Mistero
Il bracciale del faraone Amenemope fuso per 3.400 euro: l’audace furto al Museo del Cairo che priva Roma di un tesoro millenario
Il furto risale al 9 settembre: una restauratrice del Museo del Cairo ha sottratto il prezioso bracciale del faraone Amenemope, poi fuso e rivenduto per pochi spiccioli. La polizia egiziana ha ricostruito i passaggi di mano grazie a una telecamera di sorveglianza: quattro arresti, ma il tesoro è perduto per sempre.

Per gli antichi egizi l’oro era la carne stessa degli dèi, un materiale eterno, sacro, senza prezzo. Per una banda di ladri del Cairo, invece, il valore di quel metallo si è fermato a 3.400 euro. Tanto hanno ricavato dalla fusione di un bracciale appartenuto al faraone Amenemope. Un reperto di tremila anni fa che avrebbe dovuto viaggiare verso Roma per essere esposto nella grande mostra I tesori dei faraoni alle Scuderie del Quirinale.
La vicenda, ricostruita con sconcerto dalla stampa egiziana, ha inizio il 9 settembre scorso. In un laboratorio di restauro del Museo del Cairo, privo di telecamere di sorveglianza, una restauratrice ha aperto la cassaforte dove erano conservati i pezzi in manutenzione. Il bracciale non aveva alcun problema: era semplicemente in attesa del trasporto verso l’Italia. La donna lo ha nascosto in un sacchetto di stoffa grigia e lo ha portato fuori dall’edificio, passando inosservata.
Da lì è iniziato un passaggio di mano degno di una “fiera dell’est” in versione criminale. Il prezioso è finito prima a un mercante d’argento del suq di Sayyda Zeynab, poi a un collega specializzato in oro e infine a un operaio del mercato di El Sagha, quartiere noto ai cairoti per le botteghe orafe. È stato lui a completare l’opera: fondere il bracciale millenario, riducendolo a semplice oro da rivendere.
La polizia egiziana, allertata dalla scomparsa del reperto, ha ricostruito la catena di passaggi grazie alle telecamere di sorveglianza piazzate in alcune botteghe. Una banconota stropicciata passata sul bancone di un’oreficeria è oggi l’ultima immagine che resta del gioiello regale. Quattro persone sono state arrestate, inclusa la restauratrice, ma il danno culturale è irreparabile.
Il bracciale di Amenemope avrebbe dovuto far parte dei 130 capolavori in arrivo a Roma. Con la sua perdita, la mostra aprirà i battenti con un pezzo in meno, a ricordare quanto fragili siano i confini tra il patrimonio dell’umanità e la voracità del presente.
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Mistero
Dracula sepolto a Napoli? Decifrata l’iscrizione sulla tomba misteriosa che riaccende la leggenda
Secondo una nuova ipotesi, Vlad l’Impalatore – ispiratore del Dracula letterario – non sarebbe morto in battaglia ma portato a Napoli dalla figlia e sepolto in una tomba nobiliare. La recente decifrazione di un’antica iscrizione potrebbe confermare tutto.

Dracula potrebbe essere morto a Napoli. Non è il plot di un film, ma una teoria che da anni incuriosisce studiosi, turisti e appassionati di misteri storici. Al centro di tutto, una tomba nel complesso monumentale di Santa Maria la Nova, a due passi dal cuore antico della città. E ora, una svolta clamorosa: la decifrazione di un’iscrizione funebre finora rimasta oscura rilancia la possibilità che sia davvero la sepoltura di Vlad III di Valacchia, il famigerato Impalatore passato alla leggenda come Dracula.
Ad anticiparlo è Giuseppe Reale, direttore del complesso, che dalla Romania fa sapere che un gruppo di studiosi ha interpretato la scritta come un elogio funebre dedicato proprio al principe valacco vissuto tra il 1431 e il 1477. Secondo la teoria, Vlad non sarebbe morto in battaglia, ma catturato dai turchi e poi liberato dalla figlia Maria Balsa, rifugiatasi a Napoli dopo essere stata adottata da una nobile famiglia locale.
Alla sua morte, Vlad sarebbe stato tumulato nella cappella Turbolo, nella tomba del suocero della figlia. La tomba, decorata con simboli egizi, draghi e iconografie non riconducibili alla tradizione locale, era già al centro di speculazioni fin dal 2014. Ora, però, la decifrazione dell’epigrafe – datata attorno al Cinquecento – dà nuova linfa alla leggenda.
Napoli, del resto, è abituata a ospitare l’impossibile: santi che fanno miracoli, sangue che si scioglie, teschi che parlano. E ora anche un Dracula… in trasferta definitiva. Non resta che attendere conferme, ma intanto il fascino resta intatto. Perché forse l’Impalatore non è mai tornato in Transilvania. Ha solo cambiato castello.
Mistero
Leonardo e l’enigma dell’anguilla nell’Ultima Cena: politica, simboli e un messaggio al Moro
Un saggio di Luigi Ballerini indaga l’enigma gastronomico e simbolico: perché Leonardo scelse di inserire l’anguilla, prelibatezza rinascimentale, sulla tavola di Cristo? Forse un messaggio cifrato contro Ludovico il Moro, più che un vezzo culinario.

Non solo pane e vino. Nell’Ultima Cena di Leonardo, affrescata nel refettorio di Santa Maria delle Grazie a Milano, compare un piatto che non smette di intrigare studiosi e storici dell’arte: l’anguilla, alimento proibito dalle leggi ebraiche. Perché inserirla nella scena più sacra della cristianità? È questa la domanda che anima il saggio Le anguille di Leonardo (Marsilio) di Luigi Ballerini, poeta e saggista che ha insegnato letteratura italiana a Yale e alla New York University.
Per secoli, gli artisti avevano raffigurato l’Ultima Cena con tavole austere, più simboliche che reali: pane azzimo, erbe amare, un pasto essenziale, come volevano i Vangeli e la tradizione monastica. Ma a partire dal Quattrocento, l’immaginario gastronomico entrò nei dipinti, complice il ritrovamento del De Rerum Natura di Lucrezio nel 1417. Un testo che rivalutava i piaceri della vita, costringendo la Chiesa a reinterpretare la gola non più solo come peccato, ma come fonte di energia e vitalità.
È in questo clima che Maestro Martino, cuoco delle corti lombarde, elevò l’anguilla a regina di ricettari e banchetti, inserendola in pasticci e torte speziate. Leonardo però, vegetariano convinto, difficilmente si interessava ai fornelli. Per Ballerini, la scelta non fu gastronomica, ma politica: l’anguilla diventava il simbolo del biscione visconteo, stemma ereditato dagli Sforza. Un monito per Ludovico il Moro, suo committente, che lo pagava a singhiozzo: “Il potere è scivoloso, sfugge di mano”. Non a caso, il duca perse il trono l’anno dopo, travolto dall’invasione francese.
Il mistero resta, ma il dettaglio parla da sé: laddove altri maestri proponevano ciliegie, melograni o pesci di lago come allegorie religiose, Leonardo infilò un piatto che diventava messaggio cifrato. E trasformò la tavola sacra in un campo di battaglia simbolico, dove l’arte smette di nutrire solo l’anima e diventa avvertimento politico.
Mistero
Scompare dal Museo del Cairo un braccialetto d’oro di 3mila anni: era del faraone Amenemope
Il monile apparteneva al re Amenemope della XXI dinastia ed era stato rinvenuto a Tanis nel 1940. Allertati aeroporti e porti egiziani, in corso un inventario straordinario di tutti i reperti.

Un gioiello di valore inestimabile è svanito dal cuore dell’archeologia mondiale. Un braccialetto d’oro risalente a circa tremila anni fa, ornato da una perla di lapislazzuli e appartenuto al faraone Amenemope, è stato dichiarato scomparso dal laboratorio di restauro del Museo Egizio del Cairo. A rivelarlo è stata la Bbc, citando una nota del ministero egiziano del Turismo e delle Antichità.
Allarme immediato
La sparizione ha fatto scattare l’allarme immediato. Il caso è stato segnalato alle forze dell’ordine e alla Procura della Repubblica, mentre un’immagine del monile è stata diffusa a tutti gli aeroporti, porti e valichi di frontiera del Paese per scongiurare un eventuale tentativo di contrabbando. Si teme infatti che il braccialetto possa essere già entrato nel circuito del traffico internazionale di reperti archeologici, una piaga che da decenni impoverisce il patrimonio culturale egiziano.
Inventario straordinario
Il direttore del Museo ha dovuto anche smentire alcune foto circolate online che ritraevano un bracciale simile, chiarendo che non si trattava dell’oggetto scomparso ma di un altro manufatto esposto nelle sale. Intanto, tutti i reperti custoditi nel laboratorio saranno sottoposti a un inventario straordinario da parte di una commissione di esperti, per verificare eventuali altre mancanze.
Il braccialetto perduto non è un semplice ornamento. Apparteneva al re Amenemope, sovrano della XXI dinastia (1076-943 a.C.), figura poco nota ma significativa del Terzo Periodo Intermedio. Il suo corpo, originariamente deposto in una tomba modesta a Tanis, fu traslato accanto a Psusennes I, uno dei faraoni più influenti dell’epoca. La sepoltura venne riportata alla luce nel 1940, portando alla ribalta la figura di Amenemope e i preziosi oggetti della sua tomba.
Il furto o la scomparsa di un reperto di tale portata rischia di riaccendere le polemiche sulla sicurezza del Museo del Cairo, già alle prese con il trasferimento di parte delle collezioni al nuovo complesso di Giza. Nel 2024 due uomini erano stati arrestati ad Alessandria con l’accusa di voler trafugare antichi manufatti sommersi nella baia di Abu Qir. Oggi, con il braccialetto di Amenemope svanito nel nulla, il timore è che la storia si ripeta, confermando quanto la febbre del traffico illecito continui a minacciare il patrimonio faraonico.
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