Italia
L’Inps avverte gli utenti: attenzione alle truffe online phishing e smishing
L’ente previdenziale lancia una campagna via email per proteggere i cittadini dai raggiri digitali sempre più sofisticati. Ecco come riconoscere e difendersi dagli attacchi.

Le truffe online continuano a evolversi, e i cybercriminali si fanno sempre più abili nel ingannare gli utenti, sfruttando tecniche sempre più sofisticate come il phishing e lo smishing. L’Inps, uno degli enti più colpiti da questi raggiri, ha deciso di prendere provvedimenti, avviando una campagna di email massiva per mettere in guardia i cittadini e aiutarli a riconoscere i tentativi di frode.
Come funzionano il phishing (e lo smishing)?
Il phishing è una pratica fraudolenta che consiste nell’invio di email fasulle, spesso molto simili a quelle di enti ufficiali. L’obiettivo è quello di convincere gli utenti a cliccare su link pericolosi o a fornire informazioni sensibili come codici bancari, credenziali di accesso e dati personali. Lo smishing, invece, è una variante del phishing che utilizza gli SMS per lo stesso scopo. Un messaggio sul cellulare può avvertire l’utente di un presunto rimborso, un problema con il proprio conto o una prestazione da verificare, spingendolo a cliccare su un link e inserire i propri dati. La forza di queste truffe sta nella loro capacità di simulare comunicazioni ufficiali, facendo credere alle vittime di interagire con istituzioni affidabili. Non a caso, molti dei messaggi fraudolenti imitano l’Inps, inducendo i cittadini a compiere azioni che mettono a rischio i loro risparmi e le loro identità digitali.
L’iniziativa dell’Inps per contrastare le truffe
Per fronteggiare questi attacchi, l’Inps ha deciso di mandare email informative ai suoi utenti, spiegando quali sono i segnali che permettono di riconoscere e bloccare le truffe prima che sia troppo tardi. Le email mettono in guardia i cittadini dai tentativi di phishing e smishing, evidenziando le strategie più comuni usate dai truffatori. Solitamente, questi messaggi contengono link sospetti che chiedono di verificare o confermare dati, per presunte prestazioni Inps, rimborsi o richieste amministrative urgenti. Se l’utente cade nel tranello, i truffatori possono aprire conti correnti fraudolenti a suo nome, attivare credenziali SPID o dirottare pagamenti in modo illecito.
Come difendersi dalle truffe digitali
L’Inps raccomanda di seguire poche, ma fondamentali regole, per evitare di cadere vittima di questi raggiri. Nessun ente ufficiale chiederà mai dati sensibili via SMS, email o telefonate. Inoltre, è buona norma controllare sempre l’indirizzo del sito su cui si sta navigando: il dominio ufficiale dell’Inps è www.inps.it, e qualsiasi variazione sospetta può essere un indizio di truffa. Un altro segnale da tenere d’occhio sono gli errori ortografici nei messaggi, oltre alla classica pressione sulla “urgenza” per spingere l’utente a agire immediatamente senza pensarci troppo. Chi sospetta di aver ricevuto un messaggio fraudolento può consultare il vademecum anti-truffe sul sito dell’Inps e segnalare il caso direttamente alla Polizia Postale, compilando il modulo online dedicato.
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Italia
Allarmanti echi del passato: un cartello antisemita a Milano riporta alla mente le discriminazioni del nazismo
Un cartello con la scritta “Israeliani e sionisti non sono benvoluti qua”, apparso su una vetrina nel centro di Milano, ha suscitato polemiche e preoccupazioni. Questo episodio richiama alla memoria le discriminazioni contro gli ebrei nella Germania nazista, sottolineando l’importanza di ricordare la storia per evitare di ripeterla.

Due giorni fa, un cartello con la scritta in ebraico “Israeliani e sionisti non sono benvoluti qua” è stato affisso sulla vetrina di un negozio in zona Moscova, nel pieno centro di Milano. Sebbene il cartello sia stato successivamente rimosso, l’immagine ha fatto il giro dei social media, scatenando polemiche e indignazione. Roberto Della Rocca, membro della Camera di commercio israelo-italianache ha condiviso la foto su Facebook, ha commentato: “Di nuovo la solita insalata dovuta o a mala fede, spesso di matrice antisemita, o ad acefalite, di matrice genitoriale” .
Le ragioni del negoziante
“Noi non siamo antisemiti e nemmeno razzisti. Non vogliamo essere manipolati” spiega invece il titolare della merceria di via Statuto, dove è comparso il cartello. Ora è stato tolto e rimane solo quello per la pace e ‘Stop the War’. L’uomo è restio a parlare sulla soglia del negozio, ma poi si sfoga, dopo le critiche scatenate e l’attenzione mediatica generata dal suo gesto. “Noi siamo contro il massacro, basta. Il cartello in ebraico per nostra sicurezza lo abbiamo tolto – spiega -, perché è stato interpretato male e mi dispiace e mi fa arrabbiare molto. Noi siamo contro questa strage, per la pace”.
Paralleli con la Germania nazista
Un episodio che non può che evocare ricordi inquietanti delle discriminazioni contro gli ebrei nella Germania nazista. Nel 1933, i nazisti iniziarono un boicottaggio dei negozi ebraici, affiggendo cartelli con scritte come “Non acquistare dagli ebrei!” e “Gli ebrei sono la nostra disgrazia!” . Queste azioni furono i primi passi verso l’esclusione sistematica degli ebrei dalla vita pubblica e l’inizio di persecuzioni sempre più gravi.
L’Importanza della Memoria Storica
Il fatto di Milano sottolinea l’importanza di ricordare la storia per evitare pericolosi rigurgiti. Come affermava il filosofo George Santayana, “Chi non conosce la storia è condannato a ripeterla”. La comparsa di simboli e slogan antisemiti, anche se isolati, deve essere presa sul serio e contrastata con decisione.
Reazioni e condanne
La comunità ebraica e le autorità locali hanno espresso preoccupazione per l’accaduto. Episodi simili si sono verificati in passato a Milano, come le scritte antisemite comparse nel 2023 nei bagni di un centro diagnostico e di una panetteria nel quartiere ebraico . Questi atti dimostrano la necessità di vigilare costantemente contro l’antisemitismo e ogni forma di discriminazione, facendo da campanello d’allarme sulla fragilità della convivenza civile e sull’importanza di combattere ogni forma di odio e intolleranza. Solo attraverso la memoria e l’educazione possiamo costruire una società più giusta e inclusiva, dove simili episodi non abbiano più spazio. Ma si sa… la mamma degli stupidi è sempre incinta.
Italia
Vecchi, poveri, soli, ignoranti: l’Italia fotografata dall’Istat è un Paese allo stremo
Il Rapporto Istat 2025 restituisce un’immagine impietosa del Paese: sempre più anziani, sempre più soli, con famiglie frammentate e prospettive occupazionali concentrate nei settori meno innovativi. E le nuove generazioni crescono senza tutele e senza futuro.

C’è un’Italia che non fa rumore. Non riempie le piazze, non lancia hashtag, non si sfoga nei talk show. Ma esiste, resiste e, lentamente, si consuma. È l’Italia che emerge dal Rapporto annuale Istat 2025: un Paese che invecchia senza ricambio, che si isola, che si impoverisce anche lavorando, che rinuncia alle cure per non finire in rosso. Una fotografia a tinte fosche, scattata con la precisione fredda dei numeri, che racconta di una nazione sempre più fragile.
Quasi un quarto degli italiani a rischio povertà
Nel 2024 il 23,1% della popolazione italiana è risultato a rischio povertà o esclusione sociale. Una percentuale che diventa un grido d’allarme se si osserva il Sud, dove il dato raggiunge il 39,8%. Parliamo di persone che vivono con meno del 60% del reddito mediano, che non possono permettersi una settimana di ferie, che rinunciano a spese mediche e persino a cambiare un mobile rotto.
Il rischio aumenta tra i giovani: in quelle famiglie dove il principale percettore di reddito ha meno di 35 anni, il dato schizza al 30,5%. In netto aumento anche per i genitori soli (+2,9 punti rispetto al 2023) e per gli anziani che vivono da soli (+2,3 punti). Le famiglie numerose? Più figli, più povertà: il 30,5% per le coppie con almeno tre bambini.
Sempre più vecchi, sempre più soli
Nel 2025, un italiano su quattro ha più di 65 anni. Gli over 80 – 4,6 milioni – hanno superato i bambini sotto i 10 anni (4,3 milioni). Un sorpasso storico che racconta di un Paese che non fa più figli (370mila nascite nel 2024, 281mila in meno rispetto ai decessi) e che vede crescere solo la popolazione centenaria, arrivata a oltre 23.500 unità.
Le famiglie sono sempre più piccole e frammentate: il 36,2% è composto da persone sole. Le unioni libere hanno superato 1,7 milioni, le famiglie ricostituite sono 840mila. La natalità? Crollata: se nel 1999 solo il 10% dei nati aveva genitori non coniugati, nel 2023 siamo al 42,4%.
Sanità al collasso: uno su dieci rinuncia a curarsi
Il dato più drammatico, però, arriva dalla sanità. Nel 2024, il 9,9% degli italiani ha rinunciato a visite o esami specialistici. Non perché non ne avesse bisogno, ma perché non può permetterseli o perché le liste d’attesa sono infinite. Nel 2023 la percentuale era al 7,5%. Prima della pandemia era al 6,3%. Una crescita costante e spaventosa. Eppure la spesa sanitaria pubblica è salita a 130,1 miliardi. Ma non basta: il sistema è al limite.
Scuola e istruzione: restiamo i più ignoranti d’Europa
L’istruzione, nel nostro Paese, resta una nota dolente. Solo il 65,5% degli italiani tra i 25 e i 64 anni ha almeno un diploma, contro l’83% di Germania e Francia. Oltre un terzo si ferma alla terza media. Il numero di laureati tra i 25-34enni è salito al 31,6%, ma siamo ancora ben lontani dall’obiettivo Ue del 45% al 2030.
E l’abbandono scolastico resta alto: il 9,8% dei giovani tra i 18 e i 24 anni lascia la scuola senza diploma o qualifica. Tra i ragazzi di cittadinanza straniera il dato è tre volte quello degli italiani: 24,3% contro l’8,5%. Un abisso che si allarga di generazione in generazione.
Lavoro: cresce l’occupazione, ma resta povera
Nel 2024 l’occupazione è cresciuta dell’1,6%, ma soprattutto in settori a bassa produttività, come le costruzioni, la ristorazione, i servizi alla persona. Mentre il PIL per occupato è crollato del 5,8% dal 2000 a oggi (in Francia e Germania è cresciuto di oltre il 10%). Anche la produttività per ora lavorata è cresciuta di appena lo 0,7% in 24 anni. Troppo poco, troppo lentamente.
Le cause? Imprese piccole, poco innovative, specializzate in settori che producono poco valore. Risultato: stipendi bassi, scarse tutele, zero mobilità sociale. E l’ascensore sociale continua a rimanere bloccato al piano terra.
Il futuro è adesso (e non promette bene)
Le previsioni per il 2025 non migliorano il quadro. La crescita rallenta (+0,4% secondo il FMI, +0,6% per Bankitalia), e le incertezze geopolitiche rendono tutto più fragile. Anche se l’indebitamento netto è sceso al 3,4% e il debito pubblico al 135,3% del PIL, il sistema resta vulnerabile. A cominciare dalla vita quotidiana delle persone.
L’Istat ha fatto il suo dovere: ha messo nero su bianco una realtà che molti preferiscono ignorare. L’Italia è più vecchia, più povera, più ignorante, più sola. E il vero rischio è che smetta anche di indignarsi.
Italia
Cento dipendenti, zero voli: il Truman Show quotidiano dell’aeroporto di Comiso
Una struttura moderna e pienamente operativa che si anima solo due volte a settimana. Il resto del tempo è un presidio senza passeggeri, tra attese infinite, malinconia e speranze appese ai fondi pubblici e ai voli cancellati.

Alle 9 del mattino del martedì, a Comiso, scocca l’ora dell’illusione. L’aeroporto “Pio La Torre”, moderno e funzionale, immerso nella campagna ragusana, prende vita per un’ora scarsa, il tempo necessario ad accogliere e poi rimandare indietro il Volotea V72044 da Lille. Il volo atterra con anticipo e riparte puntuale. Nel frattempo, succede tutto e il contrario di tutto: si riapre il posto di polizia, arrivano gli agenti distaccati della Polaria, le saracinesche del bar si alzano per una fugace corsa al caffè, si accendono le luci del terminal, si vedono operai ai bagagli, addetti al check-in, movimenti che, per un attimo, fanno sembrare lo scalo un aeroporto vero. Poi, alle 10.30, tutto si spegne di nuovo.
Il silenzio torna a regnare. Le luci si abbassano, il bar chiude, i poliziotti se ne vanno. Resta solo un presidio silenzioso: una quarantina di dipendenti della Sac, tra manutenzione, sicurezza, amministrazione e traffico aereo. Altri 15 lavoratori della Gh Catania, che si occupa dei servizi a terra, restano “a disposizione” per eventuali emergenze, dirottamenti da Catania o maltempo improvviso. E poi ci sono loro, gli 11 vigili del fuoco in forza allo scalo, con mezzi speciali e turni regolari. Tutti lì, a presidiare un aeroporto dove i voli si contano sulle dita di una mano.
Una finta normalità
Il sabato va in scena la replica: Transavia da Parigi Orly, atterraggio alle 9.35, ripartenza alle 10.20. Due voli settimanali. Eppure la struttura continua ad assorbire energie, risorse e stipendi. Il resto del tempo, il terminal rimane un guscio vuoto: a parte qualche jet privato dirottato da Catania perché a Fontanarossa non c’è posto, o gli aerei militari che atterrano per esercitazioni.
Nelle ore notturne, tra mezzanotte e le sei, lo scalo Ibleo diventa una pista alternativa per i voli ritardatari diretti a Catania, il cui aeroporto è chiuso per lavori infrastrutturali. È il solo momento in cui la sua esistenza diventa davvero funzionale all’intera rete aeroportuale siciliana.
Un aeroporto fantasma (ma con buste paga)
I numeri sono paradossali: circa cento lavoratori ruotano attorno a uno scalo che al momento ha solo due voli di linea a settimana. I sindacati parlano apertamente di “dramma”. Filippo Scollo, segretario della Filt Cgil di Ragusa, è netto: «La preoccupazione è enorme, l’amarezza dei dipendenti ancora di più. È una situazione che si trascina da troppo tempo, ma ora ha assunto contorni insostenibili. I lavoratori stagionali non sono stati neppure richiamati: lo scorso anno ne furono assunti una ventina, oggi tutto è fermo».
L’appello ai vertici locali è caduto nel vuoto. «Abbiamo chiesto al Libero Consorzio di Ragusa di riattivare il tavolo di confronto sul futuro dello scalo. Serve un piano strategico, non parole», aggiunge Scollo.
Intanto, nel silenzio del terminal, si rincorrono le voci. «Ci parlano di Ita Airways, di cargo, di voli che stanno per arrivare — racconta un dipendente che preferisce restare anonimo —. Ma per ora vediamo solo promesse. E rimpiangiamo quando c’era Ryanair, con dieci voli al giorno, sempre pieni». Per molti, quella è stata l’unica vera stagione d’oro dell’aeroporto.
Il rilancio che non arriva
Comiso ha vissuto stagioni migliori. Inaugurato nel 2013 con grandi speranze, doveva alleggerire il traffico di Catania e offrire un’alternativa seria per il sud-est della Sicilia. Ma i numeri non sono mai stati solidi. La pandemia ha inferto il colpo di grazia. E da allora, tra tagli, disimpegni delle compagnie e mancanza di una strategia unitaria, si è aperta una fase di declino che pare oggi irreversibile.
C’è chi invoca una convenzione statale per garantire i collegamenti minimi, chi chiede l’ingresso nel piano dei trasporti d’emergenza per il Sud, chi immagina uno sviluppo sul fronte del cargo o dei voli charter turistici. Ma finché non arriveranno compagnie disposte a rischiare e investire, la realtà resterà quella di un Truman Show aeroportuale: accendere le luci per un’ora, due volte alla settimana. E sperare che, un giorno, atterri qualcosa di più di una promessa.
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