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Lifestyle

Caro diario, ecco un anno di buoni propositi: come mantenere i propri obiettivi senza stress

Gennaio è il momento ideale per fissare obiettivi e fare progetti, ma come evitare di abbandonarli a febbraio? Strategie pratiche e spunti motivazionali per un 2025 davvero speciale

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    Caro diario, eccoci al primo gennaio, quel magico momento in cui tutto sembra possibile: perdere peso, leggere di più, risparmiare, magari imparare una nuova lingua o semplicemente rallentare e godersi di più la vita. Ma, diciamocelo, quanti di questi buoni propositi finiscono nel dimenticatoio entro la fine di gennaio? Se anche tu sei nella lista dei propositi non mantenuti, ecco qualche consiglio per trasformare il 2025 in un anno diverso, più concreto e soddisfacente.

    1. Fissa obiettivi realistici
    Iniziare con propositi troppo ambiziosi è il primo passo verso il fallimento. Invece di dire “Voglio perdere 20 chili”, punta su “Voglio mangiare meglio e muovermi di più”. Scomponi i tuoi obiettivi in piccoli passi: sono più facili da raggiungere e ti daranno la carica per proseguire.

    2. Scrivi tutto nero su bianco
    Un diario è il miglior alleato per mantenere i buoni propositi. Scrivere obiettivi e progressi aiuta a chiarire le idee e a mantenere alta la motivazione. Inoltre, rileggere i tuoi successi ti ricorderà quanto sei capace di fare.

    3. Trova un alleato o una community
    Condividere i tuoi obiettivi con un amico o unirti a un gruppo con interessi simili può fare la differenza. Che sia un corso di yoga, un club del libro o un gruppo per risparmiare, il supporto degli altri è fondamentale per restare motivati.

    4. Celebra i piccoli successi
    Ogni passo avanti è una vittoria: festeggiala! Concediti un premio quando raggiungi un traguardo intermedio, come una cena speciale o una giornata di relax. Ti aiuterà a mantenere alta la motivazione.

    5. Non mollare al primo intoppo
    La perfezione non esiste, e va bene così. Hai saltato una settimana di palestra o speso un po’ troppo durante i saldi? Non importa. Torna sui tuoi passi e ricomincia senza sensi di colpa: l’importante è continuare a provarci.

    Esempi di buoni propositi sostenibili per il 2025

    • Crescita personale: dedicare 10 minuti al giorno alla meditazione o alla lettura.
    • Benessere fisico: fare almeno 30 minuti di camminata al giorno.
    • Finanze: risparmiare una piccola somma ogni settimana per un progetto importante.
    • Ambiente: ridurre gli sprechi alimentari o usare meno plastica.

    Un anno di trasformazioni, passo dopo passo
    Non serve stravolgere la propria vita in un giorno: i veri cambiamenti si costruiscono con costanza, pazienza e piccoli passi. Caro diario, il 2025 sarà il tuo anno, e insieme possiamo farcela.

    Che sia un anno pieno di propositi raggiunti e sogni realizzati!

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      Tech

      Smartphone caduto in acqua? Le mosse giuste (e gli errori fatali) da conoscere subito

      Dalle prime azioni da compiere ai falsi miti come il riso: una guida pratica per aumentare le possibilità di salvare il telefono dopo un contatto con l’acqua.

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      Smartphone caduto in acqua

        Un tuffo in piscina, un bicchiere rovesciato, un secondo di distrazione al lavandino: lo smartphone in acqua è uno degli incidenti più comuni dell’era moderna. Nonostante molti modelli recenti siano dotati di certificazione IP67 o IP68 — che indica una certa resistenza a immersione accidentale e schizzi — nessuno di questi dispositivi è realmente “impermeabile”. L’acqua può comunque penetrare all’interno, danneggiando componenti delicatissime come batteria, circuiti e microfoni. Per questo, la rapidità e la correttezza delle prime manovre sono essenziali.

        La prima cosa da fare è spegnere immediatamente il telefono, se non lo ha già fatto da solo. Il contatto tra liquidi e corrente elettrica è ciò che provoca i danni maggiori: interrompere l’alimentazione riduce drasticamente il rischio di cortocircuiti. Subito dopo, occorre rimuovere cover, pellicola, eventuale scheda SIM e microSD: sono tutte parti che trattengono l’umidità e rallentano l’asciugatura.

        Una volta spente le componenti attive, bisogna asciugare delicatamente l’esterno con un panno morbido, senza scuotere lo smartphone. Molti lo fanno d’istinto, ma è un errore: scuoterlo può spingere l’acqua ancora più in profondità, raggiungendo zone non ancora contaminate. Allo stesso modo, smartphone bagnato e phon acceso non vanno d’accordo. L’aria calda può deformare le parti interne, soprattutto degli schermi, e spingere la condensa verso l’interno.

        Altro mito da sfatare: il riso. Nonostante sia un rimedio molto diffuso online, non esistono prove scientifiche che il riso acceleri davvero l’evaporazione dell’umidità interna. I tecnici confermano che il riso assorbe appena una minima parte dell’acqua superficiale e può addirittura lasciare polvere o residui nei connettori. Meglio optare per i sacchetti di gel di silice (come quelli che si trovano nelle scatole delle scarpe), realmente utili per assorbire l’umidità. Se disponibili, possono aiutare a velocizzare l’asciugatura passiva.

        La regola più importante, però, è lasciar riposare il dispositivo per almeno 24-48 ore prima di tentare una riaccensione. Accendere lo smartphone troppo presto, anche se sembra asciutto, equivale spesso a “condannarlo” definitivamente. In caso di immersione in acqua salata, la situazione è più complessa: il sale causa corrosione rapida, quindi è consigliabile sciacquare il telefono solo esternamente con acqua dolce prima di asciugarlo, per rimuovere i cristalli salini. Poi va portato il prima possibile in un centro assistenza.

        Una verifica tecnica resta comunque l’opzione più sicura. I centri specializzati dispongono di strumenti per rimuovere l’umidità residua e valutare eventuali danni invisibili — come ossidazioni sui circuiti — che nel tempo possono causare malfunzionamenti o spegnimenti improvvisi.

        In sintesi, un incidente in acqua non significa automaticamente addio allo smartphone. Con le giuste precauzioni, molte persone riescono a salvarlo senza conseguenze. L’importante è agire in fretta, evitare i rimedi fai-da-te più rischiosi e, se necessario, affidarsi a un professionista. Perché, in questi casi, la calma è davvero la miglior alleata.

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          Lifestyle

          Dire no senza sensi di colpa: perché è così difficile e come iniziare

          Molte persone faticano a rifiutare una richiesta d’aiuto e si sentono in colpa quando provano a farlo. Le ragioni sono psicologiche e radicate, ma con alcuni esercizi pratici è possibile imparare a stabilire confini sani.

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          Dire no

            Ti è mai capitato di trovarti incapace di rifiutare un favore, anche quando non avevi tempo, energie o voglia? Se ti senti in colpa solo all’idea di dire “no”, sappi che non sei affatto solo. Molti vivono con il timore di deludere gli altri, di sembrare egoisti o di compromettere un rapporto. È un comportamento comune, spesso automatico, ma che a lungo andare porta a stress, sovraccarico e frustrazione.

            La difficoltà nel porre limiti personali ha radici psicologiche precise. Una delle cause più diffuse è il bisogno di approvazione: si teme che dire di no possa compromettere il giudizio altrui. Alcune persone crescono in contesti familiari dove essere disponibili a ogni costo è visto come un “dovere morale”. Altre, invece, temono il conflitto e preferiscono piegarsi alle richieste pur di evitare tensioni. Tutti questi fattori fanno sì che aiutare diventi un riflesso più che una scelta consapevole.

            Il risultato? Ritrovarsi esausti, sovraccarichi e spesso risentiti. A forza di mettere i bisogni degli altri al primo posto, si perde contatto con i propri. Dire sempre sì, infatti, non è un atto di altruismo: può diventare un modo per annullarsi. Imparare a dire no significa recuperare spazio per respirare, scegliere, pensare e vivere in modo più autentico.

            Come si può, quindi, iniziare a costruire confini più sani senza essere travolti dal senso di colpa? Il primo passo è riconoscere il proprio diritto a dire di no. Non siamo obbligati a soddisfare ogni richiesta. La disponibilità è un valore solo se è libera, non se nasce dalla paura.

            Un altro metodo efficace è prendere tempo prima di rispondere. Dire: “Fammi controllare e ti dico”, o “Ci penso un attimo” aiuta a valutare davvero se si ha modo di aiutare. Riduce l’impulso a dire sì e dà la possibilità di ascoltare le proprie esigenze.

            È utile anche imparare a formulare un no gentile ma fermo. Ecco alcuni esempi:

            • “Mi dispiace, ma non posso occuparmene.”
            • “In questo periodo ho già diversi impegni.”
            • “Vorrei aiutarti, ma non ce la faccio.”
              Queste frasi rispettano l’altro senza mettere da parte se stessi. Non servono scuse elaborate: la chiarezza è più efficace del tentativo di giustificarsi.

            Un altro passo importante è accettare il disagio iniziale. Chi non è abituato a rifiutare può sentirsi in colpa le prime volte. È normale: è il risultato di abitudini radicate. Ma il senso di colpa diminuisce con la pratica, soprattutto quando si vede che gli altri continuano a rispettarci e che i rapporti non si spezzano — anzi, spesso migliorano.

            Infine, imparare a dire no è più facile se si coltivano spazi personali di cura: riposo, tempo libero, hobby, momenti di decompressione. Quando la propria vita è più equilibrata, anche i confini diventano più chiari.

            Riscoprire i limiti, stabilirli e proteggerli è un atto di rispetto verso se stessi. Non è egoismo: è la base per relazioni sane, autentiche e reciproche. E se fino a oggi hai avuto difficoltà, non significa che non puoi cambiare. Dire no è un’abilità, e come tutte le abilità si può imparare, un passo alla volta.

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              Lifestyle

              Quando l’amore resta nell’ombra: che cos’è davvero il “pocketing” e perché può danneggiare una relazione

              Timore dell’impegno, privacy o insicurezze: le ragioni dietro questo comportamento sono molteplici. Gli esperti avvertono però che la dissimulazione prolungata può minare autostima e fiducia di coppia.

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              pocketing

                Nel panorama delle relazioni moderne, modellate dai social network e dalla condivisione continua della vita privata, esiste un fenomeno che sta attirando crescente attenzione: il pocketing. Il termine, derivato dall’inglese pocket (tasca), descrive la tendenza a “tenere nascosta” una relazione. Evitando di presentare il partner ad amici, familiari o colleghi, e omettendo qualunque segno della sua esistenza anche sui social.

                Il pocketing non è sempre un comportamento intenzionale o manipolatorio. Spesso nasce da insicurezze personali: la paura di impegnarsi dopo relazioni finite male, il timore del giudizio da parte del proprio ambiente sociale. Oppure la difficoltà nel gestire nuove emozioni quando la relazione è ancora in fase iniziale. In altri casi, invece, la dissimulazione può celare dinamiche più problematiche, come il desiderio di mantenere aperte altre possibilità sentimentali o l’incapacità di assumersi una responsabilità affettiva chiara.

                Esistono tuttavia anche motivazioni più innocue. Alcune persone, semplicemente, sono molto riservate: preferiscono mantenere la vita privata lontana dagli occhi altrui, indipendentemente dal valore che attribuiscono alla relazione. Oppure vivono contesti familiari complessi, nei quali introdurre un nuovo partner comporta pressioni o aspettative indesiderate.

                Gli indicatori del pocketing sono piuttosto chiari. Tra i segnali più frequenti vi sono l’assenza totale di foto o riferimenti alla relazione sui social, la scelta sistematica di luoghi appartati o poco frequentati per uscire insieme, il rifiuto di presentare il partner alla propria cerchia sociale o, peggio ancora, la tendenza a definirlo semplicemente un amico. Un altro campanello d’allarme è rappresentato dalle scuse continue quando si propone di incontrare le persone significative della vita dell’altro.

                Secondo psicologi e consulenti relazionali, riconoscere il fenomeno è fondamentale per prevenire ricadute emotive. Essere mantenuti ai margini può generare insicurezza, dubbi sulla propria importanza e una percezione distorta del legame, minando progressivamente l’autostima. È per questo che gli esperti suggeriscono di affrontare apertamente la questione, spiegando come ci si sente e chiedendo chiarezza sulle intenzioni.

                La conversazione è spesso sufficiente a dissipare malintesi, soprattutto quando la causa è semplicemente la timidezza o la necessità di più tempo. Ma se le spiegazioni diventano vaghe e la situazione non cambia, potrebbe essere necessario interrogarsi sul futuro della relazione. Una coppia che non trova uno spazio pubblico — anche minimo — per esistere rischia infatti di vivere su basi fragili, prive di quella trasparenza e reciprocità essenziali per costruire un rapporto sano.

                Il pocketing, in definitiva, non è sempre un segnale di allarme, ma può trasformarsi in un campanello importante. In un’epoca in cui tutto viene condiviso con facilità, scegliere di nascondere chi amiamo dovrebbe essere una decisione consapevole, non un’abitudine che ferisce chi ci sta accanto.

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