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Politica

Francesca Pascale ironizza su Forza Italia e Fedez: «Gasparri vuole recuperare l’immagine con una trovata pop»

Francesca Pascale, in un intervento nel programma “Donne sull’orlo di una crisi di nervi”, commenta l’apparizione di Fedez al congresso delle giovanili di Forza Italia e ironizza sulla strategia di Maurizio Gasparri per rilanciare l’immagine del partito.

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    Francesca Pascale non ha mai avuto peli sulla lingua e lo ha dimostrato ancora una volta. Ospite della trasmissione Donne sull’orlo di una crisi di nervi condotta da Piero Chiambretti su Rai3, l’ex compagna di Silvio Berlusconi ha commentato con tono ironico e tagliente la scelta di Forza Italia di invitare Fedez come ospite d’onore al congresso della giovanile del partito. «La prima cosa che ho pensato è stata che Gasparri vuole recuperare l’immagine con una trovata pop, perché il 3% dell’ultima tornata elettorale non è bellissimo», ha dichiarato Pascale, mettendo in dubbio la strategia dietro l’apparizione del rapper.

    Non è la prima volta che l’ex fidanzata del Cavaliere esprime perplessità sul futuro e la direzione di Forza Italia. In passato aveva dichiarato al Foglio, come riportato anche da Agi, che «il partito deve darsi una svegliata». Ma questa volta, la “sveglia” non sembra coincidere con l’arruolamento di Fedez. Pascale ha spiegato che il suo stupore non riguarda tanto la presenza del cantante in sé, quanto la logica che l’ha portata a questa ospitata: «Non ho capito Forza Italia con Fedez dove vuole andare».

    La presenza di Fedez, artista da sempre impegnato su temi sociali e politici, è stata al centro delle polemiche sin da subito. Durante il suo intervento, il rapper non ha rinunciato a provocazioni e riflessioni pungenti: «Oggi non voterei nessuno», ha detto. Poi ha criticato la sinistra, accusandola di «rifiutarsi sempre di sedersi al tavolo del dibattito». Insomma, un intervento in perfetto stile Fedez, pronto a mettere in discussione la politica tradizionale e a rivendicare la sua indipendenza.

    Nonostante le critiche a Forza Italia, Francesca Pascale ha riconosciuto al rapper una certa coerenza: «Molti hanno criticato Fedez, ma lui ha fatto il suo lavoro. Va dove lo invitano, lo fa per dialogare», ha spiegato. Una visione che riflette il carattere pragmatico dell’artista, abituato a muoversi tra provocazione e voglia di confronto.

    Ma Pascale non ha perso l’occasione per lanciare un’altra frecciata ai vertici del partito azzurro, in particolare a Maurizio Gasparri: «Forse l’idea era di far parlare di sé e rianimare un po’ di entusiasmo, ma invitare Fedez non credo basti a risolvere i problemi interni di Forza Italia», ha concluso.

    Il commento dell’ex compagna di Berlusconi si inserisce in un momento di fermento per il partito fondato dal Cavaliere, che cerca nuove strategie e volti in grado di attrarre l’elettorato giovanile. Una scommessa rischiosa, se non altro perché – come osserva Pascale – la politica pop non può bastare a mascherare le incertezze di un partito in cerca di identità.

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      Politica

      Meloni sul Time: dalla fiamma al glamour, ora Giorgia conquista la copertina del magazine americano.

      Giorgia Meloni è la nuova star del Time: “Figura interessante d’Europa”. Il profilo elogia la sua ascesa, il pragmatismo e la postura internazionale. Ma tra omissioni, ambiguità e scatti patinati, l’operazione profuma più di rebranding che di rivoluzione politica.

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        Altro che l’Italia degli spaghetti e mandolino: ora ci sono i tacchi, i dossier sottobraccio e le copertine patinate. Giorgia Meloni si prende il Time. E non un trafiletto laterale: la copertina. “Una delle figure più interessanti d’Europa”, scrive il magazine. Tradotto: la destra in tailleur è finalmente presentabile anche in salotto, purché non urli troppo.

        Il ritratto firmato da Massimo Calabresi è lungo, curato, levigato. E racconta una Meloni capace di sorprendere: meno barricadera di quanto i suoi stessi elettori forse speravano, più atlantista di molti centristi in doppiopetto. Una premier che affascina Washington, piace a Bruxelles, si fa fotografare in posa riflessiva mentre promette riforme “presidenziali” con un occhio a Mattarella e l’altro a Trump.

        Ma il punto non è chi l’ha intervistata. È chi ha scelto di dimenticare. Perché nel ritratto non c’è traccia di certi provvedimenti sgraziati, né delle leggi che strizzano l’occhio al voto nostalgico. Scompare magicamente il piglio muscolare sui migranti, l’offensiva contro la stampa, i sussurri autoritari che sanno tanto di passato che non passa mai. E il pragmatismo? Viene scambiato per democrazia, come se bastasse non salire su un balcone per essere Churchill.

        Certo, l’articolo ricorda che Biden l’aveva presa con le molle. Ma oggi la benedice, come fanno Von der Leyen e i repubblicani Usa. Tutti affascinati da una leader che parla chiaro, cammina dritta e non fa troppe onde. In fondo, Meloni non rompe con Bruxelles: cerca solo di renderla un po’ più FdI-friendly. Altro che rivoluzione: è la normalizzazione del post-fascismo a colpi di selfie e parole misurate.

        E se oggi il mondo applaude Giorgia, è anche perché fa comodo una destra “gestibile” nel cuore dell’Europa. Una che non alza la voce, ma tiene saldo il timone. E soprattutto non si vergogna di portare in copertina la fiamma del MSI, pur illuminata da un riflettore americano.

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          Politica

          Farmacia Meloni: Gemmato sogna il viceministero e intanto incassa la ricetta giusta

          Il fedelissimo di Giorgia Meloni e farmacista a tempo pieno, è il nome più caldo per il ruolo di viceministro alla Salute. Il decreto di nomina è pronto da settimane, ma sul tavolo del ministro Orazio Schillaci resta lì, fermo, in attesa di una firma che non arriva. E non per pigrizia. Ma perché il conflitto d’interessi è fin troppo evidente.

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            Marcello Gemmato, fedelissimo di Giorgia Meloni e farmacista a tempo pieno, è il nome più caldo per il ruolo di viceministro alla Salute. Il decreto di nomina è pronto da settimane, ma sul tavolo del ministro Orazio Schillaci resta lì, fermo, in attesa di una firma che non arriva. E non per pigrizia. Ma perché il conflitto d’interessi è fin troppo evidente.

            Gemmato, pugliese doc, già noto per le sue uscite discutibili sui vaccini, è anche titolare di una farmacia a Terlizzi. Ed è proprio questo a preoccupare Schillaci: perché da quando il sottosegretario ha ricevuto la delega sulla farmaceutica, le farmacie hanno iniziato a godere di trattamenti da veri e propri privilegiati.

            Il caso più eclatante? Il trasferimento di intere categorie di farmaci dalla cosiddetta “assistenza diretta” (cioè distribuiti dagli ospedali con forti sconti per le Regioni) agli scaffali delle farmacie. Una scelta venduta come “semplificazione” per i cittadini, ma che ha fatto felici soprattutto i titolari di farmacie: meno burocrazia, più margini. Il tutto senza veri benefici per gli utenti, che prima prendevano quei medicinali gratis o a basso costo nei presìdi sanitari e ora li pagano (indirettamente) con i bilanci regionali.

            Schillaci, uomo di medicina e non di partito, ha espresso più di una perplessità. E anche dal Colle, dove Marcello Gemmato non riscuote le simpatie che ha a Palazzo Chigi, si invita alla prudenza.

            A pesare, poi, c’è anche la rete di rapporti tessuta dal sottosegretario. Dopo la fusione tra Unico e Q Farma è nato un colosso della distribuzione da 2,5 miliardi. E nel cda è spuntato un amico storico di Gemmato: Sergio Silvestris, ex europarlamentare FdI. Coincidenze?

            Giorgia Meloni, che nella masseria di Gemmato ha passato più di una vacanza, prende tempo. Pubblicamente tace, privatamente sa che una nomina sbagliata alla Salute potrebbe costarle cara. Anche perché promuovere un farmacista con delega alla farmaceutica non è solo un rischio politico: è una bomba a orologeria. E il conto, prima o poi, arriva. Con o senza ricetta.

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              Politica

              Se i 16enni potessero votare? Non cambierebbe niente (ma FdI, PD e M5S direbbero grazie)

              In Gran Bretagna l’età per votare è stata abbassata a 16 anni. In Italia si parla da anni di una possibile riforma simile, ma secondo la sondaggista Alessandra Ghisleri non cambierebbe nulla: “A beneficiarne sarebbero i partiti che già hanno radicamento: Fratelli d’Italia, M5S, PD. Niente rivoluzioni, solo continuità”. Ma servirebbe una scuola più attrezzata per formarli davvero.

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                In Inghilterra si cambia musica: alle prossime elezioni, anche i sedicenni potranno votare. È un’apertura storica, annunciata dal neo-premier Starmer. E qui da noi? Si può sognare una mossa analoga? Tecnicamente sì, ma con una premessa chiara: “Bisognerebbe modificare l’articolo 48 della Costituzione”, dice Alessandra Ghisleri. “E prima ancora, sperimentare. Valutare. E riformare l’educazione civica, oggi praticamente inesistente”.

                Numeri alla mano, in Italia si tratterebbe di circa 1,6 milioni di nuovi potenziali elettori, una fascia anagrafica che oggi vive immersa nei social, tra TikTok, YouTube e Instagram. Proprio lì dove — secondo Ghisleri — si gioca la vera battaglia del consenso: “I ragazzi si informano online. Ma sono anche esposti all’influenza di artisti, cantanti e creator. Capire chi ascoltano e perché diventa decisivo”.

                Chi ci guadagnerebbe? Nessuna sorpresa: “Le forze politiche che già funzionano. FdI, M5S, PD, Lega, Avs e alcuni centristi. Non esisterebbe una frattura generazionale netta, semmai un rafforzamento dell’esistente”. Altro che voto di protesta o boom dei movimenti “green”: gli adolescenti finirebbero col premiare ciò che già conoscono — o che vedono più spesso in rete.

                Ma i sedicenni sono pronti? Ghisleri è netta: “Lo sono per studiare, per lavorare, possono esserlo anche per votare. Ma bisogna aiutarli. Dargli gli strumenti per comprendere cosa significa esercitare un diritto democratico”. E poi, basta con la retorica dei giovani “manipolabili”: “Anche gli adulti lo sono. Cambiano solo i linguaggi”.

                La vera sfida? “Prepararli, non usarli”. E dare un senso al loro ingresso nella politica, senza trasformarlo in marketing elettorale.

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