Benessere
Procrastinazione: il demone subdolo che ruba i nostri giorni facendoci rimandare tutto a domani
La procrastinazione, l’arte di rimandare a domani ciò che si può fare oggi, è un male comune che colpisce persone di ogni età e professione. Si manifesta come l’incapacità di iniziare o completare compiti, spesso accompagnata da ansia, senso di colpa e stress.
La procrastinazione, quel demone subdolo che sussurra “domani è un altro giorno” mentre noi anneghiamo in un mare di scadenze imminenti, è un nemico comune che ostacola il nostro cammino verso il successo e la realizzazione personale. Ma cos’è davvero la procrastinazione? È solo pigrizia o c’è qualcosa di più profondo che la alimenta?
Spesso la procrastinazione viene etichettata come semplice pigrizia o mancanza di volontà. In realtà, le sue radici affondano in un terreno psicologico ben più complesso. Paura del fallimento, perfezionismo esasperato, mancanza di motivazione, disorganizzazione cronica e persino disturbi psicologici sottostanti possono giocare un ruolo fondamentale nel procrastinare.
Le conseguenze della procrastinazione non si limitano al semplice accumulo di compiti in ritardo. Lo stress cronico, l’ansia da prestazione, la bassa autostima e le relazioni compromesse sono solo alcuni dei danni collaterali che questa subdola abitudine può causare. Ma c’è una buona notizia: la procrastinazione non è una condanna ineluttabile. Con le giuste strategie e il giusto mindset, possiamo liberarci dalle sue grinfie e riprendere il controllo sulla nostra vita.
Trasformare la procrastinazione in potere si può
La lotta contro la procrastinazione non è solo una battaglia contro le scadenze, ma un’opportunità per scoprire il nostro potenziale interiore. Imparando a gestire il tempo e a focalizzare le nostre energie, possiamo sbloccare una produttività inaspettata e realizzare i nostri sogni.
Suggerimenti su come evitare la procrastinazione
Affrontare un compito grande può sembrare travolgente. Spezzalo in parti più piccole e affrontane una alla volta. Questo rende più facile iniziare e completare il lavoro.
Lavora per 25 minuti su un compito, poi fai una pausa di 5 minuti. Dopo quattro sessioni, fai una pausa più lunga. Questo metodo aiuta a mantenere alta la concentrazione e a prevenire l’affaticamento.
Fai una lista dei tuoi compiti e classificali in base alla loro importanza e urgenza. Concentrati prima sui compiti ad alta priorità.
Crea un ambiente di lavoro privo di distrazioni. Questo può includere spegnere notifiche, usare applicazioni di blocco per siti web, o lavorare in un’area tranquilla.
Se un compito non ha una scadenza immediata, impostane una tu stesso. Le scadenze aiutano a creare un senso di urgenza e possono motivarti a iniziare.
Stabilire un piccolo premio per aver completato un compito può fornire una motivazione aggiuntiva. Può essere una pausa caffè, guardare un episodio del tuo show preferito, o qualsiasi cosa ti faccia piacere.
Spesso, i compiti che temiamo di più sono quelli che rimandiamo. Completali prima, così il resto della giornata sarà più facile.
Avere qualcuno che ti chieda aggiornamenti sui tuoi progressi può darti una spinta in più per completare i compiti.
Assicurati di dormire abbastanza, mangiare bene e fare esercizio fisico. Il tuo benessere fisico influisce sulla tua capacità di concentrazione e produttività.
Spesso, la paura di non fare qualcosa perfettamente porta alla procrastinazione. Concentrati sul fare del tuo meglio, non sul fare qualcosa perfettamente.
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Benessere
Depressione, il ruolo nascosto degli zuccheri nel cervello
Una nuova ricerca individua nel metabolismo degli zuccheri una possibile radice biologica della depressione, aprendo la strada a cure più mirate.
La depressione, che secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità colpisce oltre 280 milioni di persone nel mondo, potrebbe avere origini più fisiche di quanto si pensasse finora. Un nuovo studio pubblicato su Science Advances dal Center for Cognition and Sociality dell’Istituto coreano di Scienze di base ha infatti individuato un legame diretto tra il metabolismo degli zuccheri nel cervello e l’insorgenza dei sintomi depressivi.
Il team guidato dal neuroscienziato C. Justin Lee ha scoperto che minuscole catene di zuccheri, chiamate O-glicani, sono essenziali per mantenere stabili le connessioni tra i neuroni. Quando questo delicato equilibrio viene alterato – ad esempio per effetto dello stress cronico – le cellule della corteccia prefrontale, l’area che regola emozioni e processi decisionali, perdono comunicazione e stabilità. Il risultato può tradursi in apatia, ansia e perdita di interesse.
«Lo stress prolungato modifica la composizione delle catene zuccherine legate alle proteine cerebrali, compromettendo la comunicazione tra neuroni e innescando la depressione», spiega Lee.
Dallo stress alla sinapsi: quando il cervello “si scollega”
Per testare l’ipotesi, i ricercatori hanno sottoposto topi da laboratorio a tre settimane di stress controllato – isolamento, rumori e stimoli imprevedibili. Gli animali hanno manifestato comportamenti simili alla depressione umana, come ridotta socialità e perdita di peso.
Il passo successivo è stato quello decisivo: disattivando artificialmente l’enzima St3gal1, responsabile del corretto posizionamento degli O-glicani, i topi hanno mostrato sintomi depressivi anche senza esposizione a stress. Analizzando il tessuto cerebrale, è emerso che la proteina NRXN2, fondamentale per la trasmissione dei segnali nervosi, perde stabilità quando le sue catene di zuccheri vengono alterate.
Ketamina e zuccheri: un effetto biologico inatteso
La scoperta assume un valore ancora più interessante considerando che la ketamina, già utilizzata per la depressione resistente, sembra agire proprio su questo meccanismo. Nei test condotti, il farmaco ha ripristinato i livelli di O-glicani e migliorato il comportamento degli animali, suggerendo che il suo effetto antidepressivo non dipenderebbe solo dai neurotrasmettitori ma anche dal riequilibrio metabolico del cervello.
Una nuova frontiera terapeutica
Oggi la maggior parte degli antidepressivi agisce sulla serotonina o sulla noradrenalina, ma non sempre risulta efficace. Intervenire sul metabolismo degli zuccheri cerebrali apre una prospettiva completamente nuova: diagnosi precoci basate su biomarcatori molecolari e terapie personalizzate capaci di agire sul metabolismo neuronale.
Secondo la coautrice Boyoung Lee, «le alterazioni nei processi glicidici cerebrali sono direttamente collegate all’insorgere della depressione. Comprenderne il funzionamento potrebbe rivoluzionare la prevenzione e la cura dei disturbi dell’umore».
Differenze tra uomini e donne
Infine, lo studio ha notato differenze significative tra i sessi: nei modelli maschili il cervello appare più vulnerabile agli squilibri nel metabolismo degli zuccheri, pur mostrando sintomi simili a quelli femminili. Un dato che in futuro potrebbe portare a protocolli terapeutici diversificati per genere.
In sintesi, la depressione potrebbe non essere solo una questione di neurochimica, ma anche di “energia cellulare”. E capire come il cervello utilizza – o spreca – i suoi zuccheri potrebbe rappresentare la chiave per trattamenti più efficaci e personalizzati.
Benessere
Stanchezza, fiato corto, concentrazione a zero: ecco i campanelli d’allarme della carenza di ferro
La carenza di ferro colpisce una persona su quattro nel mondo. Ecco come riconoscerla, chi è più a rischio e quali strategie adottare per prevenirla.
Ti senti esausto anche dopo otto ore di sonno? Ti manca il fiato salendo le scale o fai fatica a concentrarti sul lavoro? Potrebbe trattarsi di una carenza di ferro, uno dei disturbi nutrizionali più diffusi al mondo. Secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, oltre due miliardi di persone ne soffrono: significa che circa un individuo su quattro presenta livelli di ferro inferiori alla norma.
Il ferro è un minerale fondamentale: serve a produrre emoglobina, la proteina dei globuli rossi che trasporta l’ossigeno nel sangue. Quando il corpo non ne riceve abbastanza, i tessuti non vengono adeguatamente ossigenati e compaiono sintomi che, se trascurati, possono evolvere in anemia sideropenica, una condizione che riduce energia e capacità fisica, influendo sulla qualità della vita.
I segnali precoci: quando il corpo avverte
La carenza di ferro non si manifesta all’improvviso. In un primo momento, l’organismo utilizza le riserve di ferritina, la proteina che immagazzina il minerale. Quando anche queste si esauriscono, i segnali iniziano a farsi sentire. I più comuni includono:
- stanchezza persistente, anche dopo il riposo;
- debolezza muscolare;
- mal di testa o capogiri frequenti;
- battito cardiaco accelerato;
- difficoltà di concentrazione o sensazione di “mente annebbiata”.
Molti di questi sintomi vengono confusi con stress o mancanza di sonno, ma se si prolungano nel tempo è bene parlarne con il medico.
Quando l’anemia peggiora
Se la carenza non viene corretta, l’anemia si aggrava e i sintomi diventano più evidenti:
- unghie fragili o che si spezzano facilmente;
- pelle molto pallida;
- affanno anche a riposo;
- lingua gonfia o dolente;
- perdita di capelli;
- movimenti involontari delle gambe durante la notte (sindrome delle gambe senza riposo).
In alcuni casi compare anche la pica, il desiderio di mangiare sostanze non commestibili come ghiaccio o terra: un segnale che indica un deficit marcato di minerali.
Le cause più frequenti
Oltre a un’alimentazione povera di ferro, una delle principali cause è la perdita di sangue, visibile o nascosta. Nelle donne, le mestruazioni abbondanti rappresentano una delle prime fonti di carenza; negli uomini e negli anziani, può trattarsi di micro-sanguinamenti gastrointestinali legati a ulcere, gastriti o uso prolungato di antinfiammatori.
Anche gravidanza, allattamento, crescita evecchiaia sono fasi della vita in cui il fabbisogno di ferro aumenta. A rischio maggiore anche i vegetariani e vegani, che devono integrare con attenzione le fonti vegetali di ferro e vitamina C per facilitarne l’assorbimento.
Diagnosi e trattamento
Per accertare una carenza, il medico può prescrivere esami del sangue come emocromo, ferritina, sideremia e transferrina. I valori di ferritina sono i più indicativi: livelli bassi segnalano che le riserve di ferro si stanno esaurendo.
Nelle forme lievi, la dieta può essere sufficiente a ristabilire l’equilibrio. È consigliato consumare carne rossa magra, legumi, pesce azzurro, verdure a foglia verde, frutta secca e cereali fortificati. Chi segue una dieta vegetale può abbinare gli alimenti ricchi di ferro con fonti di vitamina C, come agrumi o kiwi, che ne migliorano l’assimilazione.
Nei casi più gravi o persistenti, il medico può prescrivere integratori di ferro per via orale o, se necessario, una somministrazione endovenosa.
Ascoltare i segnali del corpo
La carenza di ferro non va sottovalutata: non è solo un problema di energia, ma una condizione che può compromettere il benessere generale. Riconoscere i sintomi e intervenire in tempo permette di recuperare rapidamente forze e concentrazione.
Il messaggio degli esperti è chiaro: ascoltare il proprio corpo è la prima forma di prevenzione. Se la stanchezza diventa la norma e non l’eccezione, è il momento di parlarne con il medico.
Benessere
Crudo è meglio? Tutto quello che c’è da sapere sulla dieta raw food
La dieta raw food promette energia, depurazione e benessere, ma gli esperti avvertono: non tutti gli alimenti danno il meglio di sé senza cottura.
Mangiare crudo non è solo una moda, ma uno stile di vita che negli ultimi anni ha conquistato celebrità, sportivi e influencer. Si chiama raw food diet, o alimentazione crudista, e si basa sul principio che cuocere i cibi oltre una certa temperatura — di solito 42-45°C — ne distrugge le proprietà nutritive, in particolare vitamine, enzimi e antiossidanti.
Chi la segue sostiene di sentirsi più energico, leggero e con una pelle più luminosa. Tuttavia, come accade per molte diete “naturali”, la verità sta nel mezzo: i benefici esistono, ma non mancano i rischi se non si seguono regole precise.
Cosa si mangia nella dieta crudista
La dieta raw food privilegia frutta e verdura fresche, frutta secca, semi, germogli, legumi ammollati, cereali integrali crudi e, in alcune varianti, anche pesce o carne non cotti (come nel sashimi o nel carpaccio). Gli strumenti da cucina più usati non sono fornelli o padelle, ma estrattori, essiccatori e frullatori.
L’obiettivo è preservare i nutrienti nella loro forma originale. La cottura, infatti, può ridurre fino al 30-50% del contenuto di vitamina C o di alcune vitamine del gruppo B. Al tempo stesso, però, non tutti gli alimenti crudi sono più salutari: in certi casi, la cottura migliora la digeribilità o attiva sostanze benefiche, come il licopene del pomodoro o i carotenoidi della carota.
I benefici secondo chi la segue
I sostenitori del crudismo parlano di detossificazione dell’organismo, maggiore energia e riduzione dei processi infiammatori. L’elevato apporto di fibre e la quasi totale assenza di alimenti industriali o raffinati aiutano anche a regolare il peso corporeo e la glicemia.
Inoltre, la dieta raw è spesso associata a una maggiore consapevolezza alimentare: si tende a scegliere prodotti freschi, di stagione e biologici, riducendo l’impatto ambientale.
Uno studio pubblicato sul Journal of Nutrition ha evidenziato che chi segue un’alimentazione crudista tende ad avere livelli più bassi di colesterolo LDL, ma anche una minore densità ossea rispetto a chi consuma cibi cotti — un segnale che un approccio troppo rigido può essere dannoso nel lungo periodo.
I rischi di una dieta “troppo cruda”
Gli esperti di nutrizione, come la Società Italiana di Nutrizione Umana (SINU), sottolineano che un’alimentazione totalmente crudista può risultare squilibrata se non attentamente pianificata. La mancanza di cottura riduce l’assorbimento di alcune proteine e di micronutrienti come ferro, zinco e calcio.
Inoltre, alcuni alimenti crudi possono essere difficili da digerire o contenere batteri e tossine naturali che la cottura normalmente elimina. Per questo, chi adotta questa dieta deve prestare particolare attenzione alla sicurezza alimentare, lavando accuratamente frutta e verdura e preferendo prodotti da agricoltura biologica.
Non meno importante è il rischio di carenze di vitamina B12, presente quasi esclusivamente in alimenti di origine animale, e di proteine complete, soprattutto nelle versioni crudiste vegane.
Il verdetto: equilibrio prima di tutto
La raw food diet può essere un valido strumento per disintossicare l’organismo o aumentare il consumo di vegetali freschi, ma difficilmente può essere sostenuta a lungo termine senza un’attenta integrazione.
Molti nutrizionisti consigliano di adottare un approccio flessibile, alternando cibi crudi e cotti in base alle esigenze nutrizionali e alla stagione. In questo modo si ottengono i vantaggi del crudo — vitamine, fibre, antiossidanti — senza rinunciare alla sicurezza e alla varietà che solo una dieta equilibrata può garantire.
Il “crudo è meglio” funziona solo se non diventa un dogma. La salute non dipende dalla temperatura dei cibi, ma dalla loro qualità, dal modo in cui li combiniamo e dall’equilibrio con cui li portiamo in tavola.
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