Mondo
La scommessa di Macron contro la destra
Ballottaggi del 7 luglio: il partito di Macron tra l’estrema destra di Le Pen e la sinistra del Nuovo Fronte Popolare. Renaissance non presenta candidati in 65 circoscrizioni e cerca alleanze strategiche per resistere.

Dopo l’elezioni di ieri e la netta vittoria della destra di Marie Le Pen, il partito di Macron Renaissance sta affrontando una delle sfide più dure della sua storia politica. Con le elezioni legislative anticipate fissate per domenica 30 giugno, le proiezioni non sono favorevoli. Il sistema elettorale francese a doppio turno è implacabile e le attuali dinamiche indicano una forte contrapposizione tra l’estrema destra di Marine Le Pen e il blocco delle sinistre riunite nel Nuovo Fronte Popolare. Questo scenario rischia di stritolare il campo centrista.
La strategia di Renaissance
In risposta a questa difficile situazione, Renaissance ha deciso di non presentare candidati in 65 circoscrizioni, preferendo sostenere nomi “costruttivi” di partiti ritenuti presentabili e filo-UE. Questa strategia di desistenza è stata negoziata con alcuni esponenti dei Républicains in dissenso con la linea del presidente Ciotti, nonché con la sinistra più moderata che non si riconosce nel nuovo cartello delle gauche.
Una delle mosse più sorprendenti, annunciate dal premier Gabriel Attal, è stata la decisione di non schierare nessuno contro l’ex presidente socialista François Hollande nel suo feudo di Tulle. Attal ha invitato piuttosto a votare per il candidato della destra repubblicana ritenuto “Macron-compatibile”, Francis Dubois. Inoltre, Attal ha firmato un “patto di non aggressione” con i repubblicani anti-Ciotti nel suo feudo di Hauts-de-Seine. Questa mossa è stata motivata dalla necessità di non far precipitare la Francia negli estremismi, come ha ripetuto più volte lo stesso premier.
Le dinamiche politiche ed elettorali
Attal, pur essendo stato informato all’ultimo momento da Macron della decisione di indire elezioni anticipate, ora deve condurre questa folle campagna elettorale, descritta come la più rapida nella storia recente. Il suo compito è salvare il macronismo, che viene descritto come l’unica “forza responsabile e credibile” di governo. L’ex premier Édouard Philippe ha spiegato che la desistenza è stata imposta dalla dura realtà: “Abbiamo calcolato che non c’era nessun candidato della maggioranza in grado di vincere”.
Tra i membri del governo in corsa per il voto, 24 ministri in tutto, alcuni rischiano di essere eliminati già al primo turno. Ci sono anche macronisti in fuga, come l’ex ministro Aurélien Rousseau, che si presenta con il blocco di sinistra, e una deputata dell’attuale maggioranza che si presenta con il cartello Républicains-Rassemblement National. A Parigi, il fu macronista Gilles Le Gendre sfida il candidato ufficiale di Renaissance, fuoriuscito dai Républicains. Nel dipartimento Val-de-Marne, il movimento Horizons dell’ex premier Philippe sostiene il deputato dei Républicains contro il deputato uscente di Renaissance.
Il caso Ciotti e le sue implicazioni
Il presidente estromesso dai Républicains, Eric Ciotti, è stato nuovamente indagato per aver utilizzato gratuitamente, in modo fraudolento, autorizzazioni di parcheggio gratuito nei pressi del proprio ufficio, sul porto di Nizza. Otto persone, tra cui il falco repubblicano, hanno beneficiato di questo privilegio durante la campagna del 2022. Questa è la terza inchiesta su Ciotti, contestato duramente dai suoi compagni neogollisti per aver aperto all’estrema destra, un vero tabù per lo storico partito della destra d’Oltralpe che si richiama ai valori della Resistenza del generale De Gaulle.
La battaglia legale sul marchio del partito è ancora in corso, impedendo ai candidati di usarlo. Nel frattempo, personalità di spicco come Kylian Mbappé e Thierry Henry hanno esortato i francesi a fare blocco contro gli estremi e a votare per salvaguardare la democrazia francese.
Questa elezione anticipata si preannuncia come un momento cruciale per il futuro della Francia, con il partito macronista che cerca disperatamente di mantenere una posizione centrale in un panorama politico sempre più polarizzato.
INSTAGRAM.COM/LACITYMAG
Mondo
Khaby Lame espulso dagli USA. Invidia o sgarbo? L’influencer Maga rivendica il merito
Bo Loudon, amico di Barron Trump, afferma di aver orchestrato l’espulsione del tiktoker: “Nessuno è al di sopra della legge”.

C’è del clamore mediatico attorno alla recente espulsione dagli Stati Uniti di Khaby Lame. Il popolare tiktoker italo-senegalese, che con il suo stile minimalista ha conquistato oltre 162 milioni di follower, è stato preso di mira. Dietro il provvedimento della sua espulsione c’è un nome sorprendente: Bo Loudon. Il giovane influencer legato alla famiglia Trump, presunto migliore amico di Barron, figlio minore dell’ex presidente è noto per la sua vicinanza ai circoli conservatori americani. Loudon ha rivendicato apertamente di aver avuto un ruolo determinante nell’espulsione. In una serie di post su X, ha dichiarato di aver “preso personalmente provvedimenti” per far sì che il 25enne venisse fermato. Ha lavorato “con i patrioti dell’amministrazione Trump” per ottenere l’arresto del tiktoker all’aeroporto di Las Vegas.
Loudon vs. Lame. una rivalità tra Tiktoker?
Secondo le autorità, Lame sarebbe rimasto oltre la scadenza del suo visto temporaneo. Lame è entrato negli USA il 30 aprile per partecipare al Met Gala a New York il 5 maggio. E’ stato fermato dagli agenti dell’US Immigration and Customs Enforcement (ICE) il 6 giugno allo scalo Harry Reid. Gli è stata concessa la “partenza volontaria”, lasciando così il Paese senza ulteriori conseguenze legali. Loudon, da parte sua, esulta per l’operazione: “Nessuno lavora più velocemente dell’amministrazione Trump“, ha scritto, sottolineando il ruolo che lui e Barron Trump avrebbero avuto nel garantire l’applicazione della legge.
Dal comitato elettorale a poliziotto
L’influencer di Palm Beach, nonostante la giovane età, è stato reclutato ufficiosamente nel team elettorale di Donald Trump. Il suo compito è quello di intercettare il voto della Generazione Z e il cosiddetto “bro vote”, ovvero il consenso dei giovani uomini americani. Ma dietro questo attivismo politico, alcuni vedono anche un velato sentimento di invidia. Lame è una star internazionale, mentre Loudon, pur vicino ai circoli di potere, resta una figura controversa e di nicchia. Il sospetto che questa espulsione sia stata motivata più da personalismi che da una reale emergenza legale è stato sollevato da diversi osservatori, soprattutto in un momento in cui Trump è alla ricerca di consensi tra i giovani. E Lame che fa? Risponderà? Forse sceglierà il silenzio e un’espressione sarcastica per dire tutto senza dire nulla.
Mondo
“Mi sono alzato tra le fiamme e ho cominciato a correre”: il racconto dell’unico sopravvissuto alla strage di Ahmedabad
“Non so come sia possibile, ma sono uscito vivo da lì”. Si chiama Vishwash Kumar Ramesh, ha 40 anni, la cittadinanza britannica e una famiglia a Londra. È l’unico sopravvissuto al disastro del Boeing Air India precipitato ad Ahmedabad. Il volo, diretto nel Regno Unito, si è schiantato poco dopo il decollo, provocando 240 morti. Il suo racconto, tra dolore e incredulità, arriva da un letto d’ospedale, dove è ricoverato con ustioni al volto, al petto e agli arti.

Vishwash non riesce a darsi una spiegazione, e forse non la troverà mai. Il boato, le fiamme, il buio, poi il silenzio. “Si è capito che qualcosa non andava a pochissimi secondi dal decollo”, ha raccontato. Prima un forte rumore, poi lo scoppio, un tonfo improvviso. E in un attimo, tutto intorno a lui è stato fuoco. Non c’è stato il tempo per gridare. Né per pensare.
Era seduto al posto 11A, accanto al portellone di emergenza. Forse è stato questo a salvarlo. Quando ha riaperto gli occhi, era ancora vivo. Ustionato, confuso, ma vivo. “Mi sono alzato tra le fiamme e ho cominciato a correre, tra lamiere e corpi senza vita, cercando disperatamente un’uscita”. In tasca aveva ancora la carta d’imbarco. L’ha mostrata ai soccorritori come se fosse un talismano, una prova fisica di un passaggio rimasto inspiegabilmente aperto tra la vita e la morte.
Nelle sue parole, spezzate dalla fatica e dal dolore, c’è un’immagine che torna più volte: quella dei passeggeri davanti a lui. Un’hostess, una coppia di anziani, e suo fratello Ajay. “Sono morti tutti davanti ai miei occhi”, ha detto. Il fratello, 45 anni, era accanto a lui. Viaggiavano insieme, di ritorno da una breve visita ai parenti. Avevano preso quel volo per tornare a casa, in Gran Bretagna, dove vivono da vent’anni. Uno solo è sopravvissuto.
Il racconto prosegue come un sogno spezzato. “Mi muovevo quasi senza capire. C’erano pezzi dell’aereo ovunque, fumo, odore di carburante. A un certo punto ho visto qualcuno venirmi incontro. Poi l’ambulanza”. L’aereo, carico di cherosene per il lungo viaggio, ha preso fuoco subito dopo l’impatto con un edificio nei pressi dell’aeroporto. Era un ostello per studenti di medicina: tra le vittime, almeno cinque giovani che dormivano nelle stanze investite dalle lamiere.
Vishwash ha provato a ricostruire quei secondi prima dello schianto. Secondo lui, qualcosa è andato storto appena dopo il decollo. “Sembrava che l’aereo si fosse fermato a mezz’aria. Poi ho visto accendersi luci verdi e bianche. I piloti hanno cercato di riprendere quota, ma non c’è stato niente da fare. È andato giù di colpo, a tutta velocità”. Quando l’aereo si è inclinato, il caos ha preso il sopravvento. I passeggeri si sono stretti ai sedili, molti hanno urlato. Lui ha stretto la cintura, poi il resto è venuto da sé.
Dall’ospedale civile di Asarwa, dove è ricoverato, Vishwash ha parlato con un cronista del quotidiano Hindustan Times, ma anche con i giornalisti di NDTV. Ha raccontato tutto, senza cercare un senso. “La morte di mio fratello spezzerà il cuore alla nostra famiglia. Io ringrazio gli dei per il miracolo che mi ha salvato, ma porterò per sempre nel cuore questa tragedia”.
Il posto 11A, accanto alla porta d’emergenza, è diventato un simbolo. Lo citano i medici, i cronisti, i soccorritori. È lì che sedeva l’unico sopravvissuto di un volo che non doveva finire così. È lì che, tra fumo, fuoco e lamiere, si è aperto un varco impossibile tra la fine e la vita.
Mondo
Trump umiliato da un giudice: la Guardia Nazionale deve tornare alla California
Gavin Newsom vince in tribunale: Trump ha superato i limiti costituzionali nel dispiegare la Guardia Nazionale. Il presidente dovrà restituire il controllo delle truppe allo Stato. La Casa Bianca grida all’abuso giudiziario, ma il danno politico è fatto.

Un altro schiaffone per Donald Trump. Non dalle urne, non dai democratici, ma direttamente da una corte federale. Il giudice Charles Breyer, togato di lungo corso a San Francisco, ha deciso che l’ex presidente ha agito in violazione della Costituzione quando ha ordinato il dispiegamento della Guardia Nazionale in California.
In particolare a Los Angeles, dove ha inviato le truppe per presidiare edifici federali e reprimere le proteste, scavalcando il governo statale.
La sentenza – 36 pagine fitte e giuridicamente inappellabili – è una vittoria fragorosa per Gavin Newsom, governatore democratico della California, che aveva citato in giudizio l’ex presidente all’inizio della settimana.
Un atto che sembrava solo politico, e invece ha trovato pieno accoglimento in tribunale. Breyer ha scritto nero su bianco che Trump ha oltrepassato i limiti del suo potere e violato il decimo emendamento, quello che garantisce agli Stati l’autonomia su tutto ciò che non è espressamente demandato al governo federale.
La sentenza è destinata a far rumore. Anche perché Trump, da comandante in capo, ha sempre rivendicato il diritto assoluto di impiegare la Guardia Nazionale come strumento d’ordine pubblico, anche contro il parere degli Stati. L’amministrazione ha già annunciato ricorso, parlando di “straordinaria intrusione nei poteri presidenziali”.
Il Dipartimento di Giustizia ha chiesto la sospensione della sentenza, sostenendo che il presidente ha il diritto, quando lo ritiene necessario, di mobilitare le truppe statali per proteggere i funzionari e gli edifici federali.
Ma il danno d’immagine è fatto. L’ex presidente si ritrova ancora una volta nell’angolo, accusato di autoritarismo, di scavalcare la democrazia locale per piegarla a fini di propaganda. Gavin Newsom lo ha scritto chiaramente su X: “Un tribunale ha confermato ciò che tutti sappiamo: l’esercito non appartiene alle strade delle nostre città. Trump deve porre fine all’inutile militarizzazione di Los Angeles. Se non lo farà, confermerà le sue tendenze autoritarie”.
Il caso politico è tutt’altro che chiuso. Trump continua a riproporsi come uomo forte, deciso, pronto a usare ogni leva del potere per mostrare muscoli e disciplina, anche se in violazione delle regole. Ma il giudice Breyer gli ha ricordato che negli Stati Uniti il potere ha un limite, e quel limite si chiama Costituzione.
Newsom, da parte sua, cavalca l’onda della vittoria: non è più solo il governatore glamour della California progressista, ma il volto di una resistenza istituzionale all’ex presidente. La sua stoccata finale: “Se Trump vuole usare i soldati, lo faccia nelle fiction di Hollywood, non nella realtà democratica americana”.
E stavolta, il giudice lo ha detto chiaro: quel potere non gli appartiene.
-
Gossip1 anno fa
Elisabetta Canalis, che Sex bomb! è suo il primo topless del 2024 (GALLERY SENZA CENSURA!)
-
Cronaca Nera11 mesi fa
Bossetti è innocente? Ecco tutti i lati deboli dell’accusa
-
Sex and La City1 anno fa
Dick Rating: che voto mi dai se te lo posto?
-
Speciale Olimpiadi 202411 mesi fa
Fact checking su Imane Khelif, la pugile al centro delle polemiche. Davvero è trans?
-
Speciale Grande Fratello9 mesi fa
Helena Prestes, chi è la concorrente vip del Grande Fratello? Età, carriera, vita privata e curiosità
-
Gossip1 anno fa
È crisi tra Stefano Rosso e Francesca Chillemi? Colpa di Can?
-
Speciale Grande Fratello9 mesi fa
Shaila del Grande Fratello: balzi da “Gatta” nei programmi Mediaset
-
Gossip11 mesi fa
La De Filippi beccata con lui: la strana coppia a cavallo si rilassa in vacanza