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Storie vere

Precariato in un centro commerciale di Parma, senza pausa pranzo e con il timore di andare in bagno

Storie di moderno sfruttamento, come quella che avviene in un centro commerciale di Parma, dove le commesse – confermate di mese in mese con uno stipendio misero – non godono della pausa pranzo e temono di concedersi una pausa caffè o di recarsi in bagno.

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    Una commessa racconta al sito Parmatoday le condizioni di lavoro che è costretta a subire, in un negozio di un centro commerciale della città emiliana dove lavora, con un contratto in somministrazione lavoro, con l’intermediazione di un’agenzia. 900 euro al mese per 24/30 ore settimanali senza pausa pranzo, vivendo con la paura che anche le sacrosante “pause bagno” possano essere prese come scusa dall’azienda per non prolungare il rapporto di lavoro. «Le aziende possono fare di loro ciò che vogliono», commenta il segretario territoriale Ugl Parma, Giorgia Costantino.

    Fondata sul lavoro… senza etica

    Domande personali fatte in sede di colloquio, contratti rinnovati mensilmente («così possono lasciarci a casa a ogni scadenza») e i turni festivi e le domenica pagate poco più di sei euro all’ora. Condizioni vergognose per un paese che si fregia di essere “una Repubblica fondata sul lavoro”. Specchio sempre più dilagante di un mondo del lavoro che ha perso ogni valore etico ed ogni dignità gestionale.

    Difficile conciliare la vita privata col lavoro

    Secondo quanto racconta la commessa, che ha chiesto di rimanere anonima per paura delle ripercussioni, il degrado inizia dal primo colloquio di lavoro. «Mi hanno chiesto se ho figli, se sono fidanzata, se convivo e se ho qualcuno che possa stare con i miei figli mentre lavoro», ha rivelato. «Una volta passato il colloquio ti chiedono di iscriverti a un’agenzia di lavoro in modo che l’assunzione avvenga tramite loro». L’avvio del rapporto di lavoro avviene attraverso un contratto settimanale a poco più di sei euro l’ora, «poi di un mese e poi di un altro mese». E così via, con la struttura di part time con orari che difficilmente permettono di conciliare vita privata e occupazione. Mettendo i lavoratori nella difficile condizione di dover lavorare anche nei giorni festivi e durante le domeniche: «Non riusciamo a fare altro, per esempio stare un po’ in famiglia e con i nostri figli».

    Sotto ricatto costante, dove un caffè diventa un lusso da dimenticare

    Le commesse subiscono quindi la perversa “strategia” del rinnovo mensile: «Nessuna di noi si oppone a lavorare tutti i festivi. Sai che sei sotto ricatto e puoi essere lasciata a casa ad ogni scadenza del contratto». Un solo giorno di riposo a settimana, mai nel weekend. Niente pausa pranzo, ovviamente, e anche la necessità di un caffè deve essere accantonata «per paura di essere riprese dai capi».

    necessità fisiologiche solo se estremamente impellenti

    «Andiamo in bagno se abbiamo bisogno ma cerchiamo di limitarci». A questo si aggiungono le richieste di fermarsi oltre l’orario di lavoro «fino a quando c’erano clienti nel negozio», o di arrivare almeno in quarto d’ora prima dell’inizio del turno «senza retribuzione aggiuntiva». La mansione – quella di “scaffalista” – risulta esattamente paritetica a quella di lavoratrici assunte, salvo disporre di meno garanzie, risultando sotto la categoria di “somministrazione lavoro”: «Le persone effettivamente assunte sono meno de 50% del totale». E quando finiscono le proroghe del contratto? Semplice, «cambiano agenzia e ti rifanno il contratto, così riparte tutto da zero».

    Moderni schiavi

    Commenta duramente Giorgia Costantino, segretario territoriale di Parma dell’Unione generale del lavoro: «Le agenzie di somministrazione hanno peggiorato il mondo del lavoro». Le paghe risultano bassissime e spesso i dettagli dell’accordo non sono resi noti: «Ho dovuto insistere in alcune agenzie perché diverse lavoratrici hanno avuto la maggiorazione al 30 e non al 50%», come stabilisce un accordo territoriale con Confcommercio a Parma. Insomma «le lavoratrici non hanno il diritto di andare da un sindacato per farsi tutelare. Sei ci vanno vengono lasciate a casa». La crescita di un paese, spesso strombazzata strumentalmente dal governo di turno, passa necessariamente attraverso l’etica aziendale. Un insieme virtuos di valori e norme che si prefiggono l’obiettivo di migliorare l’ambiente di lavoro e promuovere l’uguaglianza e il rispetto dei diritti. Senza di lei… c’è solo schiavitù: moderna, svolta in ambienti confortevoli (come quello di un centro commerciale), senza catene di metallo e bastonate. Ma sempre e solo con il medesimo obiettivo.

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      Storie vere

      Basta mollo tutto e vado a vivere in un container! La scelta per una vita autosufficiente

      Questa giovane donna dimostra che è possibile vivere in modo diverso e trovare felicità e serenità in uno stile di vita minimalista. Ma per forza in un container…?

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        Robyn Swan, una giovane donna di 33 anni, ha deciso di cambiare radicalmente la sua vita vendendo tutto ciò che possedeva per vivere in un container, immersa nella natura della Scozia. La sua scelta, lontana dai canoni tradizionali, è stata motivata dal desiderio di diventare autosufficiente, ridurre il proprio impatto sull’ambiente e ritrovare serenità e libertà. Robyn ha venduto tutti i suoi beni, inclusi l’auto, i mobili e la televisione, per finanziare l’acquisto di un terreno vicino a Stirling, dal valore di 220mila euro. Ha poi collocato sul terreno un container, acquistato per 5mila euro, che è diventato la sua nuova abitazione. Per otto mesi, Robyn ha vissuto senza elettricità, ma successivamente ha installato pannelli solari, rendendo la sua casa energeticamente autosufficiente.

        Uno stile di vita autosufficiente

        La vita di Robyn si basa su un modello di autosufficienza e semplicità. Coltiva il proprio cibo, alleva polli, conigli e maiali, e raccoglie l’acqua piovana per il fabbisogno quotidiano. Per sostenersi, lavora come dog walker a tempo pieno. Condivide questa esperienza con il suo socio, Luke, un elettricista di 29 anni che ha contribuito a rendere possibile il progetto. Grazie al suo impegno, Robyn riesce a vivere con circa 300 euro al mese. Le sue spese principali sono limitate alla tassa comunale, al cibo e al telefono. Non avendo affitto o bollette energetiche significative, riesce a mantenere un tenore di vita semplice ma appagante.

        Ma perché questa scelta?

        La decisione di Robyn non è stata dettata solo da motivi economici, ma anche dal desiderio di vivere in modo più sano e sostenibile. “Volevo sapere esattamente cosa c’è nel cibo che consumo, produrlo da sola mi dà questa certezza“, ha spiegato. Inoltre, vivere lontano dalla civiltà le permette di essere preparata ad affrontare eventuali crisi globali, come una carenza alimentare. Pur riconoscendo che questo stile di vita può essere fisicamente impegnativo, Robyn lo descrive come profondamente appagante. “Mi dà tranquillità,” ha detto, spiegando che la connessione con la natura e la consapevolezza di essere autosufficiente contribuiscono al suo benessere generale.

        Vuoi andare anche tu a vivere in un container? Ecco qualche informazione pratica

        Vivere in un container richiede adattamenti pratici e creativi. Robyn ha dimostrato che, con le giuste soluzioni, questa scelta abitativa può essere comoda e sostenibile. Per prima cosa biosgna munirsi di pannelli solari per la produzione di energia elettrica. Poi biosgna pensare alla raccolta dell’acqua piovana. Acqua che serve per l’irrigazione delle colture e le necessità quotidiane. Quindi dal punto di vista della gestione degli spazi è indipensabile organizzare il container in modo funzionale per includere zona notte, cucina e spazio di lavoro. Infine cointainer o non container biosgna pensare a come procurarsi la pappa quotidiana. Insmma bisogna darsi da fare per raggiungere una autosufficienza alimentare. Robyn coltiva verdure e alleva animali, riducendo così la dipendenza da fonti esterne. E voi lo sapreste fare?

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          Storie vere

          Elena Maraga, la maestra licenziata per OnlyFans, rilancia con un calendario: “Ogni curva parla di forza e libertà”

          La vicenda aveva fatto discutere: licenziata per aver aperto un profilo OnlyFans, Elena Maraga non si è arresa. Oggi presenta un calendario autoprodotto e rivendica la scelta come atto di emancipazione e autodeterminazione, trasformando la vicenda in un nuovo percorso professionale.

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            La chiamavano la “maestra di OnlyFans” e la sua storia aveva scatenato polemiche. Oggi Elena Maraga, 29 anni, dopo la bufera e il licenziamento dalla scuola materna cattolica del Trevigiano in cui insegnava, ha scelto di voltare pagina. Non solo non si è fermata, ma ha deciso di reinventarsi partendo proprio da quel caso che l’aveva messa all’angolo. Il suo nuovo progetto è un calendario autoprodotto, accompagnato dalla vendita online di polaroid di nudo attraverso il proprio e-commerce personale.

            Una scelta di continuità rispetto all’esperienza che aveva acceso lo scandalo. La primavera scorsa, quando alcuni genitori scoprirono il suo profilo sulla piattaforma per adulti, la direzione scolastica reagì con fermezza, inviandole due lettere di licenziamento per “giusta causa”. Un iter che si è concluso soltanto poche settimane fa, con un accordo definitivo tra l’istituto e l’insegnante. Un epilogo che non ha però cancellato il segno lasciato dalla vicenda, ma che per la diretta interessata si è trasformato in un’occasione di rinascita.

            Sul suo sito web, Maraga ha scelto di raccontare pubblicamente il percorso. “Ho perso il lavoro, ma non mi sono fermata. Amo il mio corpo perché racconta chi sono: ogni muscolo è una conquista, ogni curva parla di forza e libertà”, scrive la giovane, presentando così il suo calendario. Un progetto che non si limita all’aspetto estetico, ma che rivendica un messaggio preciso: l’idea che il corpo possa essere strumento di affermazione e libertà personale, indipendentemente dai giudizi esterni.

            Per molti la sua vicenda è stata un caso di cronaca legato al conflitto tra moralità, lavoro e libertà individuale. Per lei, invece, rappresenta la possibilità di costruire un percorso diverso. “Per qualcuno è stato uno scandalo, per me è stata una scelta consapevole”, rivendica. Dopo mesi di silenzio, Maraga ha scelto di presentarsi non come vittima ma come protagonista del proprio destino.

            Il calendario autoprodotto segna dunque l’inizio di una nuova fase, lontana dalle aule scolastiche ma vicina a un pubblico che, dopo la vicenda, ha imparato a conoscerla e a seguirla. Un passaggio netto che sancisce il modo in cui la ex maestra ha deciso di trasformare una pagina difficile in un progetto personale e professionale.

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              Storie vere

              Topo da laboratorio? Ma neanche per sogno: la scienziata Rosie Moore è una topa da paura! (gallery)

              Dimenticatevi quelle oscure studiose con occhiali spessi, camice bianco, capelli raccolti alla bella e meglio ed espressione accigliata: Rosie Moore è sì un’affermata biologa… ma potrebbe fare la modella!

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                Rosie Moore il titolo di “scienziata più bella del mondo” se l’è guadagnato sul campo. Attualmente vanta più di 200.000 follower su Instagram,Ma non certo in laboratorio… piuttosto con le foto che lei costantemente pubblica sui social. La biologa ha di recente reso pubblico uno scatto per il quale ha lasciato a bocca aperta i suoi fan. Dopo essersi tolta i vestiti per un tuffo in un lago palude. D’altronde come può rimanere indifferente una studiosa davanti alla bellezza della natura e a tutti quei processi fisici e chimici dei fenomeni che caratterizzano i sistemi viventi? “Qualsiasi cosa per la foto,” ha scritto nella didascalia, aggiungendo che ha “implorato” di essere lì.

                Poco prima, aveva pubblicato una foto per mostrare il suo nuovo top mentre si trovava a passeggio nello splendido scenario del Parco Nazionale degli Everglades, in Florida. Il top senza spalline esibito dalla Moore si presentava con una stampa e una texture in simil pelle di coccodrillo, perfettamente in tema con il contesto circostante.

                I morsi delle zanzare in Sud America le hanno fatto contrarre la dengue

                Soprannominata dai fan “Lara Croft della vita reale” per via del suo spirito avventuroso, sembra davvero in carne ed ossa il personaggio dei giochi Tomb Raider. Di recente ha dichiarato alla stampa di aver contratto la dengue durante un viaggio di ricerca in Sud America. In quell’occasione, ha raccontato di essere stata morsa più di 1.000 volte da zanzare locali. La dengue è una malattia infettiva tropicale causata dal Dengue virus. Il virus esiste in cinque sierotipi differenti. Generalmente l’infezione garantisce un’immunità a vita per quel tipo, mentre comporta solamente una breve immunità nei confronti degli altri.

                Girare il mondo vale tutti i rischi che comporta

                “Ho esitato a condividere questo perché sento che molte persone hanno paura di viaggiare in luoghi più remoti. Ma il viaggio è stato assolutamente ne è valsa la pena, e incoraggerei chiunque a uscire e vedere più luoghi remoti del mondo,” ha detto in quell’occasione.

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