Cronaca
L’Onu denuncia la Russia: crimini di guerra anche in Siria
Una denuncia storica è stata presentata al Comitato per i diritti umani delle Nazioni Unite, accusando la Federazione Russa di un presunto attacco deliberato contro un ospedale in Siria. Se accolta, potrebbe segnare un punto di svolta nel perseguimento della giustizia internazionale per i crimini di guerra.
Una denuncia di rilevanza storica è stata depositata davanti al Comitato per i diritti umani delle Nazioni Unite a Ginevra, mettendo sotto accusa la Federazione Russa per un presunto attacco deliberato contro un ospedale situato in Siria. Questo evento segna un’importante svolta poiché, se accolta, Mosca sarà chiamata a rispondere per la prima volta dinanzi a un tribunale internazionale per i crimini commessi nel contesto della difesa del regime del presidente Bashar al Assad. La Corte penale internazionale dell’Aja, pur essendo un organo preposto alla giustizia internazionale, è stata esclusa dalla possibilità di indagare in Siria a causa della mancata adesione del governo siriano allo Statuto di Roma, che istituì tale corte.
Il ruolo del Comitato per i diritti umani
Il Comitato per i diritti umani, con sede a Ginevra, rappresenta un organismo indipendente composto da 18 esperti. Quest’ultimo è responsabile del monitoraggio dell’attuazione del Patto internazionale sui diritti civili e politici (Iccpr), firmato da 173 Paesi, incluso la Russia. Questo organismo può inoltre accogliere i reclami dei singoli contro gli Stati firmatari, fungendo così da baluardo per la tutela dei diritti umani a livello internazionale.
Il contesto dell’attacco all’ospedale
L’attacco contestato è avvenuto nel settembre 2015, quando la Russia ha avviato una massiccia campagna di bombardamenti in sostegno al regime di Bashar al-Assad, contribuendo significativamente alla sua sopravvivenza. Questo intervento ha garantito alla Russia privilegi strategici, inclusa l’accesso a lungo termine alle basi navali e aeree in Siria. L’accusa riguarda una serie di attacchi aerei condotti contro l’ospedale chirurgico di Kafr Nabl e altre strutture mediche vicine nella provincia di Idlib, nell’arco di 12 ore tra il 5 e il 6 maggio 2019. Si stima che due civili siano stati uccisi e numerosi medici, pazienti e visitatori siano stati messi in pericolo.
I protagonisti della denuncia
La denuncia è stata presentata dal cugino delle due vittime e dall’organizzazione non governativa Hand in Hand for Aid and Development, che supportava l’ospedale al momento dell’attacco. Questi soggetti sono rappresentati da avvocati della Open Society Justice Initiative e da Philip Leach, esperto di diritti umani presso l’Università Middlesex del Regno Unito. L’attacco è stato perpetrato in un momento in cui non c’erano combattimenti nelle vicinanze dell’ospedale e non è stato fornito alcun avvertimento, contravvenendo così al diritto internazionale umanitario.
Le prove e le testimonianze
Le prove presentate includono testimonianze oculari, registrazioni audio e video, nonché comunicazioni tra un pilota russo e la torre di controllo, che autorizzavano e confermavano gli attacchi aerei. Questi elementi dimostrano il coinvolgimento diretto dell’aeronautica russa negli attacchi. Inoltre, è stato osservato un aereo russo decollare dalla base aerea di Hmeimim poco prima degli attacchi.
Le reazioni e le implicazioni
L’attacco all’ospedale di Kafr Nabl è stato definito un’atrocità documentata, parte di un più ampio attacco sistematico alle strutture sanitarie nel territorio controllato dall’opposizione in Siria. Questo caso solleva la questione dell’impunità per gli attacchi contro l’assistenza sanitaria in zone di conflitto e potrebbe influenzare le dinamiche della giustizia internazionale. Ora, l’attenzione si sposta sul processo decisionale del Comitato per i diritti umani delle Nazioni Unite e sulle possibili implicazioni geopolitiche e legali che potrebbero derivare dall’accettazione della denuncia.
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Cronaca
Caso Ranucci, il Copasir chiede gli atti secretati: ora le accuse sui servizi segreti diventano un fronte politico per il governo
Il Copasir vuole acquisire le parti coperte da segreto delle audizioni di Sigfrido Ranucci. I magistrati indagano sulle accuse di attivazione dei servizi segreti, sulle smentite del governo e sulle minacce al giornalista, mentre si valuta la possibile audizione di Fazzolari, Mantovano e dello stesso conduttore.
Il caso Ranucci entra ufficialmente nella sfera della sicurezza nazionale. Il Copasir, l’organo parlamentare che vigila sull’operato dell’intelligence, ha chiesto di acquisire la parte secretata delle audizioni del conduttore di “Report” nelle commissioni Antimafia e Vigilanza Rai. A confermare la richiesta è stata la presidente della Vigilanza, Barbara Floridia, che ha convocato l’ufficio di presidenza per sottoporla al voto dei gruppi. Un passaggio che trasforma una vicenda finora confinata tra dichiarazioni e smentite in un dossier politico a pieno titolo.
Al centro ci sono i racconti forniti da Sigfrido Ranucci, che nelle due audizioni avrebbe descritto episodi da lui interpretati come attività di pedinamento e monitoraggio condotte da uomini legati ai servizi segreti. Due gli episodi principali: la presenza di un presunto agente durante la presentazione di un suo libro in Sicilia, evento per il quale sostiene di essere stato seguito da Roma, e un secondo episodio in cui la scorta avrebbe notato persone che lo filmavano mentre incontrava una fonte.
Secondo la ricostruzione del giornalista, alla base di questi controlli ci sarebbe l’attivazione dei servizi da parte del sottosegretario Giovanbattista Fazzolari. Una circostanza che, se confermata, rappresenterebbe un’anomalia procedurale, dato che l’autorità delegata è il sottosegretario Alfredo Mantovano. Ranucci ha affermato di avere avuto “certezza” dell’interessamento di Fazzolari; il diretto interessato ha replicato parlando di «menzogne volontarie» e negando qualsiasi coinvolgimento.
La richiesta del Copasir è considerata un segnale di forte attenzione istituzionale. Non è escluso che il Comitato possa convocare in audizione sia Ranucci sia i due sottosegretari per chiarire la catena di comando e verificare se vi siano stati fraintendimenti, abusi o attivazioni irregolari. La cautela con cui Fratelli d’Italia commenta il dossier indica quanto il tema sia politicamente sensibile.
Nel suo intervento, Ranucci ha richiamato anche l’attentato del 16 ottobre, quando una bomba carta ha danneggiato la sua auto e quella della figlia a Campo Ascolano. Un salto di qualità rispetto agli episodi intimidatori già ricevuti negli anni. La procura di Roma indaga su più piste: gli ambienti criminali che si sarebbero ritenuti danneggiati dal programma, una lettera anonima che allude a mandanti “occulti” e possibili intrecci con famiglie del clan dei casalesi coinvolte nel traffico internazionale di armi.
Il Viminale, intanto, ha alzato il livello di tutela per il cronista: da livello tre a livello due, con scorta rinforzata, due auto blindate e presidio dell’esercito sotto casa. Una misura ritenuta necessaria in base alla valutazione del rischio.
Ora il coinvolgimento del Copasir introduce una dimensione istituzionale che potrebbe ridefinire i contorni della vicenda. L’analisi degli atti secretati servirà a stabilire se esistano elementi concreti a sostegno delle accuse o se il caso sia frutto di incomprensioni e tensioni politiche. Le prossime settimane saranno decisive per capire se si andrà verso nuove audizioni o verso un chiarimento interno alla maggioranza.
Cronaca Nera
Caso Garlasco, i punti rimasti in ombra che tornano a pesare: perché i pm guardano ora ad Andrea Sempio
L’inchiesta su Andrea Sempio, 37 anni, si fonda su sei elementi chiave: dal Dna sotto le unghie di Chiara Poggi all’“impronta 33”, passando per uno scontrino contestato e telefonate mai del tutto spiegate. Sullo sfondo, l’indagine di Brescia sulle presunte pressioni che avrebbero portato all’archiviazione del 2017
La nuova indagine sul caso Garlasco riparte da punti che per anni sono rimasti sospesi. La posizione di Andrea Sempio, 37 anni, amico del fratello di Chiara Poggi, torna al centro della scena giudiziaria con un fascicolo che la procura di Pavia considera molto diverso da quelli del passato. L’elemento più discusso riguarda il Dna trovato sotto le unghie della vittima: una corrispondenza con la linea maschile della famiglia Sempio emersa dall’incidente probatorio. La difesa non contesta la scienza, ma il significato: per gli avvocati si tratterebbe di un trasferimento indiretto, non di un segno di colluttazione. Le ipotesi parlano di un contatto accidentale, addirittura di residui rimasti in casa tramite un telecomando della Playstation o uno starnuto. Una lettura che la procura giudica improbabile.
Al centro della nuova istruttoria c’è anche lo scontrino del parcheggio di Vigevano, presentato da Sempio nel 2008 come prova della sua presenza altrove la mattina del delitto. I nuovi accertamenti non solo ritengono il ticket inutilizzabile come alibi, ma dubitano che fosse effettivamente suo. Lo stesso Sempio, negli anni, aveva espresso rammarico per l’assenza di verifiche sulle telecamere dell’epoca, ma oggi la difesa considera quell’elemento “non sufficiente” a collocarlo lontano da via Pascoli.
Il fascicolo riapre anche il tema delle telefonate effettuate alla famiglia Poggi. I tabulati mostrano varie chiamate nei giorni precedenti al delitto. Sempio aveva spiegato di aver cercato l’amico Marco o di aver sbagliato numero, ma all’epoca non furono acquisiti i suoi tabulati. Oggi la procura ritiene che quelle versioni non abbiano mai trovato riscontro.
Tra gli aspetti tecnici, uno dei più rilevanti è la cosiddetta “impronta 33”, una traccia individuata sul muro della scala che porta al seminterrato. In passato considerata marginale, ora viene ritenuta compatibile con almeno 15 minuzie attribuibili a Sempio. Un dettaglio che, secondo gli investigatori, colloca una presenza maschile proprio nel punto in cui il corpo di Chiara venne trovato.
Il nodo del movente resta invece coperto dal segreto istruttorio. Per anni l’assenza di un rapporto significativo fra Sempio e Chiara era stata considerata un ostacolo a qualunque ipotesi accusatoria. Ora gli inquirenti ritengono di aver individuato un possibile collegamento, ritenuto rilevante ma non ancora rivelato.
Sul fondo della vicenda resta l’inchiesta della procura di Brescia sulla presunta corruzione legata alla precedente archiviazione del 2017. Un’indagine che coinvolge il padre di Sempio e l’ex procuratore aggiunto di Pavia Mario Venditti. Non c’è un collegamento diretto, ma eventuali riscontri potrebbero influire sul quadro complessivo.
Ora tutti gli elementi verranno valutati insieme: Dna, impronte, alibi, telefonate. Sarà il mosaico, non il singolo indizio, a decidere se l’indagine condurrà all’improcedibilità o a una richiesta di rinvio a giudizio.
Mistero
Marilyn Monroe, mistero infinito: James Patterson rilancia l’ombra dei Kennedy, di Sinatra e della Mafia
Marilyn Monroe non smette di far parlare di sé, nemmeno 63 anni dopo la morte. Nel suo nuovo libro The Last Days of Marilyn Monroe: A True Crime Thriller, James Patterson — uno degli autori più letti al mondo — rimette in scena la teoria più inquietante: la diva sarebbe morta non per un gesto volontario, ma per le informazioni che custodiva. «Navigava in acque molto pericolose», ha detto al Hollywood Reporter. Le sue frequentazioni? John e Robert Kennedy, Frank Sinatra, figure legate alla Mafia. «Gente che le confidava cose. E lei ne teneva traccia».
Un’indagine mai chiusa, tra autopsie incomplete e detective dubbiosi
Il corpo di Marilyn fu trovato nella sua casa di Brentwood: barbiturici sul comodino, una bottiglia di Nembutal, la tesi del suicidio archivata in poche ore. Ma, ricorda Patterson, l’autopsia «non fu completa come avrebbe dovuto». Non tutti i dettagli tornarono. E uno dei detective arrivati sul posto si convinse “di trovarsi davanti a una messa in scena”. Elementi che alimentano un alone di sospetto mai dissolto, alimentato dalle tantissime versioni circolate negli anni.
Una vita romanzo, tra dodici famiglie affidatarie e un talento che travolge
Il libro scritto con Imogen Edwards-Jones si muove tra fatti, ricostruzioni e dialoghi immaginati — dichiarati come tali — ripercorrendo anche l’infanzia drammatica della diva, cresciuta in undici famiglie affidatarie e segnata da una balbuzie che solo anni dopo riuscì a controllare. Patterson sostiene che il pubblico non conosca davvero la sua storia e che, dietro ogni fotografia patinata, ci fosse un percorso pieno di crepe e fragilità.
Oggi Marilyn è ancora al centro della cultura pop come simbolo, ossessione e mito irrisolto. Patterson spera ora che il libro diventi una serie tv. Per Hollywood, un altro tassello nell’eterno ritorno della sua stella più luminosa — e più controversa.
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