Italia
Siamo tutti malati di porno! La dipendenza è una malattia reale
Sempre più accessibile e spesso violenta, la pornografia online crea dipendenza, con gravi ripercussioni sulla vita reale e sulla salute sessuale, soprattutto tra i giovani.

La dipendenza da porno è reale. Un fenomeno in crescita che, purtroppo, è ancora troppo spesso sottovalutato o ridicolizzato. La realtà è ben diversa: si tratta di una patologia seria, che affligge un numero crescente di persone, con conseguenze significative sulla loro vita e sulle relazioni. La disponibilità costante e gratuita di contenuti pornografici di ogni tipo, complice l’ampia diffusione di internet e, in particolare, degli smartphone, ha amplificato il problema. Guardare materiale pornografico di per sé non è pericoloso, ma lo diventa quando l’eccitazione si trasforma in una compulsione che genera problemi nella vita quotidiana, nelle relazioni interpersonali e nella salute sessuale dell’individuo.
Le storie reali di una dipendenza silenziosa
Le testimonianze raccolte dal Guardian offrono uno sguardo toccante sulla gravità di questa dipendenza. Tony, un cinquantenne, ha trascorso ben otto anni della sua vita guardando pornografia. Una vera e propria “seconda vita” nascosta a familiari e amici, intensificatasi con l’avvento di internet. Tony descrive il suo comportamento come quello di un tossicodipendente, con ripetuti tentativi di smettere, ma senza successo. La sua dipendenza ha compromesso l’intimità con la sua compagna, generando vergogna e difficoltà nel parlare del suo problema. Il caso di Tony non è affatto isolato. I dati di Ofcom rivelano che solo a maggio 2023, ben un terzo degli adulti del Regno Unito (circa 13,8 milioni di persone) ha guardato contenuti pornografici online. Un dato in crescita, spinto dall’uso massivo dei telefoni cellulari, con una netta predominanza maschile (due terzi del totale).
Stiamo attenti agli adolescenti
Se gli adulti sono a rischio, i giovani lo sono ancora di più. Si stima che nel Regno Unito gli adolescenti vedano il loro primo contenuto pornografico intorno ai 12 anni. Spesso si tratta di materiale violento ed estremo, decisamente inadatto a chi si affaccia per la prima volta al mondo della sessualità. La storia di Jack, un ventenne che ha visto il suo primo porno a 9 anni durante una gita scolastica, è esemplare. La curiosità e l’eccitazione iniziali si sono trasformate in una vera e propria compulsione, portandolo a perdere interesse per la vita quotidiana e le sue gioie. La sua vita sessuale reale ne ha risentito gravemente. La differenza tra la realtà e la rappresentazione idealizzata e spesso distorta dal porno ha creato problemi di disfunzione erettile e insoddisfazione. Jack descrive la difficoltà di mantenere l’erezione per la mancanza di intensità rispetto alla “masturbazione di un tossicodipendente desensibilizzato“, non potendo più “cliccare sui tanti video disponibili per trovare qualcosa di nuovo e più stimolante“.
Come uscire dal porno?
La dipendenza da pornografia è, a tutti gli effetti, una malattia da curare. Come ogni altra dipendenza, richiede un approccio terapeutico specifico per superare la compulsione e ricostruire una vita sana. Non si tratta semplicemente di “smettere di guardare porno“, ma di affrontare le radici psicologiche e comportamentali che alimentano il problema.
Il primo passo è ammettere di avere una dipendenza e di aver bisogno di aiuto. La vergogna, come nel caso di Tony, è un ostacolo significativo, ma superarla è cruciale. La terapia psicologica, in particolare la terapia cognitivo-comportamentale (CBT), si è dimostrata efficace nel trattamento delle dipendenze. Un terapeuta può aiutare a identificare i fattori scatenanti, a sviluppare strategie di coping e a modificare i modelli di pensiero e comportamento disfunzionali. E’ anche importante partecipare a gruppi di auto-aiuto, come quelli per le dipendenze sessuali o da internet. Può offrire un ambiente di supporto, comprensione e condivisione di esperienze con persone che affrontano problemi simili. Questo riduce il senso di isolamento e fornisce strumenti pratici per la gestione della dipendenza.
In alcuni casi, può essere utile una “disintossicazione” temporanea o permanente dall’accesso a internet e ai dispositivi che consentono l’accesso alla pornografia. L’uso di filtri o blocchi sui dispositivi può essere un aiuto. La terapia può aiutare a riparare le relazioni danneggiate dalla dipendenza e a sviluppare una sessualità sana e appagante, basata sull’intimità e sulla connessione emotiva, piuttosto che sulla stimolazione compulsiva. Indispensabile anche curare una corretta e completa educazione sessuale. Giò. Una educazione che affronti anche i rischi della pornografia online e promuova una visione sana e rispettosa della sessualità, è fondamentale per proteggere i giovani.
Il caso inglese, con le sue statistiche allarmanti, sottolinea l’urgenza di affrontare questo problema a livello sociale e individuale. La dipendenza da pornografia non è un vizio, ma una malattia che richiede cura, empatia e un serio impegno per il benessere delle persone colpite.
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Italia
Plasmon torna italiana dopo 50 anni: il biscotto dell’infanzia rientra a casa
Il gruppo emiliano NewPrinces rileva lo storico marchio dai colossi americani di Kraft Heinz. Un ritorno al made in Italy che sa di rivincita industriale (e sentimentale)

Dopo cinquant’anni trascorsi all’estero, Plasmon torna italiana. Lo storico marchio di biscotti per l’infanzia – icona dolce di generazioni di bambini e segreto inconfessabile per molti adulti – è stato acquistato dal gruppo emiliano NewPrinces (ex Newlat Food), che ha rilevato le attività italiane di Heinz per una cifra vicina ai 120 milioni di euro.
A vendere è stato il colosso statunitense Kraft Heinz, che dal 1967 controllava Plasmon e che ora cede non solo il marchio madre, ma anche altri brand come Nipiol, BiAglut, Aproten e Dieterba, tutti specializzati nell’alimentazione infantile e dietetica. Il cuore produttivo dell’operazione è lo stabilimento di Latina, dove ogni anno vengono sfornati 1,8 miliardi di biscotti, omogeneizzati e pappe.
Fondata nel 1902 a Milano dal medico Cesare Scotti, Plasmon è stata per decenni un punto fermo della tavola italiana, soprattutto durante il boom demografico del dopoguerra. Complice la pubblicità in Carosello e le scatole di latta diventate oggi oggetto vintage, il marchio ha conquistato una fiducia senza tempo.
La vendita alla Heinz americana, avvenuta negli anni Sessanta, aveva segnato l’inizio di una lunga fase di internazionalizzazione, ma anche di distacco emotivo dal territorio. Ora, grazie a NewPrinces, il brand fa ritorno in mani italiane. Una mossa non solo industriale ma anche simbolica, che parla di filiere locali, know-how nazionale e voglia di riportare valore a casa.
Lo stabilimento di Latina, considerato tra i più avanzati d’Europa nel settore, continuerà a produrre anche per il mercato britannico, almeno per un periodo transitorio. Ma il controllo, questa volta, torna sotto bandiera tricolore.
NewPrinces – già attiva con brand storici come Polenghi e Delverde – punta così a rafforzare la propria posizione nel comparto baby food. In un mercato da 200 milioni di euro di fatturato e un margine operativo lordo di circa 17 milioni.
Una buona notizia, per una volta. Che sa di latte caldo, biscotti e orgoglio nazionale.
Italia
Dallo stupro di gruppo al profilo su OnlyFans: la nuova vita (e le nuove domande) di Asia Vitale
La ragazza simbolo del caso Palermo si mostra oggi senza filtri su OnlyFans. Rivendica il controllo sul proprio corpo. Ma tra emancipazione e contraddizione, resta l’amaro dubbio: stiamo assistendo a una rinascita o a una nuova forma di esposizione?

Due anni fa il suo nome è diventato simbolo. Asia Vitale, la ragazza di Palermo violentata da sette ragazzi in un cantiere abbandonato, oggi riappare sotto una luce diversa: quella di una webcam. Dopo la chiusura del suo profilo Instagram e il calo dei follower, ha aperto un nuovo canale su OnlyFans. Si chiama AsiaVitale3.0 e propone contenuti sessuali a pagamento. Tutto legale, tutto consenziente, tutto rivendicato.
“Il corpo è mio”, dice. “Chi ha problemi con questo mestiere dovrebbe cambiare mentalità”. Eppure, la sua storia personale rende difficile ignorare la frattura tra passato e presente. Dopo aver subito un’aggressione brutale e aver vissuto anni in comunità per allontanarsi da una famiglia che lei stessa definisce “tossica”, oggi Asia monetizza la propria immagine, il proprio corpo, la propria sessualità.
Non c’è giudizio, ma c’è stupore. Non si tratta di negare la libertà di scelta, ma di registrare una contraddizione che interroga chi osserva. Come si arriva, da una violenza così feroce, a scegliere di mettersi di nuovo sotto gli occhi di tutti, stavolta per guadagnare?
“Ho rimosso le loro facce”, dice parlando dei suoi aggressori. “Cerco solo di andare avanti”. Racconta di un rapporto con il sesso profondamente cambiato, più consapevole, più adulto. Ma confessa anche un trauma più recente: un sequestro subito a Ballarò, da parte della madre di uno degli accusati, che voleva costringerla a ritirare la denuncia.
Oggi lavora in un hotel a Courmayeur e prova a costruirsi una nuova vita. OnlyFans la aiuta a far quadrare i conti, ma non garantisce stabilità. I video vengono pagati, ma possono anche essere rivenduti illegalmente. Un’altra forma di sfruttamento, di cui Asia è perfettamente consapevole.
Il suo è un racconto di sopravvivenza. Ma anche una domanda aperta: dopo tutto questo dolore, davvero la libertà passa ancora per l’esposizione del corpo?
Italia
Bibbiano, processo demolito: il mostro non esisteva, ma intanto lo avevano già impiccato in piazza
Doveva essere l’inchiesta del secolo, il complotto delle élite rosse che rubavano i bambini. Invece si è rivelato un gigantesco castello di carte: assoluzioni a pioggia, accuse smontate, reati prescritti. Ma niente paura: qualcuno, da qualche parte, urla ancora “Bibbiano!”.

Il processo più discusso degli ultimi anni si è chiuso con un verdetto che ribalta tutto. Il caso Bibbiano, diventato simbolo di presunti affidi illeciti orchestrati da una rete tra servizi sociali e terapeuti, esce demolito dalla sentenza di primo grado. Dei 14 imputati, solo tre sono stati condannati. Tutti gli altri assolti, molti con formula piena. La “macchina degli orrori” raccontata per anni, tra allontanamenti forzati e abusi mai avvenuti, semplicemente non c’è.
È quanto ha stabilito il tribunale collegiale di Reggio Emilia. Federica Anghinolfi, l’ex responsabile dei servizi sociali della Val d’Enza, su cui pendeva una richiesta di 15 anni di carcere, è stata condannata a 2 anni per falso ideologico, pena sospesa. Stessa sorte per il suo collaboratore Francesco Monopoli (un anno e otto mesi) e per la neuropsichiatra Flaviana Murru (cinque mesi). Niente più. Le accuse più gravi – come l’associazione per delinquere e la manipolazione dei minori – si sono sgretolate.
Un colpo durissimo per l’accusa, che aveva ipotizzato un sistema radicato e cinico: terapeuti che costruivano falsi ricordi di abusi, relazioni manipolate per sottrarre bambini alle famiglie, affidi gestiti con logiche distorte. Le indagini erano state lunghe, oltre cento i capi di imputazione. Ma in aula quella narrazione non ha retto. I giudici hanno smontato punto per punto l’impianto accusatorio, parlando, in molte assoluzioni, di fatti “che non sussistono”.
Il pm Valentina Salvi aveva costruito il caso insieme ai carabinieri, sostenendo che gli operatori dei servizi sociali della Val d’Enza falsificassero le relazioni sui minori per farli allontanare dalle famiglie. Ma il processo ha mostrato falle, forzature, testimonianze non sempre coerenti. E ha restituito una verità ben diversa da quella immaginata.
Sul piano politico, il caso Bibbiano era diventato un campo di battaglia. Ma oggi, davanti a una sentenza che svuota il teorema accusatorio, resta una domanda scomoda: quanto ha pesato la spettacolarizzazione mediatica su una vicenda che, forse, non avrebbe mai dovuto essere un processo simbolico?
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