Mistero
UFO e alieni, Trump vuole pubblicare tutto: «Finalmente luce sui dossier segreti»
Tim Burchett, membro del Congresso, sostiene che Trump è deciso a rivelare al mondo la verità sugli alieni. Un annuncio che fa sperare gli appassionati di UFO e divide l’opinione pubblica tra scetticismo e attesa.

Tim Burchett, membro del Congresso degli Stati Uniti, non ha usato mezzi termini nel commentare le intenzioni del nuovo Presidente americano Donald Trump riguardo una delle questioni più discusse e controverse: l’esistenza di alieni e UFO. Secondo Burchett, Trump sarebbe deciso a «fare piena luce» sui misteri extraterrestri e pronto a desecretare tutti i documenti sugli alieni in possesso del governo e della Casa Bianca. Per Burchett non è solo una possibilità, ma una quasi certezza: la nuova amministrazione intende rendere pubbliche informazioni che, fino ad oggi, sono rimaste sotto strettissimo controllo.
Il piano di Trump: svelare la verità nascosta sugli extraterrestri
Non è certo una mossa da poco, e, come prevedibile, il mondo è già diviso tra scettici e appassionati pronti a scoprire se dietro questi annunci si nasconda finalmente la verità. È davvero possibile che Trump, in uno dei suoi consueti e clamorosi colpi di scena, si trovi a svelare documenti classificati? Il deputato Burchett ha lasciato intendere che questo è proprio ciò che potrebbe accadere, lasciando intendere un prossimo passo decisivo per l’umanità: conoscere le risposte a domande che da decenni affascinano e tormentano l’immaginario collettivo.
Alieni, UFO e segreti governativi: una rivelazione storica in arrivo?
Nonostante gli annunci del Congresso e il tam-tam mediatico, la domanda resta: sarà vero o è solo l’ennesima trovata politica? Gli Stati Uniti hanno accumulato, nel corso degli anni, migliaia di rapporti su avvistamenti, fenomeni inspiegabili e ipotetici incontri extraterrestri. Questi documenti, che coprono anni di segnalazioni e studi, sono al centro dell’attesa mondiale per una verità che, fino ad oggi, ha sempre trovato un muro di silenzio. C’è chi spera in una pubblicazione totale e trasparente, ma anche chi teme che l’entusiasmo possa smorzarsi in un nulla di fatto.
Un gesto che divide: il pianeta in attesa delle “rivelazioni” di Trump
Se Trump decidesse davvero di desecretare i dossier sugli alieni, si tratterebbe di un gesto epocale, ma la portata di questa azione non è priva di rischi e implicazioni. Tra coloro che aspettano con il fiato sospeso e i più scettici, resta da capire se, questa volta, ci troveremo davanti a una svolta o all’ennesimo gioco politico. Il mondo intero è pronto a conoscere la verità, ma basteranno le intenzioni di Trump a far cadere definitivamente il velo sui segreti alieni?
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Mistero
Quel morso nell’anca: la scoperta choc che riscrive la storia dei gladiatori in Britannia
Fino a oggi le prove dei sanguinosi spettacoli tra fiere e gladiatori fuori da Roma erano solo artistiche o letterarie. Ora, per la prima volta, uno scheletro umano con segni compatibili con un morso di leone fornisce la prova materiale che anche nelle province più periferiche dell’Impero si celebrava il macabro culto della violenza. Il teatro? L’antica Eboracum, la moderna York.

C’è un foro nell’osso dell’anca. Profondo, netto, senza margini di guarigione. Un taglio che non lascia spazio ai dubbi: chi ha subito quella ferita non è sopravvissuto. La cosa davvero sorprendente è che quel foro non lo ha provocato una spada, né una lancia, né uno dei tanti strumenti di morte dei gladiatori. È un morso. Di leone.





La scoperta arriva da York, nel Regno Unito, un tempo colonia romana nota come Eboracum, e cambia radicalmente la narrazione storica sugli spettacoli gladiatori fuori dalle mura di Roma. Lo scheletro appartiene a un uomo tra i 26 e i 35 anni, morto circa 1.800 anni fa, il cui corpo è stato sepolto con una cerimonia che suggerisce un certo rispetto. Eppure, di lui oggi resta solo quel foro nell’osso, la firma inconsapevole di un grande felino. E l’ipotesi di una morte sotto le zanne di una belva, in uno spettacolo pubblico.
Il ritrovamento è parte di un’indagine archeologica durata oltre vent’anni, coordinata dalla Maynooth University e da un consorzio di università e istituti britannici. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Plos One e rappresenta la prima prova osteologica diretta di un combattimento tra uomo e leone in territorio britannico.
La ferita, ricostruita in 3D, è stata confrontata con diversi modelli di dentature animali: quella del leone, per forma e dimensioni, è l’unica compatibile. “Una scoperta che apre una finestra terribile ma concreta sulla brutalità del potere romano”, spiega John Pearce del King’s College.
La tomba è stata rinvenuta nel sito di Driffield Terrace, noto per essere una delle necropoli gladiatorie meglio conservate del mondo romano. Già nel 2010 erano stati ritrovati 82 scheletri, molti dei quali con segni evidenti di vita da combattente: corpi robusti, fratture cicatrizzate, articolazioni rovinate dall’eccesso di sforzi. Uno di questi, oggi, parla con un morso.
Secondo l’archeologa Malin Holst, si trattava di un bestiario, il tipo di gladiatore addestrato a combattere con animali feroci. Le ossa di cavallo trovate accanto a lui, i traumi multipli e persino le tracce di malnutrizione infantile raccontano una vita di fatica, addestramento e probabilmente schiavitù. Un’esistenza passata a sfidare la morte — fino a che, un giorno, la morte ha vinto.
Eppure York non ha mai restituito tracce dirette di un anfiteatro romano. E allora dov’è avvenuto lo scontro? Forse in una struttura lignea temporanea. Forse in un’arena più piccola e già scomparsa. Di certo la ricchezza di Eboracum — la città che vide l’ascesa dell’imperatore Costantino nel 306 d.C. — giustifica la presenza di simili spettacoli. La provincia non era poi così lontana dal cuore pulsante dell’Impero.
Non erano solo giochi, erano messaggi politici. Simboli della forza romana, della sua capacità di domare le bestie, reali e metaforiche. La presenza di un leone a York ci ricorda un dettaglio spesso ignorato: l’impero catturava e deportava migliaia di animali esotici. Leoni, pantere, orsi dai monti dell’Atlante, tigri dall’India, giraffe, coccodrilli e ippopotami dall’Egitto. Viaggi impossibili, durissimi, solo per garantire al popolo quel miscuglio di orrore e meraviglia che teneva in piedi il consenso imperiale.
Quello che oggi possiamo chiamare intrattenimento era, in realtà, propaganda fatta carne. Carne umana, carne animale. E sangue.
Il foro nel bacino dell’uomo di York racconta tutto questo. Non servono mosaici, né affreschi, né epigrafi. Basta un morso. E un osso che ha atteso quasi due millenni per farsi sentire.
Mistero
L’ultimo Papa? La profezia di San Malachia torna a scuotere Roma
Tra corridoi curiali e suggestioni apocalittiche, rispunta la profezia medievale che parla di un Papa chiamato Pietro, guida della Chiesa nell’ultima persecuzione. E ora un nome inquieta tutti: Parolin.

Roma trattiene il respiro. Il corpo di Papa Francesco è stato traslato da Santa Marta alla Basilica di San Pietro, dove le volte millenarie accolgono l’ultimo saluto come una preghiera scolpita nel marmo. Il 26 aprile, la liturgia del commiato darà inizio all’ingranaggio segreto e solenne del Conclave. In quelle ore sospese, la città eterna sussurra leggende antiche. E una, più di tutte, torna a bruciare nel cuore dei fedeli e nei pensieri di chi conosce il peso del potere ecclesiastico: la profezia di San Malachia.
Correva il XII secolo quando Malachia, arcivescovo d’Armagh, avrebbe ricevuto in visione la lista dei papi futuri: centododici motti in latino, ciascuno legato a un pontefice, fino alla fine dei tempi. Un manoscritto conservato, si dice, nella Biblioteca Vaticana. Una traccia fragile, riemersa solo secoli dopo, nel 1595, pubblicata dal monaco benedettino fiammingo Arnoldo Wion. Attorno a quelle pagine, mito e sospetto si sono intrecciati senza sosta.
Oggi, secondo quella lista, il tempo di Francesco — il Papa 111esimo — è compiuto. E quello che arriva adesso, l’ultimo, avrebbe un nome inciso nel destino: Petrus Romanus.
“In persecutione extrema Sanctae Romanae Ecclesiae sedebit Petrus Romanus, qui pascet oves in multis tribulationibus…”, si legge. “Durante l’ultima persecuzione della Santa Romana Chiesa siederà Pietro il Romano, che pascerà il gregge tra molte tribolazioni”.
Un motto che si chiude con una parola lapidaria: Finis. Non un punto. Ma una fine.
Non è un testo riconosciuto dalla Chiesa. Troppo tardi, troppo perfetto, troppo contaminato da suggestioni politiche del Cinquecento. Eppure ritorna. Come un battito sotto la pelle di Roma. Perché in ogni cambio di pontificato si riapre la ferita del mistero. La fede vera sa distinguere. Ma il popolo — e parte della Curia — ascolta i segni.
Ed ecco che nel mosaico di sussurri e scenari, spunta un nome che sembra fatto apposta per accendere l’eco della profezia: Pietro Parolin.
Segretario di Stato, piemontese, fine tessitore di diplomazie e custode degli equilibri vaticani. Un uomo che conosce ogni chiave del Palazzo. Ma è il nome, quella pietra che pesa: Pietro. Pietro il Romano. Pietro come il primo Papa. Pietro come l’ultimo?
Parolin, oggi, è considerato un candidato serio. Non il più probabile, ma tra i più “pontificabili”. La sua presenza accende un sottile brivido: è colui che potrebbe incarnare, perfino inconsapevolmente, quel presagio. E la mente collettiva, soprattutto nei momenti di passaggio, si aggrappa ai simboli.
La morte di Francesco ha aperto una soglia. I pellegrini si accalcano a San Pietro per l’ultimo saluto. I cardinali cominciano ad arrivare a Roma. Dentro il Vaticano, le congregazioni generali scaldano i motori del Conclave. Ma fuori, tra le mura della città sacra e pagana, si respira un’aria antica. Densa di mito, superstizione e profezie dimenticate.
Qui, ogni morte di un Papa è anche un rito di passaggio. E ogni nuovo nome può risuonare come un segnale. E se davvero toccasse ora al Petrus Romanus, come reagirebbe il mondo?
Roma lo sa: non c’è potere più forte di quello che sa nascondersi tra le ombre.
E nulla, in Vaticano, è mai solo coincidenza.
Mistero
Francesco ultimo Papa? Le profezie di Malachia e Nostradamus sull’ultimo pontefice
La morte del Papa riaccende antiche profezie: chi sarà il prossimo pontefice? Sarà davvero l’ultimo? Nostradamus e Malachia parlano di un Papa “romano” e di tribolazioni per la Chiesa.

La scomparsa di Papa Francesco ha segnato la fine di un pontificato carismatico e riformatore. E mentre la Chiesa si prepara a eleggere il suo successore, tornano in auge le oscure previsioni di Nostradamus e Malachia. Due figure enigmatiche che avrebbero predetto non solo la morte di un pontefice anziano, ma anche l’arrivo di un Papa “romano”, descritto come il pontefice finale prima della fine dei tempi.
Nostradamus e la quartina sul nuovo Pontefice
Michel de Nostredame, meglio conosciuto come Nostradamus, scrisse nel 1555 il suo libro Les Prophéties, una raccolta di quartine spesso interpretate come previsioni di eventi futuri. Tra queste, una in particolare ha catturato l’attenzione degli studiosi.
“Per la morte di un Pontefice molto vecchio Sarà eletto un romano di buona età Di lui si dirà che indebolisce la sua sede Ma a lungo siederà e in attività mordace.“
Secondo alcune interpretazioni, Papa Francesco, ormai anziano e afflitto da problemi di salute, corrisponde perfettamente alla descrizione del pontefice morente. La quartina suggerisce che il suo successore potrebbe essere un Papa fortemente legato a Roma, in un periodo di forti divisioni e difficoltà per la Chiesa. Se questa previsione si avverasse, il conclave potrebbe orientarsi verso un pontefice europeo. Una decisione in netta controtendenza rispetto alle speculazioni degli ultimi anni, che vedevano favoriti cardinali provenienti da Africa o Asia.
Malachia e il mistero di “Pietro il Romano”
Ancora più inquietante è la Profezia dei Papi, attribuita a San Malachia, arcivescovo irlandese del XII secolo. Secondo questa antica lista di 112 motti latini, Papa Francesco sarebbe stato il numero 111. Il 112º nome non è un semplice motto, ma una visione apocalittica.
“Durante l’ultima persecuzione della Santa Romana Chiesa siederà Pietro il Romano, che pascerà il gregge tra molte tribolazioni. Quando queste saranno concluse, la città dei sette colli sarà distrutta e il Giudice tremendo giudicherà il suo popolo. Fine.“
Questa descrizione fa tremare molti credenti. Secondo alcuni, il prossimo Papa sarà il pontefice finale, colui che guiderà la Chiesa attraverso le ultime difficoltà prima della sua trasformazione definitiva. O della fine dei tempi. Il nome “Pietro” è particolarmente significativo, poiché nessun papa ha mai voluto adottarlo, per rispetto del primo apostolo. Tuttavia, “romano” potrebbe indicare un pontefice profondamente legato alla tradizione cristiana o un segnale di ritorno alle origini.
Che significato possiamo dare alla profezia
L’interpretazione delle profezie rimane aperta. Alcuni studiosi ritengono che Papa Francesco fosse già l’ultimo della lista e che “Pietro il Romano” fosse un titolo simbolico. Altri, invece, credono che il prossimo conclave eleggerà proprio il successore atteso, chiudendo così il ciclo profetico. Nel frattempo, il mondo osserva con attenzione la successione al Vaticano, domandandosi se l’elezione del nuovo pontefice porterà con sé cambiamenti profondi o il compimento di antiche visioni.
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