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Storie vere

Assicurazione nega il risarcimento per incidente mortale: famiglia costretta a pignorare gli immobili della compagnia

Nonostante una sentenza definitiva che stabilisce il risarcimento, l’assicurazione si rifiuta di pagare, costringendo la famiglia di un giovane deceduto a pignorare gli immobili della compagnia.

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    L’assicurazione si rifiuta di riarcire la tragica morte di Alessandro Mattioli, 17 anni, vittima di un incidente stradale a San Pietro in Vincoli, in Emilia Romagna, il 14 ottobre 2018. Al dolore per la perdita per la famiglia di Alessandro si è aggiunta una lunga battaglia legale con la compagnia assicurativa coinvolta. La compagnia si rifiuta di risarcire la famiglia nonostante una sentenza favorevole.

    L’incidente bastardo. Una tragica fatalità con responsabilità accertate

    Alessandro stava percorrendo una strada a pochi chilometri da casa quando è stato travolto da un’auto che gli ha tagliato la strada. L’automobilista, una donna di 48 anni originaria di Russi (Ravenna), aveva invaso la corsia ben 16 metri prima di una curva, guidando di fatto contromano. Alessandro, che procedeva a una velocità di 114 km/h rispetto al limite di 90 km/h, non ha avuto scampo. Nonostante la velocità sostenuta del giovane, i giudici hanno stabilito che la responsabilità dell’incidente fosse esclusivamente della donna, che ha patteggiato una pena di due anni per omicidio stradale.

    Il rifiuto del risarcimento dell’assicurazione

    Nonostante le responsabilità accertate e una sentenza civile che ha stabilito un risarcimento di 850mila euro a favore dei genitori di Alessandro, la compagnia assicurativa si è opposta. La società ha congelato una somma iniziale di 200mila euro, sostenendo che ci fosse un concorso di colpa del giovane per via della velocità e, di conseguenza, negando il pagamento. A nulla sono serviti i dettagli emersi durante il processo, che hanno confermato l’invasione di corsia da parte della conducente. L’8 settembre 2024, la sentenza ha ribadito l’obbligo per l’assicurazione di risarcire i genitori, ma a distanza di mesi nulla è stato corrisposto.

    Che fare? Pignorare gli immobili dell’assicurazione?

    Di fronte all’ostinato silenzio della compagnia, la famiglia, guidata dal proprio legale, ha deciso di procedere con il pignoramento di 11 immobili di proprietà del gruppo assicurativo tra Ravenna e Faenza. Si tratta di edifici acquisiti dalla società che ha rilevato il gruppo originariamente responsabile della polizza della donna.

    Un problema diffuso: assicurazioni che ostacolano i risarcimenti

    La vicenda dei Mattioli non è un caso isolato. Negli ultimi anni sono emerse diverse storie simili, dove le compagnie assicurative hanno rifiutato il risarcimento delle vittime o dei loro familiari, spesso ricorrendo a cavilli legali o sostenendo presunti concorsi di colpa.

    Il caso di un ciclista investito a Roma nel 2021. La vittima, un uomo di 35 anni, fu travolta da un’auto in una rotatoria. Anche in quel caso l’assicurazione sostenne il concorso di colpa, adducendo la mancata segnalazione del ciclista.
    L’incidente di un motociclista a Milano nel 2019. Nonostante fosse stato dimostrato che l’auto coinvolta aveva attraversato con il semaforo rosso, l’assicurazione della controparte contestò il risarcimento, prolungando il processo di 4 anni.

    Quindi è un problema sistemico…

    Le assicurazioni, spesso, cercano di minimizzare i risarcimenti dovuti, anche in casi dove le responsabilità sembrano inequivocabili. Per le famiglie colpite, la battaglia legale diventa un ulteriore calvario, fatto di attese snervanti e costi crescenti, oltre al dolore per la perdita dei propri cari.

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      Storie vere

      A Biancavilla famiglie in lacrime davanti alla salma sbagliata: scambio di feretri in ospedale e mistero su chi abbia invertito le bare

      Lo scambio è avvenuto dopo il ricovero dei due uomini, coetanei, nello stesso ospedale di Biancavilla. Le bare tornano alle famiglie corrette, ma resta senza risposta la domanda chiave: quando e perché i feretri sono stati confusi?

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        A Biancavilla, nel Catanese, una famiglia ha vegliato per ore un uomo che non conosceva, convinta di trovarsi davanti al proprio caro estinto. La scena, quasi irreale, si è consumata in una casa privata dove parenti e amici avevano iniziato il rito del commiato. Nessuno aveva notato nulla di anomalo. L’allarme è scattato solo quando l’Azienda sanitaria provinciale di Catania ha contattato uno dei familiari, invitandolo a verificare l’identità della salma. Una richiesta insolita che ha subito acceso i sospetti.
        Il controllo, effettuato con maggiore attenzione, ha confermato il peggiore dei timori: la persona nella bara non era il loro congiunto. Da quel momento la situazione si è capovolta, trascinando entrambe le famiglie in uno sconcerto difficile da spiegare.

        Due uomini, stesso ospedale, età simile

        Le informazioni raccolte indicano un punto comune: i due defunti, uomini di età simile, erano stati ricoverati nel medesimo ospedale, il “Maria SS. Addolorata” di Biancavilla. È lì che le loro strade si sarebbero incrociate per l’ultima volta.
        Le operazioni successive – preparazione delle salme, trasferimenti, consegna delle bare – rappresentano una catena lunga, fatta di passaggi tecnici e procedure che, in teoria, riducono al minimo la possibilità di errori. Ma qualcosa, questa volta, non ha funzionato. E le famiglie, ignare, hanno accolto due feretri invertiti senza sospettare alcuno scambio.

        Un errore ancora senza autore

        Resta ora la domanda più scomoda: chi ha invertito le bare? E soprattutto, in quale momento della procedura è avvenuta la confusione?
        L’Asp ha segnalato l’accaduto e dovrà ricostruire ogni fase, dai reparti al deposito delle salme, fino al passaggio alle imprese funebri. Errori del genere sono rari, ma quando accadono lasciano dietro di sé non solo disagi burocratici ma ferite emotive profonde.
        Le due famiglie, dopo ore di smarrimento, hanno finalmente riavuto indietro i rispettivi defunti. Un epilogo necessario, ma che non cancella lo choc di aver pianto un estraneo, né le domande ancora aperte su una vicenda che richiede chiarezza.

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          Storie vere

          La superiora coinvolta in una chat erotica col prete, ma le suore negano

          La religiosa a capo del Most Holy Trinity di Arlington è stata accusata di aver violato il voto di castità con telefonate sconce con un prete. Il vescovo locale vuole prendere il controllo della struttura, ma le suore si sono ribellate

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            La saga del monastero Most Holy Trinity di Arlington, Texas, è diventata la trama principale di una telenovela dall’andamento tanto imprevedibile quanto scandaloso. Il palcoscenico di questa storia boccaccesca è un monastero in lotta tra suore ribelli e un vescovo determinato, con tanto di violazione dei voti di castità e telefonate sconce a un prete.

            Le suore carmelitane hanno alzato la voce, sfidando il Vaticano e denunciando il vescovo locale e l’Association of Christ the King. La battaglia per il controllo del monastero e dei suoi trenta ettari di terreno è diventata un vero e proprio campo di battaglia legale, con milioni di dollari in gioco e un’accusa di violazione dei voti sacri che avrebbe fatto arrossire persino il Papa.

            Il Vaticano ha emesso un decreto assegnando il controllo del monastero a un’organizzazione privata cattolica, scatenando una guerra legale senza precedenti. Ma le suore non si sono arrese facilmente: hanno chiesto di bloccare il provvedimento e hanno denunciato il vescovo locale per tentativo di appropriazione indebita.

            Ma la vera bomba è stata la rivelazione dei loschi affari della madre superiora, Teresa Agnes Gerlach, accusata di aver rotto il voto di castità con telefonate sconce a un prete di un altro monastero. Un’indagine interna condotta dal Vaticano ha portato alla rimozione di Gerlach, ma la madre superiora non si è data per vinta, sostenendo di essere vittima di un complotto ordito dal vescovo per prendere il controllo del monastero.

            Il tribunale diventa così il palcoscenico di una battaglia epica, con suore coraggiose che lottano per difendere la loro casa e il loro onore. La richiesta di 100 mila dollari di risarcimento è solo l’ultima mossa in questa partita che sembra non avere fine.

            Ma mentre il pubblico si prepara a scrutare ogni mossa sul palcoscenico del tribunale, ci si chiede: chi sarà il vincitore di questa battaglia? Le suore sono pronte a tutto pur di difendere il loro monastero, e il vescovo dovrà fare i conti con una rivolta che potrebbe mandare in fumo i suoi loschi piani.

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              Storie vere

              Basta mollo tutto e vado a vivere in un container! La scelta per una vita autosufficiente

              Questa giovane donna dimostra che è possibile vivere in modo diverso e trovare felicità e serenità in uno stile di vita minimalista. Ma per forza in un container…?

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                Robyn Swan, una giovane donna di 33 anni, ha deciso di cambiare radicalmente la sua vita vendendo tutto ciò che possedeva per vivere in un container, immersa nella natura della Scozia. La sua scelta, lontana dai canoni tradizionali, è stata motivata dal desiderio di diventare autosufficiente, ridurre il proprio impatto sull’ambiente e ritrovare serenità e libertà. Robyn ha venduto tutti i suoi beni, inclusi l’auto, i mobili e la televisione, per finanziare l’acquisto di un terreno vicino a Stirling, dal valore di 220mila euro. Ha poi collocato sul terreno un container, acquistato per 5mila euro, che è diventato la sua nuova abitazione. Per otto mesi, Robyn ha vissuto senza elettricità, ma successivamente ha installato pannelli solari, rendendo la sua casa energeticamente autosufficiente.

                Uno stile di vita autosufficiente

                La vita di Robyn si basa su un modello di autosufficienza e semplicità. Coltiva il proprio cibo, alleva polli, conigli e maiali, e raccoglie l’acqua piovana per il fabbisogno quotidiano. Per sostenersi, lavora come dog walker a tempo pieno. Condivide questa esperienza con il suo socio, Luke, un elettricista di 29 anni che ha contribuito a rendere possibile il progetto. Grazie al suo impegno, Robyn riesce a vivere con circa 300 euro al mese. Le sue spese principali sono limitate alla tassa comunale, al cibo e al telefono. Non avendo affitto o bollette energetiche significative, riesce a mantenere un tenore di vita semplice ma appagante.

                Ma perché questa scelta?

                La decisione di Robyn non è stata dettata solo da motivi economici, ma anche dal desiderio di vivere in modo più sano e sostenibile. “Volevo sapere esattamente cosa c’è nel cibo che consumo, produrlo da sola mi dà questa certezza“, ha spiegato. Inoltre, vivere lontano dalla civiltà le permette di essere preparata ad affrontare eventuali crisi globali, come una carenza alimentare. Pur riconoscendo che questo stile di vita può essere fisicamente impegnativo, Robyn lo descrive come profondamente appagante. “Mi dà tranquillità,” ha detto, spiegando che la connessione con la natura e la consapevolezza di essere autosufficiente contribuiscono al suo benessere generale.

                Vuoi andare anche tu a vivere in un container? Ecco qualche informazione pratica

                Vivere in un container richiede adattamenti pratici e creativi. Robyn ha dimostrato che, con le giuste soluzioni, questa scelta abitativa può essere comoda e sostenibile. Per prima cosa biosgna munirsi di pannelli solari per la produzione di energia elettrica. Poi biosgna pensare alla raccolta dell’acqua piovana. Acqua che serve per l’irrigazione delle colture e le necessità quotidiane. Quindi dal punto di vista della gestione degli spazi è indipensabile organizzare il container in modo funzionale per includere zona notte, cucina e spazio di lavoro. Infine cointainer o non container biosgna pensare a come procurarsi la pappa quotidiana. Insmma bisogna darsi da fare per raggiungere una autosufficienza alimentare. Robyn coltiva verdure e alleva animali, riducendo così la dipendenza da fonti esterne. E voi lo sapreste fare?

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