Reali
Harry assolto dalle accuse di bullismo: solo un “becero scazzo” con la presidente di Sentebale
Il principe Harry e Sophie Chandauka, presidente di Sentebale, si erano accusati a vicenda tra interviste e comunicati bollenti. Ora l’indagine mette la parola fine: nessuno colpevole, ma entrambi rimproverati per aver trasformato divergenze private in una figuraccia globale.

Molto rumore per nulla, verrebbe da dire. Dopo mesi di titoloni, frecciatine e accuse di bullismo e misoginia, il principe Harry esce pulito dall’inchiesta che aveva fatto tremare Sentebale, l’associazione da lui fondata per aiutare i bambini colpiti dall’Hiv in Lesotho e Botswana. A tirarlo dentro nella bufera era stata Sophie Chandauka, avvocata e manager di ferro, oggi presidente della charity, che lo aveva dipinto come tossico e sessista, tra comportamenti “ostili” e atteggiamenti da bullo di corte.
L’indagine della Charity Commission, l’ente britannico che vigila sulle organizzazioni benefiche, ha smontato l’intero caso: nessuna prova di bullismo, misoginia o molestie, né da parte del principe ribelle né da parte del consiglio di amministrazione a lui vicino. E, per par condicio, nessuna colpa formale nemmeno per Chandauka, accusata di autoritarismo e gestione troppo “aziendalista”. In pratica, la grande guerra reale si riduce a un banale scontro di ego e caratteri, un “becero scazzo” interno finito sui giornali di mezzo mondo.
Il verdetto finale ha il sapore della ramanzina più che della sentenza: tutti assolti, ma tutti bacchettati. La Commissione ha criticato duramente sia Harry sia Chandauka per aver trasformato normali divergenze di visione in una figuraccia pubblica, alimentata da interviste al vetriolo e comunicati al veleno.
Il duca di Sussex, che aveva definito le accuse “spudorate bugie”, può tirare un sospiro di sollievo: nessuna macchia ufficiale sul suo impegno benefico, ma l’ennesima grana mediatica dopo il divorzio con la Royal Family e la fuga americana. La presidente, invece, resta al suo posto: nessuna testa cade, ma la credibilità della charity esce ammaccata.
Morale? Nessuno è colpevole, ma tutti hanno fatto la loro parte nel trasformare una lite da riunione di condominio in una telenovela internazionale.
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Reali
Meghan Markle e la marmellata che divide: successo commerciale ma disastro gastronomico. bocciato dalla critica
Che Meghan Markle avesse intenzione di costruire un impero lifestyle dopo aver detto addio alla vita da royal non era un mistero. Ma che la sua marmellata potesse scatenare una tale bufera, forse sì. Parliamo della “As Ever”, una confettura artigianale all’albicocca lanciata in tiratura limitata e andata esaurita in poche ore. Un prodotto che ha fatto notizia non tanto per il gusto – che in pochi hanno potuto realmente provare – quanto per le critiche feroci che ha ricevuto da un’esperta del settore.

Donna Collins, figura di riferimento nel mondo delle conserve con il suo marchio Jelly Queens. Collins, senza mezzi termini, ha definito la marmellata “un fallimento”, mettendo in discussione sia la consistenza che la qualità degli ingredienti. E a quel punto, il barattolo si è rotto. Secondo l’esperta, quella di Meghan non sarebbe nemmeno tecnicamente una marmellata, ma una “spread”, termine usato per indicare una conserva troppo liquida per essere spalmata con orgoglio. “È quello che succede quando una marmellata non riesce,” ha sentenziato. A nulla servirebbe l’utilizzo di buoni ingredienti, se la consistenza non è quella giusta.
Alla faccia dell’ambiente
Collins ha poi insinuato che le albicocche fossero coltivate “in modo convenzionale”, ovvero trattate con pesticidi, e ha criticato l’uso (o l’abuso?) della pectina, il gelificante naturale che dovrebbe garantire la giusta solidità al prodotto. Risultato? Una marmellata che per alcuni è icona del nuovo corso di Meghan, ma per altri è solo un vasetto da collezione – meglio se chiuso.
Comunque vada… è stato un successo
Eppure, nonostante i giudizi impietosi, la “As Ever” è riuscita in qualcosa che molte conserve sognano: diventare virale. I vasetti, venduti a 9 o 14 dollari l’uno, sono finiti nel giro di ore. Alcuni sostengono che il merito vada al nome dietro l’etichetta, più che al contenuto. Altri parlano di un’efficace strategia basata sulla scarsità, con una produzione volutamente limitata per creare attesa e desiderio. L’effetto Markle, insomma, ha funzionato ancora una volta, anche se più come fenomeno pop che come successo gastronomico.
La polemica infuria
Il dibattito intorno alla marmellata rivela una tensione più profonda: quella tra immagine e sostanza. Meghan Markle si sta reinventando come imprenditrice lifestyle, e il suo marchio è pensato per incarnare valori come autenticità, qualità artigianale e cura del dettaglio. Ma basta un prodotto poco riuscito a far crollare la narrazione? Non necessariamente. In fondo, ogni brand ha bisogno di tempo per trovare la propria voce, e un barattolo andato male può servire più di mille slogan per capire cosa migliorare.
Il peso del testimonial
È però lecito domandarsi quanto ci sia di genuino dietro a prodotti che portano il nome di una celebrità. Collins è stata molto chiara: “Tutti sappiamo che non è Meghan a cucinare la marmellata.” Una frase semplice, ma pungente, che rimette in discussione l’intera operazione. La duchessa ha davvero messo le mani in pasta o ha solo firmato un’etichetta? Finché il confine tra branding e passione personale resta sfumato, sarà difficile distinguere il business dall’autenticità.
In arrivo nuovi prodotti
Con il suo marchio “American Riviera Orchard”, Meghan Markle ha annunciato l’arrivo di altri prodotti: si parla di chutney, tè, oli e persino un vino – già oggetto di nuove polemiche. Riuscirà a convincere il pubblico che dietro le sue conserve c’è più sostanza che strategia? Per ora, il dibattito resta aperto. Quel che è certo è che la marmellata dell’ex duchessa ha fatto esattamente ciò che ogni prodotto sogna: farsi notare. Nel bene o nel male, di “As Ever” si parla. E tanto basta, almeno per cominciare.
Reali
Dodici amanti in dodici mesi: il principe Andrea e Sarah Ferguson, il matrimonio più cornutamente reale di sempre
Nel libro Entitled: The Rise and Fall of the House of York, Andrea viene descritto come un marito fedifrago seriale, con una dozzina di amanti nei primi dodici mesi di matrimonio. Sarah Ferguson, inizialmente disperata, si prese la sua rivincita con l’ormai leggendaria foto del piede in bocca all’amante.

Altro che favola reale. Il matrimonio tra il principe Andrea e Sarah Ferguson è stato un manuale vivente di corna e ripicche. Dodici mesi, dodici amanti: questa la media del duca di York secondo la biografia Entitled: The Rise and Fall of the House of York dello storico Andrew Lownie, che ha serializzato il tutto sul Daily Mail.
Il “duca di Pork”, già travolto anni dopo dallo scandalo Epstein, si sarebbe giustificato con la moglie sostenendo di dover stare spesso lontano da casa per “servizio nella Royal Navy”. In realtà, racconta Lownie, il tempo lo impiegava diversamente: «Dice sempre di volermi e poi mi pianta per andare a letto con altre», confidava una Sarah in lacrime.
Eppure la rossa più chiacchierata di Buckingham non rimase a piangere per sempre. Memorabile la foto del 1992 in cui, sdraiata su una sdraio, lasciava che il “consigliere finanziario” John Bryan le baciasse il piede: uno degli scatti più imbarazzanti mai finiti in un album reale.
All’inizio, però, la trama era ben diversa. A presentarli, nel 1985, fu Lady Diana. Un anno dopo erano già marito e moglie, accolti con simpatia dalla regina Elisabetta, che però non tardò a chiedersi: «Come ti è venuto in mente?». Sarah, di modi popolari e parlantina incontenibile, faceva sorridere Carlo, al punto da dirle davanti a Diana: «Perché non sei simpatica come lei?».
La favola durò poco. Andrea, quando non era in mare (o così sosteneva), tornava a casa giusto per guardare il golf e sparire di nuovo. Sarah, annoiata e frustrata, cominciò a consolarsi con vacanze, spese folli e qualche “amicizia” pericolosa.
La nascita delle figlie Beatrice ed Eugenia non fermò la deriva. Nel 1992 arrivò la separazione, seguita dal divorzio nel 1996. Ma, incredibilmente, i due convivono ancora oggi al Royal Lodge. Forse per affetto, forse per abitudine. O forse perché, nel grande circo Windsor, sanno di essere rimasti gli unici a divertirsi davvero.
Reali
Con amore, marmellata e Instagram: Meghan Markle si reinventa cuoca (ma la royal family non gradisce)
Otto episodi tra fragole biologiche, cestini in vimini e dolcetti da giardino. L’America si scioglie, gli inglesi si indignano e i più cinici si chiedono: è un reality o una strategia commerciale ben mascherata?

Altro che ritiro dalla vita pubblica. Altro che privacy. Meghan Markle è tornata. E stavolta, più che una duchessa ribelle, sembra una Martha Stewart con il titolo nobiliare. Il suo nuovo reality Netflix si chiama With Love, Meghan! e no, non è una serie sulla crisi dei Windsor, né un altro confessionale sull’intervista con Oprah. È una serie culinaria, almeno in apparenza. Otto episodi di marmellate, cene tra amici, ricette sentimentali e dettagli molto, molto privati – che in teoria avrebbero dovuto restare tali, dopo le dichiarazioni d’amore per la “vita semplice” a Montecito.
Ma Montecito, si sa, è semplice solo nella misura in cui i cestini da picnic sono firmati e la fragola è bio, raccolta nell’orto di casa e subito trasformata nella marmellata edizione limitata che ha lanciato il brand American Riviera Orchard. Il tutto mentre i figli Archie e Lilibeth fanno da cornice, con pigiamini adorabili e accenti che sciolgono i cuori americani, meno quelli inglesi, che si sono affrettati a bollare l’intera operazione come una mossa di marketing con annesso sfruttamento dell’immagine dei bambini. E in effetti, i confini tra storytelling familiare e pubblicità non sono mai stati così sfumati.
La serie parte con Hello, Honey!, un’ode alla dolcezza domestica con l’amico make-up artist Daniel Martin (quello del royal wedding, per intenderci). Poi arriva Mindy Kaling in Welcome to the party, dove si organizza una festa per bambini come solo una duchessa in esilio può fare: con decorazioni minimal-chic e colori pastello perfettamente instagrammabili. Chef Roy Choi compare nel terzo episodio, Two kids from LA, mentre prepara un pollo in tempura che sembra uscito da un food magazine. E così via, con ospiti come Abigail Spencer, Vicky Tsai, Delfina Figueras e la classica combriccola di donne affermate, belle, multitasking e sempre perfettamente truccate.
L’episodio più chiacchierato? Feels like home, in cui finalmente compare lui, il principe Harry. Barba ben curata, sorriso in stand-by e aria vagamente spersa. Partecipa a un dinner party in giardino, presenza discreta accanto alla moglie e alla suocera. Giusto un cameo, ma sufficiente per far ripartire il chiacchiericcio sulle tensioni di coppia: lui vorrebbe privacy, lei vuole il brand. Lui gira una docuserie sul polo, lei serve scones su tovagliette ricamate. A ogni stagione, un contenuto.
Sui social, il reality è già oggetto di cult e scherno. L’account ufficiale della duchessa, As Ever Official by Meghan, conta già 2,8 milioni di follower. Quello del brand, quasi 900 mila. Cifre da influencer di razza, ma con la corona – metaforica – in testa. I fan applaudono la sua autenticità. I detrattori parlano di «operazione zuccherosa», abilmente costruita per vendere marmellate e visibilità. In mezzo, resta un dubbio: Meghan crede davvero nella cucina come terapia e negli abbracci al rallenty, o sta solo cucinando la sua prossima mossa mediatica?
Una cosa è certa: il documentario, con il suo tono patinato e i suoi “momenti spontanei” coreografati con cura, più che raccontare Meghan, la costruisce. È l’ennesima evoluzione del personaggio: da attrice a duchessa, da duchessa a dissidente, da dissidente a imprenditrice del cuore. Con in sottofondo un’America che l’ha accolta come simbolo di libertà e una Inghilterra che non ha mai smesso di rimpiangere il protocollo.
C’è chi dice che questa sia solo la prima stagione. E forse hanno ragione: perché nel regno mediatico dei Sussex, ogni giorno è buono per lanciare un nuovo prodotto, una nuova emozione, un nuovo contenuto. Con amore, certo. Ma sempre con un hashtag ben piazzato.
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