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Storie vere

Caro basta, con te niente più sesso… La Corte Europea dei diritti umani le da ragione

Sentenza storica della CEDU: Nessuna responsabilità per la donna che ha rifiutato rapporti sessuali col marito.

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    La Corte europea dei diritti umani (CEDU) ha emesso una sentenza storica che ha ribaltato la decisione dei tribunali francesi. Ha stabilito che una donna di 69 anni non può essere ritenuta responsabile del divorzio per essersi rifiutata di avere rapporti sessuali con il marito. La vicenda, che ha sollevato un acceso dibattito in Francia e oltre, mette in discussione il concetto tradizionale di “obbligo coniugale” e afferma il principio del consenso all’interno del matrimonio.

    Il caso della signora H.W condannata per “gravi violazioni”…?

    Tutto ha avuto inizio nel 2012, quando la signora H.W., sposata dal 1984 e madre di quattro figli, ha chiesto il divorzio dal marito. La donna, che affrontava una situazione familiare complessa con un figlio gravemente disabile e problemi di salute, aveva smesso di avere rapporti sessuali con il marito dal 2004. Tuttavia, i tribunali francesi avevano attribuito la responsabilità della separazione a lei, sostenendo che il suo rifiuto costituiva una “grave e ripetuta violazione dei doveri coniugali.” La sentenza francese del 2019, che aveva confermato il divorzio con colpa a carico della donna, è stata contestata da H.W. davanti alla CEDU. La Corte europea ha accolto il ricorso, affermando che il diritto al rispetto della vita privata e familiare garantito dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo era stato violato.

    L’importanza della sentenza della CEDU

    La CEDU ha stabilito che “l’esistenza stessa di un obbligo coniugale di natura sessuale è incompatibile con la libertà sessuale e il diritto all’autonomia corporea.” In altre parole, nessun coniuge può essere obbligato ad avere rapporti sessuali all’interno del matrimonio, poiché il consenso deve essere sempre libero e consapevole. Questa decisione segna un cambiamento significativo nel diritto matrimoniale, sottolineando che l’autodeterminazione e il rispetto del proprio corpo prevalgono su qualsiasi tradizionale interpretazione dell’obbligo coniugale. L’avvocato della signora H.W., Lilia Mhissen, ha commentato con soddisfazione la decisione della Corte.Finalmente i tribunali smetteranno di interpretare il diritto francese attraverso la lente del diritto canonico, imponendo alle donne l’obbligo di rapporti sessuali all’interno del matrimonio.” Una sentenza che crea un precedente che potrebbe influenzare futuri casi simili in Europa, rafforzando la protezione dei diritti delle donne e la libertà individuale all’interno del matrimonio.

    Diritti coniugali: come difenderli

    Non è la prima volta che la CEDU interviene in materia di diritti coniugali. In altri casi, la Corte ha già stabilito che il matrimonio non implica un diritto automatico ai rapporti sessuali e che qualsiasi forma di coercizione o pressione viola i diritti fondamentali della persona. Questa nuova sentenza potrebbe influenzare legislazioni nazionali ancora legate a concetti arcaici di obblighi coniugali, contribuendo a una maggiore tutela dell’autonomia e del benessere individuale nei rapporti matrimoniali.

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      Cacciata da un ristorante perché tifosa della Lazio: la piccola Emma diventa simbolo di civiltà tradita

      È successo davvero: una famiglia in vacanza si è vista negare l’ingresso in un ristorante della riviera abruzzese perché la figlia indossava i colori biancocelesti. Reazioni indignate da Lazio e Pescara, mentre Lotito la invita a Formello.

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        Immaginate la scena: una bambina di undici anni, in vacanza con mamma e papà, si presenta felice davanti a un ristorante sul lungomare di Pescara. Indossa con orgoglio una maglietta della Lazio e un cappellino abbinato. Ma a quanto pare, non è gradita. “Qui non potete entrare”. Non perché abbiano il cane, non perché siano in ritardo, non perché la cucina sia chiusa. Ma per quella maglia. Quella maglietta della Lazio.

        È successo davvero. E in un lampo è diventato un caso nazionale, anzi una piccola, triste fotografia dell’Italia che riesce sempre a superarsi nella gara dell’intolleranza calcistica. La notizia, pubblicata da Il Centro, ha provocato una tempesta di reazioni. A cominciare dalla stessa Lazio, che via social ha scritto: “Cara Emma, ti aspettiamo a Formello. Qui sei la benvenuta”.

        Ma a sorprendere è anche la reazione del Pescara Calcio, club storicamente rivale della Lazio. Anche loro hanno preso le distanze, con un messaggio chiaro: “Negare l’ingresso a una bambina per la sua fede calcistica è un gesto che non ha alcuna giustificazione”. Parole semplici, ma che oggi suonano come ossigeno in un Paese dove si scambia il tifo per una guerra di religione.

        La piccola Emma, diventata suo malgrado simbolo della civiltà calcistica che fu, ha raccolto una valanga di solidarietà. Sì, perché indignarsi è giusto. Ma è ancora più giusto chiedersi come sia possibile che nel 2025 qualcuno pensi di fare selezione all’ingresso in base alla squadra del cuore. In un ristorante, poi. Dove si dovrebbe andare per stare bene, non per essere giudicati.

        Ora Emma visiterà il centro sportivo biancoceleste. Vedrà i suoi beniamini, riceverà abbracci e maglie firmate. Ma nessun gesto, per quanto bello, potrà cancellare quel momento in cui si è sentita esclusa. E tutto per una maglietta. O meglio, per l’idea sbagliata che certi adulti hanno dello sport.

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          “Sei sporca, brutta e grassa”: 12enne bullizzata in classe, la scuola condannata a risarcire 60mila euro

          Una 12enne di Pescara è stata vittima di bullismo per mesi, senza che la scuola intervenisse tempestivamente. Gli insulti e le vessazioni subiti l’hanno costretta a cambiare scuola e hanno causato gravi danni psicologici. Dopo otto anni di battaglie legali, la Corte d’appello dell’Aquila ha condannato l’istituto a risarcire la ragazza e la sua famiglia con 60mila euro, criticando duramente l’indolenza della scuola nel proteggere la studentessa.

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            La storia di una 12enne bullizzata nella sua scuola media di Pescara fa ancora parlare. Offese, insulti e vessazioni quotidiane l’hanno costretta a vivere un incubo durato mesi, senza che la scuola intervenisse tempestivamente. La bambina, oggi 23enne, ha finalmente ottenuto giustizia: la Corte d’appello dell’Aquila ha condannato l’istituto a risarcire lei e la sua famiglia con 60mila euro per non aver preso provvedimenti adeguati contro il bullo.

            Un incubo lungo otto anni

            “Tu sei una ragazza sporca, come tua madre, fai cose sporche, sei una p… Sei brutta, grassa, guardati”. Queste le parole che risuonavano nella mente della 12enne ogni giorno. Le offese e le umiliazioni arrivavano dal suo coetaneo, compagno di classe, che la perseguitava continuamente. La scuola, invece di intervenire immediatamente, ha lasciato che la situazione degenerasse.

            La lenta risposta della scuola

            La scuola ha sospeso il bullo solo per una settimana, una misura ritenuta insufficiente dai giudici. Le testimonianze dei compagni di classe hanno evidenziato l’indifferenza del corpo docente e la mancanza di interventi adeguati. “I professori sapevano che la mia amica era bullizzata e non hanno mai rimproverato quel ragazzo,” ha dichiarato una compagna di classe. Questa indifferenza ha portato la bambina a perdere 20 chili, a cambiare scuola e a perdere l’anno scolastico.

            La sentenza e le critiche alla scuola

            La Corte d’appello dell’Aquila ha confermato la condanna della scuola, sottolineando l’obbligo di vigilanza e protezione degli studenti. “Il compito della scuola era quello di tutelare la minore, adempiendo all’obbligo di controllo e vigilanza prima che si verificasse la situazione di pericolo e non intervenire in un momento successivo,” hanno scritto i giudici nella sentenza.

            Un lungo cammino verso la giustizia

            Otto anni di udienze e sofferenze ripercorse in tribunale hanno finalmente portato giustizia alla ragazza e alla sua famiglia. Il risarcimento di 60mila euro è solo un parziale sollievo per il dolore subito, ma rappresenta un importante riconoscimento della responsabilità della scuola. La giovane, ora 23enne, ha ripreso in mano la sua vita grazie a cure e sostegno psicologico, ma le ferite lasciate dal bullismo e dall’indifferenza della scuola rimarranno per sempre.

            Una lezione amara

            Questa vicenda evidenzia la necessità di un intervento immediato e deciso contro il bullismo nelle scuole. Le istituzioni educative hanno il dovere di proteggere i loro studenti e di creare un ambiente sicuro e supportivo. Speriamo che questa sentenza serva da monito affinché nessun altro bambino debba soffrire come la giovane di Pescara.

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              Jessica Cox: la pilota senza braccia che ha deciso di conquistate i cieli

              Questa storia è un promemoria potente per tutti noi su come le avversità possano trasformarsi in trampolini di lancio per nuove imprese.

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                Ci sono persone che nascono per infrangere limiti e riscrivere le regole. Jessica Cox, nata senza braccia, è una di queste. La sua storia è quella di una donna che ha scelto di volare più in alto di quanto chiunque avrebbe potuto immaginare. Oggi è la prima donna al mondo a pilotare un aereo usando soltanto i piedi, un’impresa straordinaria che continua ad affascinare e ispirare persone in tutto il mondo.

                Un’infanzia di determinazione e resilienza

                Cresciuta in Arizona, Jessica Cox ha rifiutato fin da bambina di essere definita dalla sua disabilità. Grazie al supporto della sua famiglia, ha appreso una lezione fondamentale: “Non è ciò che hai o che ti manca che conta, ma ciò che fai con quello che hai.” Con una forza di carattere fuori dal comune, Jessica ha imparato a fare tutto con i piedi: mangiare, scrivere, lavarsi i denti, guidare un’auto e persino pettinarsi. La sua determinazione l’ha portata a rompere ogni stereotipo, affrontando con un sorriso e un’immensa sicurezza i pregiudizi che spesso accompagnano le disabilità. Jessica rappresenta una lezione di vita. Un esempio di come l’intraprendenza possa trasformare le sfide in opportunità.

                Per Jessica Cox un sogno è diventato realtà

                Il desiderio di volare non è stato casuale. A 22 anni, durante un’esperienza di volo su un piccolo aereo, Jessica ha scoperto la passione per l’aviazione. Quello che per molti è un hobby inaccessibile, per lei è diventato una missione. Pilotare un aereo senza braccia è stato un grattacapo tecnico e normativo, ma Jessica non si è fermata. Dopo tre anni di intenso addestramento, nel 2008 ha ottenuto la licenza di pilota sportivo. Jessica vola su un Ercoupe, un aereo dotato di comandi accoppiati che possono essere gestiti interamente con i piedi. La sua abilità nel manovrare comandi, pedali e radio con una precisione incredibile è una vera coreografia di destrezza e adattamento.

                Più di una pilota, Jessica è una voce che promuove l’inclusione

                Jessica non ha solo conquistato i cieli, ma anche i cuori. È diventata una speaker motivazionale, condividendo il suo messaggio di inclusione e accettazione in tutto il mondo. Con energia e carisma, dimostra che non esiste un unico “normale” e che accettare se stessi è il primo passo per superare qualsiasi limite. Jessica celebra la diversità e l’autodeterminazione, mostrando al mondo che ogni ostacolo può essere superato con creatività e forza di volontà. Ogni sua azione è un esempio di resilienza: invece di lamentarsi delle difficoltà, reinventa continuamente il suo approccio alla vita con una creatività instancabile.

                Una vita senza limiti

                Oltre a essere una pilota, Jessica è cintura nera di taekwondo, tuffatrice, suona il pianoforte e guida un’auto. È sposata, vive con entusiasmo e continua a esplorare nuovi territori. La sua energia sembra alimentata da un mix unico di determinazione, libertà e gioia di vivere. Ogni volo che intraprende è un manifesto che grida: “I limiti sono fatti per essere superati.” Jessica vola non solo per se stessa, ma per tutti coloro che si sono sentiti dire “Non è possibile.”

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