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Storie vere

Fin da ragazza Glenda si è sempre divertita così. La sfasciacarrozze più celebre d’Italia

Glenda è una delle più esperte sfasciacarrozze della Penisola. Dalle utilitarie alle super car lei riesce a recuperare il 90% dei pezzi. Viti incluse

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    E’ proprio una che ti demolisce tutto Glenda Castronovo di Torino. Una di quelle che quando ti mette sotto, non ti molla prima di averti tirato fuori anche l’ultima vite. Dalla testa ai piedi. Dalla carrozzeria al motore. Sì perché Glenda è una delle più esperte sfasciacarrozze del Piemonte e della Panisola. Sfascia di tutto dalle utilitarie alle super car e riesce sempre a recuperare il 90% dei pezzi. Viti incluse.

    Demolire le auto è un business green, all’insegna della transizione ecologica

    Gli autodemolitori sono i principali attori di questa transizione. Meticolosamente Glenda svita e ripone filtri delle pastiglie, olio, batterie, portiere, pezzi di ricambio. Qualsiasi cosa finché non rimane più nulla. Le parti meccaniche sono le più richieste, motore e cambio inclusi, dice. “Il motore lo paghi 400 euro per una Punto, nuovo e revisionato ti costa 1500 e l’auto spesso non vale più di 1000“.

    Automotive settore inquinante?

    Quando gli autodemolitori funzionano bene tutte le auto senza alcuna distinzione vengono riutilizzate per il 90%. Il 10% viene riciclato come ricambio e la restante parte tra riuso in altri settori o fusione di metalli che poi tornano sul mercato. Tra il 2020 e il 2021, il numero degli impianti di autodemolizione in Italia è salito da 1.417 a 1.430. Di questi 613 sono al Nord (43% del totale), 217 al Centro (15%) e 600 al Sud (42%).

    Secondo Castronovo, che ha iniziato a sfasciare i motorini dei suoi primi fidanzati, le parti meccaniche, motore e cambio, sono quelle più richieste per essere riciclate da una vettura non più in uso a una ancora andante. “Sono quei ricambi che non riesci a comprare nuovi, costano troppo. Poi ci sono anche portiere, cofani, paraurti“, dice. Ci sono alcune parti meccaniche introvabili come per alcune di autovetture con oltre 20 anni di vita e magari 4/500 mila chilometri già percorsi. Modelli che per continuare a marciare avrebbero bisogno di pezzi che il mercato dell’usato non trova più. Neppure quello delle case madri.

    C’è chi si concentra solo sulla carrozzeria

    Cofani, porte, bauli vengono recuperati, per esempio, da Lucio Gonnella della Fp Supercar, ricavandoli da auto incidentate. Un modo con cui gli autodemolitori suppliscono alle mancanze del mercato. Già perché le case automobilistiche dopo qualche decennio smettono di produrre pezzi per auto vecchie. Per le auto nate entro il 2012 praticamente non si trova più nulla se non da sfasciacarrozze e demolitori.

    Pensiamo ai modelli di auto ancora in circolazione come la Punto 188, la Seicento, la Stilo. Tutti modelli di cui si è persa ogni traccia. Sulle strade non se ne vedono quasi più. Secondo Castronovo le auto nate tra il 2010 e il 2016, 2017 sono quelle che hanno ancora un certo valore anche perché dopo il Covid i prezzi dell’usato sono cresciuti in media del 30%.

    E il riciclo come avviene?

    Quello che non finisce su un’altra auto lo possiamo ritrovare anche nella vita di tutti i giorni. “Una parte va direttamente in fonderia “, racconta ancora Castronovo, “e ridiventa ferro. Tutti i metalli sulle auto vengono divisi e riutilizzati. Tessuti, plastiche, copertoni sono usati per rifare l’asfalto. Inoltre alcune aziende li usano anche per i pavimenti dei parchetti giochi, quelli in gomma“.

    Secondo Anselmo Calò, presidente di Ada (Associazione Demolitori Autoveicoli) i veicoli incidentati sono quelli più ambiti, perché se alcune parti sono distrutte altre sono ancora valide perché hanno fatto poca strada. Invece per le auto più vecchie il mercato si rivolge soprattutto al Sud Italia. “Da oltre 40 anni c’è una tendenza a inviare i veicoli usati verso sud, lì sono più portati ad acquistare auto usate Al sud, infatti, muoiono più auto che al nord e circolano più macchine vecchie“.

      Storie vere

      Bodybuilding pensaci tu. Claudia a 47 anni, depressa e sovrappeso, ha trovato la forza per cambiare la sua vita grazie a questa pratica

      Lo sport può essere una potente forma di terapia. E così lo è stato per Claudia Oliveira 52enne brasiliana che con la pratica del bodybuilding ha trasformato la sua vita in meglio.

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        Claudia oggi ha 52 anni e vive felice e contenta. Ma solo 5 anni fa non era così. Depressa e sovrappeso si sentiva una donna inutile, problematica sull’orlo di crisi di nervi continue. Insomma era infelice e non si piaceva per nulla. Poi è successo qualcosa che ha trasformato completamente la sua esistenza: ha iniziato a praticare il bodybuilding. Piano, piano giorno dopo giorno ha capito che quella pratica stava influenzando positivamente il suo umore. Ma soprattutto la sua autostima oltre naturalmente migliorare il suo corpo sia da punto di vista estetico sia dal punto di vista di resistenza neuromuscolare.

        La passione per il bodybuilding e la voglia di trasmetterla

        Dopo i primi positivi cambiamenti Claudia Oliveira ha deciso di raccontare quella sua avventura e pratica anche sui social. E così in poco tempo è diventata un punto di rifermento di quanti, nelle sue stesse condizioni, cercavano qualche idea e aiuto per migliorare il proprio benessere psico fisico. Poi man mano che i suoi follower crescevano di numero e le restituivano feedback positivi ha deciso di impegnarsi nel promuovere e divulgare i benefici di questa pratica corporea. Fino a diventare un vero e proprio punto di rifermento del settore. Insomma un testimonial dei benefici del bodybuilding.

        La sua esperienza e motivazione come ispirazione per chi vuole cambiare

        Claudia ci tiene proprio a fare conoscere la sua esperienza. “Il bodybuilding mi ha salvata. Credevo di meritare qualcosa di meglio, e ho iniziato a cambiare le mie abitudini alimentari e ad allenarmi,” scrive sui social. Il suo percorso non è solo fisico: oggi si sente più forte, sicura e realizzata, e spera che la sua storia possa ispirare chiunque lotti con problemi simili a trovare la forza per trasformare la propria vita. Si sente talmente coinvolta che dalla depressione di cinque anni fa si è aggiudicata il premio Fitness Newcomer in Brasile, mostrando che l’impegno e la passione possono rivoluzionare anche le sfide più difficili. “Sto vivendo la mia fase migliore: del mio corpo, della mia mente, della mia autostima e della mia forza,” racconta, spronando i suoi follower a credere in loro stessi. “Se ci sono riuscita io, puoi farcela anche tu,” aggiunge. Equesto è il messaggio che più conta.

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          Storie vere

          Angela, eroina ignorata dalle istituzioni, premiata col Radicchio d’Oro

          Mentre le istituzioni tacciono, Angela Isaac riceve il premio per il coraggio e la solidarietà: un atto eroico che ha salvato una vita senza chiedere nulla in cambio
          L’anziano, in balìa della piena mentre cercava di mettersi in salvo a bordo del suo scooter lungo via Etnea, non avrebbe avuto scampo senza il coraggio di Angela. Un mese dopo, tuttavia, nessun riconoscimento ufficiale è giunto da parte delle istituzioni. Nonostante i dieci anni vissuti a Catania, la cittadinanza italiana rimane un miraggio per Angela, che lavora come barista e ha un figlio di due anni. Tuttavia, un segnale di apprezzamento arriva dal Veneto, dove lunedì 18 novembre, al Teatro Accademico di Castelfranco Veneto, riceverà il Premio Radicchio d’oro, un riconoscimento alla solidarietà e al coraggio, assegnato a figure di spicco che si sono distinte per il loro altruismo e che è nato nel 1999 dall’idea di Egidio Fior e Pietro Gallonetto.

          Angela confida che il giorno del salvataggio non ha esitato a gettarsi nelle acque tumultuose, nonostante il rischio per la propria vita. «Sì, l’ho pensato. Avevo paura, non lo nascondo, ma una persona era in grave difficoltà davanti ai miei occhi. Nessuno interveniva, la gente lì intorno continuava a riprendere con i telefonini senza fare niente, non potevo lasciarlo morire, mi sono buttata», racconta. «Non è stato facile: lui era sotto choc, un uomo anche grosso, e c’era la furia della piena. Non so dove ho trovato la forza per trascinarlo fuori, ma ci sono riuscita».

          Il suo atto eroico, però, è rimasto senza riscontro ufficiale. Alla domanda se il sindaco di Catania Enrico Tarantino (Fratelli d’Italia) le abbia consegnato una medaglia, Angela risponde con semplicità: «No. Ma io l’ho fatto con il cuore, senza aspettarmi riconoscimenti». Anche la proposta del deputato Matteo Sciotto per una medaglia d’oro della Regione Sicilia è rimasta senza seguito: «No», afferma Angela, senza rimostranze. «Nessuno mi ha contattata. Ma l’ho fatto con il cuore, non per avere qualcosa in cambio».

          Sulle difficoltà nel ricevere la cittadinanza italiana, Angela è serena: «Sarei contenta di avere la cittadinanza italiana, ma è una decisione del Governo. Se ritengono che non la meriti, lo accetto. Non costringo nessuno».

          Il rapporto con la persona che ha salvato si è concluso quel giorno stesso. «Non l’ho mai più visto. È passato un suo nipote al bar dove lavoro e mi ha ringraziata. Il giorno dell’alluvione, dopo che l’ho messo in salvo, ognuno è andato per la sua strada. Lui sanguinava dalla testa, è stato soccorso e medicato. Io ero impegnata a salvare dalla piena i tavoli del plateatico del bar…».

          Nonostante il gesto eroico, la vita di Angela prosegue senza cambiamenti. «No, è sempre uguale. Continuo a lavorare al bar otto ore al giorno, dalle sette di mattina, il tempo che resta lo trascorro con mio figlio». Anche la parentesi mediatica non ha lasciato segni duraturi: «Sì, mi ha fatto piacere, mi sono divertita, è stato un modo per far capire al mondo che esistono persone di cuore, che non si girano dall’altra parte. Ma poi sono tornata alla mia solita vita».

          L’eroina di Catania, che non ha ricevuto alcun supporto economico, mantiene sogni semplici. «Nessuno. Tanti però ne hanno parlato…». E se le si chiede cosa desideri, Angela non ha esitazioni: «Una vita normale, crescere mio figlio senza preoccupazioni, occuparmi della mia famiglia, lavorare. Mi piace il lavoro, avrei bisogno di un po’ di tranquillità economica. Non mi interessa diventare ricca, ma non vorrei essere povera»Quanto ai sogni grandi, quelli che si fanno nelle favole? Angela sorride: «Un sogno? Mi piacerebbe fare l’attrice».

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            Angela Isaac, 28 anni, giovane barista nigeriana residente a Catania, è la donna che, durante l’alluvione dello scorso ottobre, ha rischiato la vita per salvare un anziano trascinato dalla furia delle acque. «Un uomo aveva bisogno d’aiuto, travolto dalla violenza dell’acqua, dovevo salvarlo, non ho pensato a nient’altro. Non potevo lasciarlo morire», ricorda Angela, la cui decisione di gettarsi nei flutti e trascinarlo fuori ha segnato la differenza tra la vita e la morte.

            L’anziano, in balìa della piena mentre cercava di mettersi in salvo a bordo del suo scooter lungo via Etnea, non avrebbe avuto scampo senza il coraggio di Angela. Un mese dopo, tuttavia, nessun riconoscimento ufficiale è giunto da parte delle istituzioni. Nonostante i dieci anni vissuti a Catania, la cittadinanza italiana rimane un miraggio per Angela, che lavora come barista e ha un figlio di due anni. Tuttavia, un segnale di apprezzamento arriva dal Veneto, dove lunedì 18 novembre, al Teatro Accademico di Castelfranco Veneto, riceverà il Premio Radicchio d’oro, un riconoscimento alla solidarietà e al coraggio, assegnato a figure di spicco che si sono distinte per il loro altruismo e che è nato nel 1999 dall’idea di Egidio Fior e Pietro Gallonetto.

            Angela confida che il giorno del salvataggio non ha esitato a gettarsi nelle acque tumultuose, nonostante il rischio per la propria vita. «Sì, l’ho pensato. Avevo paura, non lo nascondo, ma una persona era in grave difficoltà davanti ai miei occhi. Nessuno interveniva, la gente lì intorno continuava a riprendere con i telefonini senza fare niente, non potevo lasciarlo morire, mi sono buttata», racconta. «Non è stato facile: lui era sotto choc, un uomo anche grosso, e c’era la furia della piena. Non so dove ho trovato la forza per trascinarlo fuori, ma ci sono riuscita».

            Il suo atto eroico, però, è rimasto senza riscontro ufficiale. Alla domanda se il sindaco di Catania Enrico Tarantino (Fratelli d’Italia) le abbia consegnato una medaglia, Angela risponde con semplicità: «No. Ma io l’ho fatto con il cuore, senza aspettarmi riconoscimenti». Anche la proposta del deputato Matteo Sciotto per una medaglia d’oro della Regione Sicilia è rimasta senza seguito: «No», afferma Angela, senza rimostranze. «Nessuno mi ha contattata. Ma l’ho fatto con il cuore, non per avere qualcosa in cambio».

            Sulle difficoltà nel ricevere la cittadinanza italiana, Angela è serena: «Sarei contenta di avere la cittadinanza italiana, ma è una decisione del Governo. Se ritengono che non la meriti, lo accetto. Non costringo nessuno».

            Il rapporto con la persona che ha salvato si è concluso quel giorno stesso. «Non l’ho mai più visto. È passato un suo nipote al bar dove lavoro e mi ha ringraziata. Il giorno dell’alluvione, dopo che l’ho messo in salvo, ognuno è andato per la sua strada. Lui sanguinava dalla testa, è stato soccorso e medicato. Io ero impegnata a salvare dalla piena i tavoli del plateatico del bar…».

            Nonostante il gesto eroico, la vita di Angela prosegue senza cambiamenti. «No, è sempre uguale. Continuo a lavorare al bar otto ore al giorno, dalle sette di mattina, il tempo che resta lo trascorro con mio figlio». Anche la parentesi mediatica non ha lasciato segni duraturi: «Sì, mi ha fatto piacere, mi sono divertita, è stato un modo per far capire al mondo che esistono persone di cuore, che non si girano dall’altra parte. Ma poi sono tornata alla mia solita vita».

            L’eroina di Catania, che non ha ricevuto alcun supporto economico, mantiene sogni semplici. «Nessuno. Tanti però ne hanno parlato…». E se le si chiede cosa desideri, Angela non ha esitazioni: «Una vita normale, crescere mio figlio senza preoccupazioni, occuparmi della mia famiglia, lavorare. Mi piace il lavoro, avrei bisogno di un po’ di tranquillità economica. Non mi interessa diventare ricca, ma non vorrei essere povera».

            Quanto ai sogni grandi, quelli che si fanno nelle favole? Angela sorride: «Un sogno? Mi piacerebbe fare l’attrice».

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              Storie vere

              Sabrina da bianca a… nera: la sorpresa dei medici in ospedale. La malattia le cambia il colore della pelle!

              Sabrina Gomes, una giovane brasiliana di Fortaleza, sta combattendo una battaglia contro un tumore raro che le ha stravolto la vita.

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                E’ una vera e propria battaglia per la vita quella che sta affrontando la giovane Sabrina Gomes 24 anni, di Fortaleza in Brasile. Aveva 18 anni quando i medici dell’Ospedale Universitario Walter Cantídio hanno scoperto che Sabrina era affetta da due patologie tumorali: la sindrome di Cushing e il timoma. Due problemi che causano difficoltà respiratorie, insufficienza renale, pressione alta, disturbi metabolici e soprattutto un cambiamento anomalo del colore della sua pelle che diventa nera. E come mai? L’annerimento è causato di un’elevata produzione di cortisolo stimolato a sua volta da una eccessiva presenza di ACTH, ormone che stimola la secrezione degli stessi ormoni glicocorticoidi (come il cortisolo) e si occupa del mantenimento delle ghiandole surrenali.

                Il cambiamento del colore della pelle: un effetto collaterale della malattia

                Il cambiamento del colore della pelle di Sabrina è un effetto collaterale del tumore – e delle terapie subite per farlo regredire. L’annerimento della pelle in sintesi è causato dalla stimolazione ormonale anomala. “Più il tumore cresce, più la mia pelle diventa scura”, dice sconsolata la ragazza che da dieci mesi è in attesa di un farmaco che potrebbe arginare la sua patologia. Ma il medicinale, il lutezio radioattivo, ha un costo elevato e non è ancora stato fornito dal Dipartimento di Salute dello Stato. E intanto Sabrina soffre e la sua pelle diventa sempre più nera.

                Per Sabrina finora cure senza successo

                Per arginare il tumore finora Sabrina ha subito tre chemioterapie, radioterapia e quattro interventi chirurgici. Nonostante la rimozione delle ghiandole surrenali per contenere l’eccesso ormonale, il tumore è cresciuto fino a raggiungere i 17 centimetri, aggravando i sintomi e rendendo impossibile una nuova operazione per la sua rimozione. Il timoma comprime anche organi vitali come cuore ed esofago, aggiungendo ulteriori difficoltà alla gestione della salute della ragazza. L’équipe medica ha indicato il lutezio radioattivo come unica possibile soluzione dopo aver verificato che il tumore di Sabrina presenta recettori cellulari adatti a quel farmaco. Il trattamento richiede quattro dosi, con un costo complessivo di circa 25.000 euro.

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