Connect with us

Mondo

Gli Stati Uniti perdono la tripla A e per i trumpiani è (ovviamente) colpa di Biden

Il segretario al Tesoro Bessent punta il dito contro la Casa Bianca di Biden, ma Moody’s parla di un problema strutturale, aggravato dalla polarizzazione politica e dalle mire di Trump sulla Fed. E nel frattempo, anche l’economia balla.

Avatar photo

Pubblicato

il

    “Non siamo arrivati a questo punto negli ultimi 100 giorni”, ha dichiarato il segretario al Tesoro degli Stati Uniti, Scott Bessent, cercando di scaricare la responsabilità del declassamento del rating americano sulla precedente amministrazione Biden. Moody’s, una delle principali agenzie di rating al mondo, ha infatti abbassato il giudizio sul debito statunitense, togliendo agli USA l’ultima “tripla A” ancora rimasta dopo quelle già perse con S&P nel 2011 e Fitch nel 2023.

    Una bocciatura pesante, che arriva in un momento di forti tensioni politiche interne e con un Congresso spaccato. Ma per i trumpiani la colpa è semplice: “È Biden, baby”. L’amministrazione attuale, accusano, avrebbe condotto una politica di spesa irresponsabile, con un deficit “ereditato” al 6,7% del PIL. Peccato che Moody’s, nel suo comunicato ufficiale, abbia specificato che la dinamica del debito è il frutto di anni di gestione bipartisan e di decisioni che hanno coinvolto “successive amministrazioni e il Congresso”.

    Non solo: il report sottolinea come i deficit continueranno ad aumentare nei prossimi dieci anni, anche a causa di un crescente disallineamento tra entrate e spese pubbliche, senza contare i costi legati alla difesa, alla sanità e agli interessi sul debito stesso.

    Un altro punto chiave toccato da Moody’s riguarda la tenuta istituzionale americana. L’agenzia ha infatti richiamato l’attenzione sulla necessità di preservare la separazione dei poteri e l’indipendenza della Federal Reserve come elementi essenziali per la stabilità economica. Tradotto: attenzione alle spinte populiste e alle pressioni sulla banca centrale, che Donald Trump — in caso di rielezione — ha già fatto intendere di voler riportare sotto il controllo diretto dell’esecutivo. Altro che rassicurazioni sui mercati.

    Intanto, Bessent ha assicurato che l’attuale amministrazione — che formalmente è ancora quella di Trump — sarebbe al lavoro per stimolare la crescita e contenere la spesa. Ma le rassicurazioni sembrano non bastare. Il nuovo piano di bilancio di Trump, con l’estensione da 5.000 miliardi di dollari dei famigerati tagli fiscali del 2017, ha già incassato una sonora bocciatura al Congresso. Troppo ambizioso, troppo costoso e senza coperture adeguate.

    Il risultato? Fiducia ai minimi, economia in bilico, e un rating che ne risente. Un brutto colpo d’immagine per la prima economia mondiale, proprio in un momento in cui la Cina avanza, l’Europa arranca e la guerra in Ucraina continua a drenare risorse.

    Ma il dibattito interno è tutto politico. E come da copione, i repubblicani hanno già pronto il colpevole: Joe Biden. Anche se non è più alla Casa Bianca. Ma si sa, nei talk show pro-Trump e tra i sostenitori più accesi, la realtà è spesso un optional.

      SEGUICI SU INSTAGRAM
      INSTAGRAM.COM/LACITYMAG

      Cronaca

      Siete dei latitanti? Scappate qui… non vi prenderanno mai

      Ecco i Paesi nel mondo in cui non valgono gli accordi per l’estradizione nei quali è possibile rifugiarsi per sfuggire al carcere italiano.

      Avatar photo

      Pubblicato

      il

        Quali sono i Paesi che non hanno accordi di estradizione con l’Italia o che non estradano cittadini italiani latitanti verso il nostro Paese? Il loro elenco può variare e dipendere da diversi fattori. Dalla mancanza di trattati bilaterali alle leggi nazionali che proteggono i delinquenti dalla estradizione, o per considerazioni politiche e diplomatiche.

        I Paesi dove si rischia meno

        Nella lista dei Paesi che spesso non hanno accordi di estradizione con l’Italia o che pongono restrizioni all’estradizione troviamo la Cina che per impostazioni politiche spesso non estrada i propri cittadini. Segue la Russia che ha una politica restrittiva riguardo l’estradizione dei propri cittadini ma non nei confronti di cittadini italiani che hanno commesso crimini. Il Vietnam come la Cina, il raramente estrada i propri cittadini così come l’Arabia Saudita che non concede l’estradizione per vari motivi, inclusi quelli religiosi e politici. L’Iran non ha accordi di estradizione con molti paesi occidentali, compresa l’Italia. La Corea del Nord è estremamente improbabile che accetti qualsiasi richiesta di estradizione.

        La mancanza di cooperazione aiuta la malavita

        Cuba storicamente rifiutata molte richieste di estradizione da paesi occidentali. In Somalia la mancanza di un governo centrale stabile rende difficile qualsiasi cooperazione internazionale sull’estradizione. Così pure in Siria Paese nel quale le attuali condizioni politiche e di sicurezza impediscono accordi di estradizione efficaci. Tutti i Paesi senza relazioni diplomatiche con l’Italia come Bhutan o Tuvalu, Stato insulare polinesiano, potrebbero non avere accordi di estradizione semplicemente perché non hanno relazioni diplomatiche stabilite con l’Italia.

        I magnifici nove

        I Paesi nel mondo in cui con certezza non valgono gli accordi per l’estradizione – e quindi quelli in cui è possibile rifugiarsi per sfuggire al carcere in Italia – sono nove in tutto: dal Nepal alla Cambogia, dalle Seychelles alla Malesia, da Capo Verde al Belize. E inoltre Giamaica, Madagascar e Namibia. In Italia l’estradizione è regolata dall’articolo 13 del codice penale italiano che stabilisce come sia regolata dalla legge penale italiana, dalle convenzioni e dagli usi internazionali. Il nostro Paese, dal 1873, ha stipulato diversi accordi di estradizione bilatere con la maggior parte dei Paesi nel mondo.

          Continua a leggere

          Mondo

          Michelle Obama: «Barak? Mi sono innamorata della sua voce»

          Trentadue anni di matrimonio, due figlie e una storia d’amore nata da una telefonata: Michelle Obama ha rivelato come è iniziata la relazione con l’uomo che sarebbe diventato il 44° Presidente degli Stati Uniti.

          Avatar photo

          Pubblicato

          il

          Autore

          Michelle Obama

            Michelle Obama ha raccontato un episodio inedito e personale del suo passato sentimentale nell’ultima puntata del podcast “In My Opinion (IMO)”, ospitato dal fratello Craig Robinson. Quando lui le ha chiesto quale fosse stato il primo dettaglio ad attirarla in Barack Obama, la risposta è stata immediata: «La sua voce. Profonda, calda, sicura. Più sexy di quanto mi aspettassi».

            La loro prima interazione non fu dal vivo, ma al telefono. Michelle, all’epoca giovane avvocata nello studio legale Sidley Austin di Chicago, era stata incaricata di fare da mentore a un promettente tirocinante di Harvard. Nonostante inizialmente lo immaginasse come un tipo “nerd e un po’ strano”, l’impressione cambiò non appena lo sentì parlare.

            Una scintilla difficile da ignorare

            Quando finalmente si incontrarono di persona, la sorpresa fu totale. «Era alto, affascinante, con una sicurezza disarmante. E decisamente più attraente della foto che avevo ricevuto». I due condivisero un pranzo ricco di risate e conversazioni profonde, e tra loro nacque subito un’intesa speciale. Tuttavia, Michelle tentò inizialmente di resistere: «Essendo la sua mentore, non volevo mischiare lavoro e sentimenti».

            Al punto da cercare di presentargli altre donne. Ma Barack, con la calma e la determinazione che ancora oggi lo contraddistinguono, non si fece scoraggiare. «Hai fascino, sei brillante. E poi, che importa cosa pensa lo studio? È la nostra vita», le disse per convincerla a uscire con lui.

            Le regole (e il rischio) di perdere l’amore

            Michelle ha ammesso che la sua rigidità iniziale rischiava di farle perdere “l’amore della vita”. «Stavo per lasciar perdere tutto per rispettare regole che, col senno di poi, non avevano alcun senso. Per fortuna Barack ha avuto la pazienza e il coraggio di farmelo capire».

            Oggi i due festeggiano 32 anni di matrimonio, hanno cresciuto insieme due figlie, Malia e Sasha, e affrontato con unità ogni fase della vita pubblica e privata. Nonostante le voci ricorrenti di crisi, Michelle chiarisce: «Non ho mai pensato di lasciarlo. Abbiamo affrontato momenti duri, ma sono diventata una donna migliore grazie a lui. E quella voce, credetemi, è ancora sexy come allora».

              Continua a leggere

              Mondo

              Trump vuole il Nobel per la Pace. Ma di pacifico, in lui, c’è solo l’ego

              Si paragona a Mandela, ma firma accordi che non reggono una settimana, minaccia l’Iran, accarezza Netanyahu e rilancia la pena di morte. Ora sogna il Nobel per la Pace, come se la pace fosse un reality di cui essere il protagonista.

              Avatar photo

              Pubblicato

              il

              Autore

                Donald Trump non vuole solo governare il mondo. Vuole anche essere premiato per averlo messo a ferro e fuoco. Il 10 ottobre verrà annunciato il nuovo Nobel per la Pace e, tra i candidati più discussi, spunta proprio lui: l’uomo che bombarda, firma tregue che non durano un giorno e si autoproclama salvatore dell’umanità.

                «Ho concluso sette guerre», si è vantato dal palco dell’Onu, mentre il pianeta conta i danni lasciati dalle sue “missioni di pace”. Dall’Iran al Congo, dal Caucaso a Gaza, Trump si attribuisce meriti che non ha e si vende come un mediatore globale. In realtà, le sue “pacificazioni” sono contratti commerciali camuffati da diplomazia.

                Gli Accordi di Abramo, che nel 2020 dovevano normalizzare i rapporti tra Israele e il mondo arabo, oggi sono ridotti in macerie. Il Medio Oriente brucia, Netanyahu lo ringrazia a colpi di missili e i Paesi firmatari si sfilano uno dopo l’altro. Lo stesso vale per l’Asia, dove i “cessate il fuoco” tra India e Pakistan o tra Thailandia e Cambogia sono serviti solo a fargli scrivere qualche tweet trionfale.

                Ma il colpo più grottesco resta la “pace” afghana. Trump firmò con i Talebani un accordo di resa travestito da vittoria, lasciando a Biden il compito di gestire la disfatta. La sua eredità? Un Paese tornato indietro di vent’anni e le donne di nuovo sotto il burqa.

                Eppure, nonostante guerre sospese e bombe che ancora cadono, Trump insiste: “Merito il Nobel”. Del resto, ha appena ribattezzato il Pentagono “Dipartimento della Guerra” e reintrodotto la pena di morte a Washington DC. È la sua personale idea di “fratellanza tra i popoli”.

                Il Comitato di Oslo, se ha ancora un briciolo di senso dell’umorismo, potrebbe anche premiarlo. Ma dovrebbe farlo per la categoria giusta: miglior attore non protagonista nel film della pace mondiale. Perché se davvero il Nobel finisse nelle sue mani, l’unica cosa a morire sarebbe la credibilità del premio stesso.

                  Continua a leggere
                  Advertisement

                  Ultime notizie

                  Lacitymag.it - Tutti i colori della cronaca | DIEMMECOM® Società Editoriale Srl P. IVA 01737800795 R.O.C. 4049 – Reg. Trib MI n.61 del 17.04.2024 | Direttore responsabile: Luca Arnaù