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Cronaca

Trevignano, la Madonna piangeva sangue. Ma era della veggente

Il Dna rilevato sulle guance della statuina e sul quadro del Cristo corrisponde a quello della presunta veggente Maria Giuseppa Scarpulla. Nessun marchingegno nei simulacri, ma il gip chiude il caso: “Nessun miracolo, solo sangue umano”.

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    Niente miracoli. Niente misteri. Solo una perizia genetica e quattro tracce ematiche che parlano chiaro. È il colpo di scena nelle indagini sul caso della Madonna di Trevignano, che per anni ha attirato centinaia di fedeli e telecamere davanti alla villetta di Gisella Cardia, la presunta veggente che sosteneva di ricevere messaggi dalla Vergine e di assistere a lacrimazioni di sangue.

    Ora, secondo gli esiti della super-perizia genetica depositata in Procura, quel sangue è suo. Maria Giuseppa Scarpulla, questo il suo vero nome, non è solo indagata per truffa aggravata ai danni dei fedeli: secondo gli accertamenti tecnici, il Dna riscontrato su tutti i reperti sequestrati corrisponde esattamente al suo.

    A dirlo è Emiliano Giardina, genetista forense noto per aver lavorato ai casi di Yara Gambirasio e Melania Rea, che ha firmato un’analisi dettagliata di 135 pagine su quattro tracce di sangue: due sulle guance della statuina della Madonna, una sul volto e una sulla veste del quadro del Cristo. Tutte, nessuna esclusa, riconducono alla Scarpulla. Nessuna presenza di Dna misto, nessuna traccia del marito Gianni Cardia, che la difesa aveva tentato di coinvolgere tirando in ballo il cromosoma Y. Ma nemmeno quell’argomento ha retto.

    Persino i batuffoli di cotone usati durante i riti e trovati nella casa riportano solo e soltanto il suo profilo genetico. Il che rende sempre più difficile, se non impossibile, sostenere l’ipotesi soprannaturale di fronte a un tribunale.

    A togliere ogni ulteriore margine di dubbio ci ha pensato anche la tomografia computerizzata a 128 strati, che ha scansionato a fondo i due simulacri sacri: nessun marchingegno, nessuna cavità nascosta, nessun sistema per far fuoriuscire liquidi. Solo una fusione compatta di materiali, senza ingranaggi, tubicini o fori. Insomma, nessun trucco, solo sangue. Umano.

    Fine della messa, e anche dell’inchiesta. Il gip del Tribunale di Civitavecchia ha infatti respinto la richiesta di proroga delle indagini, riconoscendo la solidità del quadro probatorio. Non solo: è stata anche archiviata la querela per diffamazione che la stessa Cardia aveva sporto contro Luigi Avella, uno dei primi seguaci a denunciare pubblicamente quella che definì “una messinscena”. Per il giudice, le sue dichiarazioni sono da considerarsi legittime: rientrano nel diritto di critica e non hanno oltrepassato i limiti della continenza espressiva.

    Un duro colpo per chi, in questi anni, ha creduto alla veggente di Trevignano, alle sue apparizioni mensili del 3 del mese, alle lacrime della Madonna e alle promesse di salvezza. E una conferma, per chi denunciava da tempo che dietro quel culto si celava un meccanismo ben più terreno.

    Ora toccherà alla magistratura valutare se e come procedere sul fronte penale, ma una verità è già emersa: il sangue che commuoveva i fedeli non veniva dal cielo, ma da una donna in carne e ossa.

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      Italia

      Il network LaC entra al 50° posto nella Top 100 dei siti di informazione italiani: un traguardo che premia qualità e innovazione

      Il network di Diemmecom conquista il 50° posto nella classifica Comscore di giugno. Merito di un’informazione autorevole, radicata sul territorio e capace di dialogare con lettori e community social.

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        Il mese di giugno segna un passaggio importante nella storia del network LaC: l’ingresso ufficiale nella Top 100 dei siti di informazione italiani secondo la classifica Comscore, con un posizionamento al 50° posto. Un risultato che conferma la crescita costante del gruppo editoriale Diemmecom e l’impatto delle sue testate nel panorama nazionale.

        Il riconoscimento, diffuso da Prima Comunicazione, fotografa un gruppo capace di competere con i grandi player dell’informazione, puntando su autorevolezza, tempestività e una radicata presenza sul territorio.

        Il network LaC non è solo il portale di informazione generale, ma una vera famiglia editoriale che si è allargata negli anni: accanto al sito principale, c’è il nostro LaCityMag.it, il “magazine monello” che racconta lifestyle, tendenze e gossip con uno sguardo curioso e mai banale; e LaCapitale, la voce autorevole che da Via Condotti 21 segue da vicino politica, attualità ed economia. E poi le redazioni che lavorano sul territorio calabrese con Il Vibonese, Il Reggino, Cosenza Channel e Catanzaro Channel. Insieme, queste testate compongono un’offerta editoriale ampia, moderna e trasversale, capace di intercettare pubblici diversi e fidelizzarli.

        Più di una classifica: una comunità

        Il 50° posto non è solo un dato: è la prova che una scelta editoriale basata sulla qualità dell’informazione e sul rapporto diretto con i lettori paga nel tempo. Il pubblico del network è ampio, trasversale e fedele. Non si limita a leggere, ma partecipa: segnala fatti, commenta, interagisce, diventando parte di un processo informativo condiviso.

        Questo legame con la community è il vero motore della crescita. La redazione lavora ogni giorno con l’obiettivo di produrre notizie verificate, raccontate con un linguaggio chiaro ma mai superficiale, e di portare in primo piano storie e protagonisti che spesso non trovano spazio nei media nazionali.

        Il ruolo dei social

        A fare la differenza è anche la strategia social del gruppo: un sistema di canali che non si limita a diffondere le notizie, ma costruisce un dialogo continuo con il pubblico. L’elevato engagement, unito alla capacità di intercettare lettori anche al di fuori dei confini regionali, ha contribuito a rafforzare il brand e ad aumentare la visibilità complessiva.

        Per l’editore Domenico Maduli, questo traguardo è una tappa, non un punto d’arrivo:
        «Essere tra i primi 100 siti di informazione italiani significa che il lavoro quotidiano delle nostre redazioni e il legame con la community sono riconosciuti e premiati. Continueremo a investire in innovazione, professionalità e rapporto con i lettori, per offrire un’informazione sempre più autorevole e vicina alle persone».

        Dal giornalismo di inchiesta alle curiosità di lifestyle, dalle analisi politiche agli approfondimenti economici, passando per i racconti di comunità: il network LaC continua a crescere, portando con sé l’orgoglio delle proprie radici e la voglia di parlare a tutta Italia.

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          Mondo

          “Le donne non dovrebbero votare”: il delirio sessista rilanciato da Pete Hegseth, il capo del Pentagono

          Il leader del Pentagono posta un servizio sulla chiesa di Doug Wilson, dove si predica che il voto alle donne sia un errore. E aggiunge il motto “Tutto Cristo per tutta la vita”.

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            Nel 2025, negli Stati Uniti, c’è ancora chi sogna di togliere il diritto di voto alle donne. E non parliamo di un oscuro predicatore relegato in un canale YouTube da quattro follower, ma del capo del Pentagono. Pete Hegseth ha infatti condiviso sui suoi social un video su una chiesa nazionalista cristiana in cui diversi pastori dichiarano, senza imbarazzo, che le donne non dovrebbero più votare.

            Il filmato è un servizio della Cnn sulla comunità fondata da Doug Wilson, leader della Comunione delle Chiese Evangeliche Riformate. Nelle interviste, alcuni pastori spiegano la loro “teoria”: il suffragio femminile sarebbe un errore storico e, in un “mondo ideale”, le persone dovrebbero votare “come famiglie”, con una sola voce per nucleo domestico. Tradotto: a decidere è l’uomo di casa.

            A rendere la vicenda ancora più inquietante è il commento di Hegseth: “Tutto Cristo per tutta la vita”, motto che, in questo contesto, suona come un endorsement alle posizioni dei pastori. Nessuna presa di distanza, nessun chiarimento: solo la condivisione di un’idea che ribalta oltre un secolo di diritti civili.

            La chiesa di Wilson non è nuova a derive ultraconservatrici, ma che a rilanciarne i contenuti sia il massimo vertice militare americano solleva più di un interrogativo. Sul piano simbolico, è un messaggio devastante: se a pronunciare certe frasi fosse stato un privato cittadino, sarebbe già abbastanza grave. Che lo faccia chi guida il Pentagono, in un Paese che si proclama faro della democrazia, sfiora il paradosso.

            Il suffragio femminile negli Stati Uniti è legge federale dal 1920, frutto di decenni di battaglie e sacrifici. Vederlo trattato come un fastidio da cancellare, e per di più da figure di potere, non è “opinione religiosa”: è nostalgia di un passato maschilista in cui metà della popolazione doveva tacere e obbedire.

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              Mondo

              Studiare negli Stati Uniti? Ora serve anche il “visto social”

              Controlli sui profili online, appuntamenti bloccati e incertezza diplomatica: ecco cosa devono sapere gli studenti italiani che sognano l’America.

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                Studiare negli Stati Uniti è sempre stato un sogno per migliaia di studenti italiani, ma oggi quel sogno passa anche da un nuovo checkpoint: i social network. Dal 18 giugno 2025, il Dipartimento di Stato americano ha introdotto una misura che impone a tutti i richiedenti di rendere pubblici i propri profili social. Post, commenti, like e condivisioni saranno passati al setaccio dai funzionari consolari. Obiettivo: individuare eventuali “segnali di ostilità” verso gli Stati Uniti, la loro cultura o le istituzioni.

                Consolati in attesa di nuovi ordini

                La misura riguarda tutti i visti legati all’istruzione e agli scambi culturali: F1 per studenti universitari, J1 per liceali e programmi di scambio, M1 per formazione professionale. E non si tratta solo di nuove richieste: anche i rinnovi saranno soggetti a questo screening digitale. Il problema? Al momento non è ancora possibile fissare nuovi appuntamenti nei consolati americani in Italia. La procedura è stata riattivata “sulla carta”, ma nei fatti resta bloccata, lasciando migliaia di studenti, ricercatori e professori in un limbo burocratico. Le critiche non si sono fatte attendere. L’American Council on Education e NAFSA hanno espresso timori sull’impatto dissuasivo della misura. Sottolineano il rischio di un calo significativo nelle iscrizioni internazionali, già segnate da oltre 1.800 revoche di visto per motivi politici o ideologici.

                Organizzazioni come ACLU e Human Rights Watch parlano di un “effetto gelido” sulla libertà di espressione, mentre il mondo accademico teme un crollo delle iscrizioni internazionali. Il rischio è che il visto diventi un test politico, soprattutto per chi ha espresso opinioni critiche, ad esempio in merito al conflitto israelo-palestinese.

                Cosa fare, allora, se si vuole studiare negli USA?

                Pulizia digitale. Rivedere i propri profili social, impostare la privacy su “pubblico” come richiesto, ma con attenzione a contenuti potenzialmente controversi. Avere sempre la documentazione pronta. Preparare con largo anticipo tutti i documenti richiesti, inclusi quelli accademici e finanziari. Monitorare i canali ufficiali come ambasciate e consolati che pubblicano aggiornamenti sulle disponibilità degli appuntamenti. Magari valutare alternative agli Stati Uniti. In caso di ritardi prolungati, considerare programmi in altri Paesi anglofoni o posticipare l’esperienza. Insomma studiare negli Stati Uniti è ancora possibile, ma occorre munirsi di più pazienza, più trasparenza e più consapevolezza digitale. Il sogno americano passa anche da un feed Instagram e ogni like potrebbe fare la differenza.

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