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Curiosità

Dimmi dove siedi e ti dirò chi sei: la psicologia nascosta dietro la disposizione a tavola

La scelta del posto a tavola può offrire un’interessante finestra sulla personalità di chi partecipa al pasto. Osservare dove una persona sceglie di sedersi può fornire preziose indicazioni sul suo carattere, sulle sue inclinazioni e sul modo in cui si relaziona agli altri durante un incontro sociale.

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    Attraverso una prospettiva psicologica, possiamo comprendere meglio come la disposizione dei posti a tavola influenzi la dinamica di gruppo e contribuisca alla creazione di esperienze di pasto più significative.

    La disposizione dei posti a tavola può essere considerata come un linguaggio non verbale che comunica una serie di messaggi sottili sulle relazioni interpersonali e la gerarchia sociale all’interno del gruppo.
    Chiunque abbia pianificato una cena o un evento sociale, sa quanto sia importante pensare attentamente alla disposizione dei posti al tavolo. Chi si siede accanto a chi, chi occupa il posto centrale e chi è posizionato ai margini possono influenzare la fluidità della conversazione, il senso di appartenenza e la percezione della leadership all’interno del gruppo.

    Inoltre, la disposizione può riflettere il livello di familiarità e intimità tra i partecipanti. Ad esempio, coppie o amici intimi tendono ad essere posizionati in prossimità l’uno dell’altro, mentre individui meno familiari potrebbero essere separati da una certa distanza. Questo posizionamento può influenzare il grado di conforto e confidenza durante il pasto e contribuire a creare un’atmosfera di calore e accoglienza.

    Analizziamo come la scelta dei posti possa riflettere diverse sfaccettature della personalità di una persona, considerando anche il tipo di tavolo coinvolto.

    Tavolo Rettangolare
    Chi opta per i due posti capotavola manifesta spesso una personalità dominante da leader. Questa persona ama essere al centro dell’attenzione e prendere il controllo della situazione. Durante il pasto, sarà il protagonista delle discussioni e tenderà a dirigere il dibattito a suo piacimento.
    Coloro che invece scelgono di sedersi accanto al leader potrebbero essere più inclini all’incertezza e all’evitamento delle responsabilità. Potrebbero essere persone che preferiscono seguire piuttosto che guidare, lasciando agli altri il compito di prendere decisioni importanti.
    D’altra parte, chi opta per posti più centrali al tavolo mostra una tendenza all’osservazione e alla valutazione ponderata delle situazioni. Queste persone preferiscono mantenere una posizione equidistante, ascoltare le opinioni degli altri e poi intervenire nel momento opportuno con il proprio contributo. Sono spesso considerate persone affidabili e di cui ci si può fidare.

    Tavolo rotondo
    Discorso diverso quando ci si trova davanti un rotondo. In questo caso anche se sposti un posto a tavola le cose non cambieranno. Le posizioni sono tutte uguali, proprio per questo sono le forme preferite in bar o ristoranti. Annullano la competizione, fanno sentire tutti uguali, ma anche qui ci può essere qualche indizio sulla personalità degli astanti. Un esempio? Chi si scosterà per prima dal tavolo con la sedia darà un messaggio inequivocabile. Vuole dominare gli altri presenti, assumere il ruolo di leader. A te decidere se lasciarlo fare o provare a contrastarlo.

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      Tu lo sai che cos’è la plant blindness? Un fenomeno sottovalutato

      La plant blindness è un fenomeno sottovalutato ma significativo. Riconoscerlo e affrontarlo è essenziale per garantire la conservazione della biodiversità, la salute degli ecosistemi e il benessere delle generazioni future.

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        La plant blindness, o “cecità botanica”, è un termine coniato dai botanici James Wandersee ed Elisabeth Schussler nel 1998. Si riferisce all‘incapacità delle persone di vedere o riconoscere le piante nel loro ambiente quotidiano. Questo fenomeno non è legato a problemi di vista, ma piuttosto a una mancanza di consapevolezza e apprezzamento delle piante e del verde che ci circonda. Le persone affette da plant blindness tendono a ignorare le piante, considerando il mondo naturale principalmente attraverso l’interazione con gli animali e altri esseri umani.

        Come si manifesta?

        La plant blindness si manifesta in vari modi, tra cui: la mancanza di riconoscimento. Molte persone non sono in grado di identificare le piante comuni nella loro area, distinguendo a malapena tra diversi tipi di alberi, fiori o erbe. La sottovalutazione del ruolo delle piante. La gente tende a non comprendere l’importanza ecologica delle piante, ignorando il loro ruolo cruciale nella produzione di ossigeno, nel ciclo del carbonio e come habitat per numerose specie animali. La mancanza di educazione. Nei programmi scolastici, la botanica riceve spesso meno attenzione rispetto alla zoologia, portando a una generale mancanza di conoscenza delle piante tra i giovani. I media e le pubblicazioni scientifiche tendono a concentrarsi più sugli animali che sulle piante, alimentando questa tendenza a ignorare il mondo vegetale.

        Quali sono gli effetti negativi della plant blindness

        La plant blindness può avere una serie di conseguenze negative, sia per l’ambiente che per la società. L’incapacità di riconoscere e apprezzare le piante può portare a una diminuzione degli sforzi verso la conservazione delle stesse. Senza una consapevolezza diffusa dell’importanza delle piante, le politiche ambientali e le iniziative di conservazione potrebbero trascurare la protezione degli habitat vegetali. Esiste poi un problema legato al declino della salute degli ecosistemi. Le piante sono fondamentali per il funzionamento degli ecosistemi. Ignorarle può compromettere la salute degli ecosistemi stessi, influenzando negativamente il ciclo dei nutrienti, la qualità dell’aria e dell’acqua e la stabilità del suolo.

        Si perdono le conoscenze tradizionali

        In molte culture, la conoscenza delle piante è profondamente radicata nelle pratiche tradizionali di medicina, cucina e artigianato. La plant blindness può portare alla perdita di queste preziose conoscenze, che rischiano di scomparire con il passare delle generazioni. Inoltre la mancanza di interesse per la botanica può ridurre il numero di studenti e ricercatori che si dedicano a questa disciplina. Questo può rallentare i progressi scientifici in settori come l’agricoltura sostenibile, la biotecnologia vegetale e la conservazione delle specie vegetali.

        Come contrastare la plant blindness

        Per contrastare la plant blindness, è necessario un cambiamento culturale ed educativo partendo proprio dalla scuola. Sarebbe utile poter integrare la botanica nei programmi scolastici fin dalle prime fasi dell’istruzione, promuovendo attività pratiche che coinvolgano direttamente gli studenti con le piante. Inoltre, ma questo già avviene, sarebbe utile promuovere documentari, articoli e programmi televisivi che mettano in risalto l’importanza delle piante e la loro bellezza. Oppure organizzare eventi di comunità come passeggiate botaniche, workshop di giardinaggio e mostre di piante per stimolare l’interesse e la consapevolezza delle persone verso il mondo vegetale.

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          Curiosità

          Il caffè del mattino: bisogno biologico o solo un’abitudine ben aromatica?

          Una tazzina appena svegli è un rito per milioni di persone, ma siamo davvero dipendenti dalla caffeina o è solo un condizionamento?

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            Il caffè del mattino è una certezza assoluta per molti. Per alcuni è un bisogno imprescindibile, senza il quale la giornata sembra partire con il freno a mano tirato. Per altri, è semplicemente un gesto familiare, un rito sociale che segna il confine tra il sonno e la veglia. Ma quanto ci serve davvero?

            Secondo gli esperti, la caffeina ha un effetto stimolante reale sul nostro corpo e sulla nostra mente. A livello biologico, una tazzina può migliorare la concentrazione, aumentare la prontezza mentale e dare quella spinta necessaria per affrontare impegni e responsabilità. Durante la notte, infatti, si accumula adenosina, un neurotrasmettitore che favorisce il rilassamento. La caffeina ne blocca i recettori, creando quella sensazione di energia e vigilanza che i più considerano essenziale per partire con il piede giusto.

            Il cortisolo che non ci molla mai…

            Detto questo, i ricercatori spiegano che la necessità del caffè appena svegli è spesso più psicologica che fisica. Il nostro organismo ha un picco naturale di cortisolo tra le 8 e le 9 del mattino, quindi l’effetto energizzante del caffè può essere più un’abitudine che un vero bisogno. Insomma, ci piace pensare di averne bisogno, ma molte volte potremmo farne a meno senza grandi conseguenze.

            Toglietemi tutto ma non il mio caffè

            C’è poi l’aspetto sensoriale e psicologico: l’aroma del caffè, il calore della tazza tra le mani, quel primo sorso che sa di giornata appena iniziata. Tutto questo stimola il rilascio di dopamina, rendendo il rituale ancora più piacevole. Anche il condizionamento sociale gioca un ruolo importante: il caffè è spesso associato a pause, incontri e piccoli momenti di relax, il che contribuisce a radicarlo nella nostra routine.

            Attenzione, però: la caffeina può creare una certa dipendenza

            Il corpo si abitua e, con il tempo, la stessa dose ha effetti meno intensi. Se si prova a eliminarla bruscamente, possono comparire sintomi da astinenza come mal di testa, irritabilità e sonnolenza. Niente di drammatico, ma sicuramente fastidioso. Quindi, il caffè è davvero necessario al mattino? Dipende. Se lo beviamo solo per il piacere di farlo, possiamo stare tranquilli. Se invece ci accorgiamo che senza di lui non riusciamo a carburare, forse siamo più dipendenti di quanto pensiamo. La verità è che il caffè, più che un bisogno, è diventato un rituale rassicurante, una pausa di benessere prima di tuffarsi nella giornata. E visto che la scienza dice che un consumo moderato fa bene, tanto vale goderselo senza troppi sensi di colpa. L’unico problema? Ricordarsi di non berlo troppo tardi, se si vuole dormire bene la notte!

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              Curiosità

              Mary Poppins è Pennywise? La bizzarra teoria che mette insieme magia e terrore

              Entrambi tornano nelle vite dei bambini dopo molti anni, si nutrono delle loro emozioni e condividono inquietanti somiglianze. Ma può davvero esistere un legame tra la tata magica e il clown assassino? Ecco tutti i dettagli di questa assurda teoria, raccontata con un tocco di ironia.

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                In internet si trova davvero di tutto, anche teorie così stravaganti da lasciare a bocca aperta. Tra queste, una delle più bizzarre associa Mary Poppins, la dolce e magica tata amata dai bambini, a Pennywise, il temibile clown assassino nato dalla penna di Stephen King.

                Chi sono questi due personaggi? Mary Poppins, protagonista dell’omonimo libro di P.L. Travers e del film Disney, è una tata magica che porta allegria e avventure nella vita dei piccoli Banks, aiutandoli a crescere con saggezza e fantasia. Pennywise, invece, è l’orribile creatura che assume la forma di un pagliaccio per terrorizzare e nutrirsi delle paure dei bambini, nel celebre romanzo horror It.

                Ed ecco che spunta la teoria: e se Mary Poppins e Pennywise fossero la stessa entità? Prima di scuotere la testa, ecco alcuni punti che sostengono questa folle idea:

                1. Ritorni sincronizzati: Sia Mary Poppins che Pennywise tornano dopo oltre vent’anni dal loro primo incontro con i bambini. Entrambi traggono energia dalle emozioni dei piccoli: la gioia nel caso di Mary, e la paura nel caso di Pennywise.
                2. Il curioso collegamento con Georgie: In Il ritorno di Mary Poppins, la tata magica dà a Georgie, il figlio minore di Michael Banks, una cometa di carta. E chi potrebbe dimenticare la barchetta di carta con cui Pennywise attira il piccolo Georgie? Stesso nome, stessi stratagemmi.
                3. Specchi e riflessi: Entrambi i personaggi hanno il potere di creare riflessi che agiscono indipendentemente, utilizzando le menti dei bambini per realizzare i propri obiettivi. E, dettaglio non trascurabile, sono entrambi dei ballerini provetti!
                4. L’amnesia e i palloncini: I bambini dimenticano sia Mary che Pennywise quando questi se ne vanno. E c’è di più: mentre Pennywise usa palloncini rossi per terrorizzare, nel finale de Il ritorno di Mary Poppins tutti i personaggi fluttuano con palloncini, e indovinate di che colore è quello di Mary? Esatto, rosso.

                Insomma, se da un lato Mary Poppins ci fa sognare con le sue canzoni e le sue magie, dall’altro Pennywise ci fa tremare dalla paura. E se fossero due facce della stessa medaglia? Probabilmente no, ma in rete si può davvero trovare ogni sorta di teoria… anche quelle più strampalate!

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