignata. “Trovo assurdo che si sanzioni un ragazzino per un’altalena, mentre in città ci sono problemi ben più gravi, come lo spaccio nei pressi del Metromare. Prima di pagare, voglio parlare con il comandante”. Dal canto suo, la polizia locale ha spiegato che il controllo rientrava in un’attività di sorveglianza sul corretto utilizzo dei parchi pubblici e che il comportamento del ragazzo, oltre a violare il regolamento, rappresentava un rischio per la sicurezza dei bambini intorno.

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          Italia

          Sace, garanzie per tutti (ma qualcuno è più garantito degli altri)

          Sorgenia e Gruppo San Donato sono solo due dei nomi che compaiono nella lista dei beneficiari delle coperture Sace. Peccato che Sequi, vicepresidente della stessa Sace, ne sia presidente o advisor. Intanto a Palazzo Chigi si monitora con discrezione e apprensione.

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            A pensar male si fa peccato, diceva qualcuno. Ma ogni tanto ci si azzecca. E anche senza scomodare il demonio del sospetto, i nuvoloni che si addensano su Sace – la società controllata dal ministero dell’Economia che garantisce finanziamenti alle imprese – stanno lì, ben visibili, come una perturbazione in arrivo da nord. Al centro dell’occhio del ciclone, guarda caso, c’è uno degli uomini che conta di più nel sistema economico-diplomatico italiano: Ettore Sequi, oggi vicepresidente di Sace. E fin qui, nulla da dire. Se non fosse che lo stesso Sequi risulta presidente di Sorgenia e senior advisor del Gruppo San Donato, due realtà private che, guarda un po’, beneficiano proprio delle garanzie pubbliche elargite da Sace.

            Ecco quindi che il classico schema all’italiana si ripresenta puntuale: da un lato la mano che firma, dall’altro quella che incassa. Nessuno insinua che ci sia dolo o interesse personale, per carità. Ma la sovrapposizione dei ruoli grida comunque vendetta al buon senso. Anche perché parliamo di milioni di euro di garanzie pubbliche, mica del bonus monopattino.

            Il sillogismo è facile e scivoloso: Sace distribuisce coperture assicurative e finanziarie a chi ne fa richiesta, ma se tra i beneficiari ci sono società che vedono il vicepresidente della stessa Sace come figura apicale, un piccolo cortocircuito si crea. Un’ombra, diciamo. Che non è ancora un temporale, ma nemmeno una serena giornata di luglio.

            Sequi, per carità, ha un curriculum di prim’ordine. È stato ambasciatore a Kabul, segretario generale della Farnesina, diplomatico di lungo corso. Ma il punto non è se sia competente (lo è). Il punto è se possa ricoprire contemporaneamente cariche che si sfiorano, si parlano e magari si favoriscono.

            Intanto, nei corridoi dei ministeri le antenne sono ben dritte. Fonti beninformate parlano di segnali sempre più intensi, captati sia a Via XX Settembre che a Palazzo Chigi. Pare che Sequi stia giocando anche una partita interna per blindare Alessandra Ricci, attuale amministratrice delegata di Sace, attraverso canali informali con la Farnesina. Ufficialmente, si tratta di un sostegno “istituzionale” alla riconferma. Ufficiosamente, secondo i soliti bene informati, quella riconferma servirebbe a consolidare un assetto amico, che magari risulta utile a chi ha legami stabili con alcune aziende, pubbliche a metà.

            Uno scenario che, a volerlo descrivere con ironia, somiglia un po’ a una tavola rotonda dove tutti giocano con le carte scoperte, ma ognuno guarda il mazzo dell’altro. E in un contesto dove la Sace gestisce miliardi di euro in garanzie, l’equidistanza dovrebbe essere non solo garantita, ma visibilmente garantita. Invece, qui si gioca sulla sottile linea che separa la compatibilità dal conflitto.

            Il ministero dell’Economia – azionista di Sace – è stato informato. Il governo monitora. Le autorità di vigilanza sono state allertate. Ma tutto si muove sottotraccia, nel solito stile italiano: nessuna bufera, ma ombre lunghe che consigliano il classico “vediamo come evolve”.

            Nel frattempo, Sequi resta lì. Con tre cappelli in testa e una reputazione ancora intatta, almeno formalmente. Ma nel Paese dei conflitti di interessi cronici, anche i più esperti equilibristi sanno che prima o poi si scivola. E quando succede, nessuno ti salva. Nemmeno le garanzie pubbliche.

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              Italia

              L’Italia cerca 10mila volontari per la guerra. Ma non ha né un piano né l’accordo politico

              Con i conflitti ai confini dell’Europa e l’instabilità crescente, l’Italia corre ai ripari: servono almeno 40mila soldati in più, ma l’unica idea concreta è una “riserva” di 10mila ausiliari. La maggioranza vuole richiamare ex militari, l’opposizione punta sulla sanità militare. Ma senza soldi, il progetto rischia di restare sulla carta.

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                Che l’Italia sia impreparata a uno scenario di guerra non è una novità. Ma adesso il problema è nero su bianco: mancano militari. Le forze armate chiedono almeno 40mila unità in più, ma l’unica cosa su cui la politica sta lavorando è un piano di emergenza da 10mila “ausiliari” volontari. E già qui si litiga: la Lega vuole richiamare gli ex militari, il Pd punta sui volontari della Croce Rossa. Nel frattempo, il ministero dell’Economia non ha stanziato un euro.

                Il piano verrà discusso a luglio, quando scadrà la legge delega del 2022 che prevedeva la possibilità di creare una “riserva” da mobilitare in caso di crisi. E, vista la situazione internazionale – tra Ucraina, Medio Oriente e minacce ibride sempre più concrete – il dibattito diventa urgente.

                La proposta leghista parte da un principio semplice: richiamare chi ha già servito. Ex soldati della ferma breve, addestrati e pronti, da inserire in un elenco di richiamabili. “In caso di emergenza – spiega il leghista Nino Minardo – sarebbero i primi a essere impiegati per difendere il territorio e supportare l’esercito”. Non solo ruoli tecnici, ma anche funzioni operative: presidi, confini, ordine pubblico.

                Il Pd, invece, guarda altrove. Secondo Stefano Graziano e Piero Fassino, non ha senso mettere ex militari non più in servizio in prima linea. L’idea è invece quella di potenziare la sanità militare e civile. E come? Recuperando le risorse (umane e logistiche) della Croce Rossa Italiana, che dopo lo scioglimento del corpo militare nel 2012 è rimasta ai margini. Si parla di 150mila volontari: medici, infermieri, soccorritori, autisti. Una forza enorme che potrebbe agire a supporto nelle emergenze, senza trasformarsi in esercito.

                Nel mezzo, anche una terza proposta: creare un corpo ausiliario alpino con gli ex militari che oggi operano nella Protezione civile. L’idea piace al ministro Crosetto, ma resta sulla carta finché non arrivano i fondi.

                Il punto è sempre lo stesso: tutti d’accordo sul bisogno, ma nessuno sa bene come farlo. Due proposte di legge sono già sul tavolo, ma se non si scioglie il nodo economico, la riserva militare rischia di restare una suggestione. E l’Italia, in caso di crisi, rischia di trovarsi senza uomini e senza piano B.

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