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Politica

Veneto, ultima trincea della Lega: tra Salvini e Zaia è duello all’ultimo sangue, mentre Giorgia Meloni prepara l’assalto

La battaglia per il Veneto, storica roccaforte della Lega, si fa sempre più feroce: Luca Zaia avverte che senza il terzo mandato “va tutto a rotoli”, ma Giorgia Meloni punta a cambiare gli equilibri di potere nel Nord-Est, rivendicando la presidenza per Fratelli d’Italia, forte di un consenso che triplica quello della Lega. Matteo Salvini, già sotto pressione per il calo dei consensi e le tensioni interne al Carroccio, rischia di perdere il suo fortino simbolo

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    Il Veneto non è una Regione qualsiasi per la Lega: è il suo cuore, il simbolo di un radicamento politico e culturale che ha reso questo territorio un bastione inespugnabile per decenni. Oggi, però, il fortino scricchiola, minacciato dall’assalto di Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia, che puntano a trasformare il Nord-Est nel prossimo feudo politico del partito di maggioranza relativa. Ma se i numeri premiano la premier, la strada per Palazzo Balbi è tutto tranne che semplice. Nel frattempo, all’interno del Carroccio, la tensione è alle stelle: Luca Zaia, il “Doge” del Veneto, non è disposto a cedere terreno senza combattere, e Matteo Salvini si gioca il tutto per tutto per evitare un tracollo che potrebbe essere fatale non solo per lui, ma per l’intero partito.

    Luca Zaia governa il Veneto da 14 anni, con un consenso personale che resta alto nonostante il calo generale della Lega. È il volto moderato del partito, il leader capace di parlare ai veneti al di là delle etichette politiche. Non stupisce, quindi, che Zaia abbia messo in chiaro la posta in gioco: “Se perdiamo qui, va tutto a rotoli”. Il governatore punta al terzo mandato, un obiettivo che Salvini sostiene con forza. “Non c’è un limite di mandato per parlamentari o ministri, non si capisce perché debba esserci per i governatori”, ha dichiarato il segretario leghista, ribadendo che il Veneto deve restare in mano alla Lega.

    Eppure, il problema non è solo il terzo mandato. Il calo di consensi della Lega nelle ultime elezioni europee – dove si è fermata al 13%, contro il 37% di Fratelli d’Italia – ha acceso un campanello d’allarme. Zaia, pur restando il volto più popolare del partito in Regione, non esclude mosse clamorose. Tra queste, la creazione di una “Lista Zaia”, che potrebbe sfidare apertamente il Carroccio e attirare un consenso trasversale. Il messaggio è chiaro: se la Lega non è in grado di garantire l’autonomia promessa ai veneti, qualcuno dovrà farlo.

    Giorgia Meloni ha già messo le mani su Lazio, Abruzzo e Marche, ma il Veneto rappresenta per Fratelli d’Italia un obiettivo strategico. Alle ultime europee, il partito della premier ha triplicato i voti della Lega in Veneto, e il radicamento elettorale nella Regione è ormai consolidato. Non è quindi un caso che Meloni abbia deciso di puntare apertamente alla presidenza di Palazzo Balbi, rompendo un tabù che per anni ha visto il Veneto come proprietà esclusiva del Carroccio.

    “La Lega ha amministrato bene, ma il per sempre non esiste”, ha dichiarato Elena Donazzan, deputata europea di Fratelli d’Italia. Il messaggio è inequivocabile: è tempo che il potere in Veneto rifletta i nuovi equilibri all’interno della coalizione di centrodestra. E con il 37% dei voti, Meloni ha tutte le carte in regola per passare all’incasso.

    Matteo Salvini è in una posizione sempre più difficile. Da un lato, deve fare i conti con l’assalto di Fratelli d’Italia, che punta a scardinare il dominio leghista in Veneto. Dall’altro, è costretto a fronteggiare un crescente malumore interno al Carroccio, dove la leadership del segretario viene messa in discussione con sempre maggiore frequenza. Il governatore Zaia non è l’unico a manifestare apertamente il proprio dissenso: altri esponenti di spicco della Lega veneta, come l’assessore Roberto Marcato e il senatore Paolo Tosato, hanno già dichiarato che, senza un accordo soddisfacente, sono pronti a rompere e a sostenere una lista autonoma.

    Il rischio per Salvini è duplice. Perdere il Veneto significherebbe non solo vedere crollare il simbolo della forza della Lega, ma anche indebolire ulteriormente la sua posizione all’interno del partito, già segnata da una lunga serie di battute d’arresto. Per il segretario, la partita veneta è una questione di sopravvivenza politica.

    Il prossimo vertice del centrodestra, previsto prima del 12 dicembre, sarà decisivo. Salvini punterà tutto sulla necessità di mantenere il Veneto in mano alla Lega, ma Meloni sembra determinata a non cedere. La premier, forte del sostegno di Forza Italia e di un consenso elettorale ormai consolidato, è pronta a giocare le sue carte migliori per rivendicare la presidenza.

    Ma il vero nodo resta Zaia. Il governatore è consapevole del proprio peso politico e non sembra intenzionato a fare passi indietro. Una sua eventuale candidatura con una lista autonoma potrebbe ribaltare completamente le dinamiche della competizione, creando una situazione di totale incertezza. E mentre la battaglia per il Veneto si accende, lo spettro di una scissione interna alla Lega si fa sempre più concreto.

    La posta in gioco va ben oltre il destino di una Regione. Il Veneto rappresenta il banco di prova per il futuro del centrodestra italiano, dove i rapporti di forza tra Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia sono in fase di ridefinizione. Ma è anche lo specchio di un cambiamento più profondo, che riguarda il ruolo della Lega in un panorama politico in evoluzione.

    Mentre Salvini si aggrappa al terzo mandato per Zaia, Meloni punta a trasformare il Veneto nel simbolo della sua leadership nazionale. E il Carroccio, diviso tra chi difende il passato e chi guarda al futuro, rischia di esplodere sotto il peso delle sue stesse contraddizioni. L’esito della battaglia veneta non è solo una questione regionale: è il preludio a uno scontro più ampio, che potrebbe ridisegnare la mappa politica del Paese.

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      Politica

      Matteo Salvini avvisato: Pio e Amedeo tornano su Canale 5 mentre il vicepremier celebra “Oi vita mia” come fosse una rivelazione comica nazionale

      Dopo l’entusiasmo social di Matteo Salvini per “Oi vita mia” – «era da tempo che non ridevo, sorridevo, mi emozionavo e piangevo per un film» – Pio e Amedeo si preparano a tornare su Canale 5 con un nuovo programma. Per Mediaset è l’ennesima scommessa su un duo che divide, intrattiene e infiamma discussioni a ogni apparizione.

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        Avvisate Matteo Salvini, perché per lui sarà come Natale anticipato. Il vicepremier ha infatti celebrato sui social “Oi vita mia”, l’ultimo film di Pio e Amedeo, con un entusiasmo che farebbe arrossire perfino i fan più irriducibili del duo pugliese. «Era da tempo che non ridevo, sorridevo, mi emozionavo e piangevo per un film», ha scritto il ministro dei Trasporti, trasformando la pellicola in un piccolo evento nazionale. E ora che Mediaset ha ufficializzato il ritorno dei due in primavera con un nuovo show su Canale 5, il tempismo sembra perfetto.

        Il post di Salvini che accende i social
        Il commento del ministro non è passato inosservato. Anzi, è stato accolto come la certificazione definitiva che Pio e Amedeo non sono soltanto un fenomeno popolare, ma un caso politico-culturale capace di entrare nelle timeline istituzionali. Che il vicepremier abbia un debole per il loro umorismo non sofisticatissimo non è una sorpresa, ma questa volta il suo entusiasmo ha acceso una curiosità in più: cosa penserà del nuovo programma in arrivo?

        Il ritorno su Canale 5
        Dopo il successo al botteghino, i due comici tornano dunque nel prime time Mediaset con un progetto pensato per riprendere lo stile che li ha resi celebri: spontaneità, battute al limite del caos e quel loro modo di trasformare qualsiasi siparietto in una serata di paese reinventata per la tv. La rete punta forte su di loro, consapevole che ogni nuova apparizione scatena discussioni, meme e reazioni contrastanti.

        Un duo che divide ma funziona
        Pio e Amedeo, del resto, vivono da sempre in un equilibrio curioso: da un lato il pubblico fedele che li segue ovunque, dall’altro chi sussurra che la loro comicità non esattamente profonda abbia comunque trovato un posto stabile nella televisione generalista. E mentre la primavera si avvicina, cresce l’attesa per capire che tipo di show porteranno su Canale 5 e fino a che punto riusciranno a spingere il loro universo comico.

        Intanto Salvini li applaude
        Per ora, una certezza c’è: Matteo Salvini è già pronto in prima fila, telecomando alla mano. E a questo punto è facile immaginare che il nuovo show diventi per lui un imperdibile appuntamento del palinsesto. Perché quando il ministro ride, ride sul serio… soprattutto con Pio e Amedeo.

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          Politica

          Nordio scatena la tempesta alla Conferenza sul femminicidio: dal “codice genetico maschile” alle accuse di Medioevo

          Intervenendo alla Conferenza contro il femminicidio alla Camera, Carlo Nordio parla di un retaggio “darwiniano” e di una “tara” nella mentalità maschile che deriverebbe da millenni di superiorità fisica. Sul web e in Parlamento esplodono le reazioni: Appendino (M5S) parla di “Lombroso”, Bonelli (Avs) di “Medioevo”, Boschi (IV) accusa il governo di arretramento culturale. E il dibattito si accende alla vigilia delle mobilitazioni del 25 novembre.

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            Alla Conferenza internazionale contro il femminicidio, organizzata alla Camera dei Deputati alla vigilia della Giornata del 25 novembre, Carlo Nordio immaginava forse un discorso solenne. Di certo non immaginava l’incendio politico scoppiato dopo le sue parole. Parlando della “prevaricazione secolare dell’uomo sulla donna”, il ministro della Giustizia ha offerto una lettura che ha immediatamente fatto alzare sopracciglia, toni e telefoni.

            Il passaggio incriminato: “È la legge del più forte”
            Nordio, in un ragionamento che voleva essere storico, ha parlato di una radice darwiniana della violenza maschile: nei primordi, ha detto, la forza muscolare avrebbe determinato la nascita del maschilismo. «La natura ha dotato i maschietti di una forza muscolare maggiore delle femminucce… questo unico criterio di superiorità ha fondato il maschilismo». Una spiegazione che si inserisce nel solco della lunga oppressione patriarcale, ma che — complice un linguaggio vecchio stile — ha creato immediatamente un corto circuito.

            “Sedimentazione nel codice genetico”: esplode la polemica
            Il Guardasigilli ha poi parlato di una “sedimentazione millenaria” nella mentalità del maschio, difficile da rimuovere, quasi una tara culturale che resiste anche quando l’uomo accetta formalmente la parità. Per superarla, sostiene, non basta la repressione: servono prevenzione ed educazione. «Un po’ come fanno psicologi e psicanalisti», ha detto, invocando una rivoluzione educativa che parta dalla famiglia.

            Appendino: “E la prossima cosa, Lombroso?”
            La prima a rispondere è Chiara Appendino (M5S), che su X definisce le parole di Nordio “un’altra perla” dopo “impunità ai soliti noti” e una gestione della giustizia che lei considera fallimentare. Poi l’affondo: «La prossima sarà propagandare Lombroso? Se questo è un ministro…». Il tono è durissimo, e il post diventa virale in pochi minuti.

            Bonelli: “È Medioevo”
            Non meno netto Angelo Bonelli (Avs), che cita i nuovi dati Istat: 6,4 milioni di donne italiane hanno subito violenze fisiche o sessuali. «Di fronte a questa realtà — dice — evocare un ‘codice genetico maschile’ è un arretramento culturale pericoloso». La critica è chiara: così si deresponsabilizzano gli aggressori e si cancella il carattere strutturale della violenza di genere.

            Boschi: “Le donne non hanno bisogno di teorie ottocentesche”
            Maria Elena Boschi (Italia Viva) aggiunge un altro tassello: «Imbarazzanti». Accusa il governo di offrire un contributo del tutto fuori fuoco alla Conferenza e sottolinea che le donne hanno bisogno di leggi applicate, fondi certi e centri antiviolenza, non di letture pseudo-biologiche: «La parità non è un’idea, è un dovere costituzionale».

            Un caso che arriva nel giorno più sensibile dell’anno
            Il tempismo ha aggravato tutto: la discussione esplode proprio mentre in Italia si preparano le manifestazioni del 25 novembre. E mentre piazze, scuole e associazioni chiedono protezione e politiche efficaci, il dibattito politico si ritrova impantanato tra Darwin, codici genetici e accuse di Medioevo.

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              Politica

              Nuovo amore per Maria Elena Boschi: dopo Berruti arriva l’avvocato Roberto Vaccarella. Prima fuga romantica a New York

              Avvistati a Capalbio e pronti per un viaggio insieme negli Stati Uniti, Boschi e Vaccarella sembrano intenzionati a vivere questo nuovo legame lontano dal clamore. Per la deputata di Italia Viva si apre una nuova fase sentimentale: discreta, sorridente e con il passo leggero di chi ricomincia.

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                Archiviata una storia lunga e mediatica, se ne apre un’altra, più silenziosa ma non per questo meno intensa. Maria Elena Boschi sembra aver ritrovato il sorriso accanto a Roberto Vaccarella, avvocato penalista e fratello di Elena, da anni compagna del presidente del CONI Giovanni Malagò.

                Dopo cinque anni con l’attore Giulio Berruti — relazione intensa, raccontata e spesso sotto i riflettori — l’ex ministra di Italia Viva sceglie oggi un passo diverso. Meno esposizione, più vita reale. La notizia è circolata nelle ultime ore dopo le indiscrezioni sui primi avvistamenti a Capalbio, poi confermati da più fonti. Passeggiate, cene riservate, niente ostentazione.

                A questo si aggiunge un dettaglio che racconta bene l’evoluzione del rapporto: i due sarebbero pronti a partire per New York per la loro prima vacanza a due. Un viaggio simbolico, di quelli che segnano il passaggio da conoscenza promettente a coppia ufficiale. E chi conosce Boschi racconta di una serenità nuova, più matura, più protetta.

                La parabola è chiara: dalle copertine alla discrezione, dall’amore cinematografico a una relazione che sembra preferire il passo lento e gli occhi bassi sulle cose piccole. Il resto, al momento, resta fuori dall’inquadratura. Nessun annuncio, nessuna foto insieme, nessuna conferma social.

                Per lei è un ritorno a una normalità voluta, dopo anni in cui la vita privata è stata materia di dibattito pubblico. Oggi la narrazione cambia: c’è spazio per un sorriso nelle vie del centro, per un viaggio programmato con calma, per un tempo personale che non chiede applausi.

                Se son rose fioriranno, dice il proverbio. Qui, per ora, c’è un bocciolo custodito, e la scelta precisa di lasciarlo crescere senza fretta. In un mondo che corre, Maria Elena Boschi — almeno sul fronte del cuore — sembra aver deciso di fermarsi dove il ritmo è più umano. E di ripartire, stavolta, solo quando sarà il momento.

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