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Cucina

Le 20 migliori zuppe del mondo secondo la CNN: un viaggio tra sapori unici (senza l’Italia)

Questa classifica rappresenta un viaggio culinario senza confini, dove ogni piatto racconta una storia e un territorio. Non resta che mettersi ai fornelli e provare a cucinare una di queste meraviglie!

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    L’arte della zuppa attraversa i confini e racconta la cultura dei popoli. CNN Travel ha stilato una classifica delle 20 migliori zuppe del mondo, un giro del pianeta all’insegna di sapori esotici e tradizioni culinarie. L’Italia, sorprendentemente, non figura nella lista, lasciando spazio a paesi come la Nigeria, il Vietnam e il Brasile, fino ai classici europei di Francia e Spagna. Scopriamo insieme i piatti che hanno conquistato la vetta di questa classifica.

    Le zuppe africane: sapori intensi e tradizioni millenarie

    • Banga (Nigeria): Originaria del delta del Niger, questa zuppa mescola pesce gatto fresco, frutti di mare e manzo essiccato con frutti di palma e spezie locali come la noce moscata africana e i semi di ricino.
    • Chorba Frik (Nord Africa): Algeria, Libia e Tunisia condividono questa ricetta a base di carne, verdure e frik, un grano verde tostato dal sapore inconfondibile.
    • Zuppa di arachidi (Africa occidentale): Diffusa in Nigeria, Ghana e Sierra Leone, questa zuppa a base di arachidi si arricchisce con pesce, carne o pollo.

    Europa: pochi, ma iconici piatti

    • Bouillabaisse (Francia): Simbolo di Marsiglia, include una varietà di pesci e frutti di mare, aromatizzati con zafferano e spezie mediterranee.
    • Caldo Verde (Portogallo): Zuppa semplice ma gustosa a base di cavolo verde, patate e chouriço affumicato.
    • Gazpacho (Spagna): Una zuppa fredda perfetta per l’estate, con pomodori, cetrioli, peperoni e olio d’oliva.
    • Borscht (Ucraina/Europa dell’Est): Un’icona ucraina a base di barbabietola, spesso servita con panna acida.

    Asia: il regno delle spezie e dei noodles

    • Pho Bo (Vietnam): Famosissima zuppa vietnamita con brodo di manzo, noodles di riso e un mix di erbe fresche.
    • Tom Yum Goong (Thailandia): Esplosione di sapori dolci, acidi, salati e piccanti, con gamberi e citronella.
    • Tonkatsu Ramen (Giappone): Un classico giapponese con brodo di ossa di maiale e noodles ricchi di sapore.
    • Lanzhou Lamian (Cina): Brodo di manzo con noodles freschi e un trionfo di spezie aromatiche.
    • Mohinga (Birmania): Brodo di pesce con noodles e farina di riso tostato.

    Le zuppe delle Americhe

    • Chupe de camarones (Perù): Una zuppa dai poteri afrodisiaci con gamberi, mais e patate delle Ande.
    • Gumbo (Stati Uniti): Dalla Louisiana, una ricetta che mescola pesce, crostacei, pollo e salsiccia, con varianti che includono okra o foglie di sassofrasso.
    • Moqueca de camarão (Brasile): Brodo di cocco con gamberi dolci e olio di palma, tipico di Salvador do Bahia.
    • Menudo (Messico): Zuppa piccante di trippa e mais hominy, con coriandolo e peperoncino.

    Medio Oriente e Turchia

    • Harira (Marocco): Un piatto speziato a base di ceci, pomodoro e carne di agnello.
    • Kharcho (Georgia): Un mix unico di manzo, noci e salsa di prugne acerbe, arricchito da spezie locali.
    • Yayla Çorbasi (Turchia): Una zuppa leggera di yogurt, riso o orzo e menta secca.

    Questa classifica rappresenta un viaggio culinario senza confini, dove ogni piatto racconta una storia e un territorio. Non resta che mettersi ai fornelli e provare a cucinare una di queste meraviglie!

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      Cucina

      Monte Bianco, il dolce che profuma d’autunno: storia e ricetta del dessert più elegante delle Alpi

      Un classico intramontabile della pasticceria francese e italiana, nato dall’incontro tra castagne, panna e zucchero a velo. Il Mont Blanc conquista per la sua semplicità raffinata e per il sapore avvolgente che sa di bosco e di ricordi d’infanzia.

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      Mont Blanc

        È il simbolo della stagione fredda, quando i castagni regalano i loro frutti migliori e le prime nevi imbiancano le cime alpine. Il Monte Bianco, o Mont Blanc, è un dessert che racchiude nella sua semplicità tutto il fascino dell’autunno. Una montagna di dolcezza fatta di purea di castagne, panna montata e zucchero a velo che ricorda, nella forma, il celebre massiccio al confine tra Italia e Francia. Ma dietro la sua apparente semplicità si nasconde una storia lunga e affascinante, fatta di contaminazioni culinarie, eleganza e profumi di casa.

        Origini tra Francia e Italia: un dessert “di confine”

        Come per molti piatti storici, anche il Monte Bianco vanta origini contese. In Francia, dove è conosciuto come Mont Blanc aux marrons, viene attribuito alla tradizione piemontese e savoiarda, ma si è presto trasformato in un dolce simbolo della pasticceria parigina del XIX secolo.
        In Italia, invece, il Monte Bianco è considerato un orgoglio piemontese e valdostano, preparato fin dal Settecento nelle case borghesi e nei caffè storici di Torino. La leggenda vuole che la ricetta nasca come omaggio alla montagna più alta d’Europa, trasformata in un dessert scenografico in grado di celebrare la natura e la maestosità delle Alpi.

        Un dolce di castagne, ma anche di pazienza

        Alla base del Monte Bianco ci sono castagne di ottima qualità, preferibilmente quelle dei boschi piemontesi o toscani. Dopo essere state lessate con latte, vaniglia e un pizzico di sale, vengono passate finemente per ottenere una purea morbida, che poi viene dolcificata con zucchero e, secondo alcune versioni, aromatizzata con rum o cacao.
        La purea viene quindi modellata in sottili fili che, sovrapposti a spirale, formano la tipica “montagnetta”. Sopra, un generoso strato di panna montata fresca e una spolverata di zucchero a velo ricreano l’effetto della neve.

        «Il segreto di un buon Monte Bianco è la texture», spiega lo chef pasticcere torinese Luca Montersino. «La purea non deve essere né troppo asciutta né troppo liquida, e la panna va montata con delicatezza, per mantenerla leggera. È un equilibrio di consistenze: la morbidezza delle castagne incontra la leggerezza della panna, creando un contrasto armonioso».

        La ricetta tradizionale del Monte Bianco

        Ingredienti per 6 persone:

        • 600 g di castagne fresche o 400 g di castagne lessate
        • 250 ml di latte intero
        • 100 g di zucchero semolato
        • 1 baccello di vaniglia
        • 1 cucchiaio di rum o di brandy (facoltativo)
        • 300 ml di panna fresca da montare
        • 2 cucchiai di zucchero a velo
        • un pizzico di sale

        Preparazione:

        1. Incidere le castagne e lessarle per circa 30 minuti in acqua bollente. Una volta cotte, pelarle con cura e metterle in un tegame con il latte, la vaniglia e lo zucchero. Cuocere a fuoco basso fino a ottenere una consistenza cremosa.
        2. Eliminare la vaniglia e passare le castagne al setaccio o al passaverdura. Aggiungere il rum, se gradito.
        3. Disporre la purea su un piatto da portata e, con l’aiuto di uno schiacciapatate o di una sacca da pasticceria con beccuccio sottile, formare i classici fili di castagne che ricordano una montagna.
        4. Montare la panna con lo zucchero a velo e distribuirla a ciuffi sopra la purea. Spolverare infine con altro zucchero a velo per l’effetto “innevato”.

        Il dolce si serve freddo, ma non ghiacciato, per apprezzarne la morbidezza.

        Le varianti moderne del Monte Bianco

        Oggi, accanto alla versione classica, ne esistono diverse reinterpretazioni. Alcuni chef propongono una versione scomposta in bicchiere, con strati alternati di castagne e panna, altri aggiungono cioccolato fondente o marrons glacés per una nota più golosa. In Giappone, il Mont Blanc è diventato un fenomeno di culto: la base di castagne viene sostituita da purea di patate dolci o da tè matcha, dando vita a dolci colorati e raffinati.

        Un dessert che unisce tradizione e poesia

        Il Monte Bianco è più di un dolce: è una piccola opera d’arte che racchiude l’essenza dell’autunno, tra profumi di bosco e ricordi di infanzia. È il comfort food che scalda il cuore nelle giornate fredde e che, nonostante il suo aspetto scenografico, racconta una semplicità antica, fatta di ingredienti poveri e gesti lenti.
        Forse è per questo che, dopo secoli, continua a essere amato in tutta Europa: perché ogni cucchiaiata sa di casa, di neve e di tempo ritrovato.

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          Vin brulé, il profumo dell’inverno: la ricetta tradizionale che scalda corpo e spirito

          Cannella, chiodi di garofano e agrumi: pochi ingredienti bastano per creare la magia del vin brulé, la bevanda che unisce tradizione, convivialità e aromi irresistibili.

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          Vin brulé

            Un rituale d’inverno che sa di casa e mercatini

            Quando le giornate si accorciano e l’aria si fa pungente, basta un bicchiere di vin brulé per ritrovare calore e buonumore. Simbolo per eccellenza dei mercatini di Natale e delle serate in montagna, questo vino rosso speziato è molto più di una bevanda: è un piccolo rito che profuma di agrumi e cannella, capace di evocare ricordi e tradizioni secolari.

            Il nome “vin brulé” deriva dal francese vin brûlé, cioè “vino bruciato”, un riferimento alla bollitura del vino con spezie e zucchero. In realtà, le sue origini affondano molto più indietro nel tempo: già gli antichi Romani aromatizzavano il vino con miele e spezie per conservarlo e renderlo più gradevole. Nel Medioevo la ricetta si diffuse in tutta Europa, assumendo varianti locali: dal Glühwein tedesco e austriaco al Mulled Wine inglese, fino al vin chaud francese.

            La ricetta tradizionale del vin brulé

            Realizzare un buon vin brulé in casa è semplice, ma richiede attenzione nella scelta degli ingredienti e nella cottura, per non perdere gli aromi del vino e delle spezie.

            Ingredienti per 4 persone:

            • 1 litro di vino rosso corposo (ideale un Merlot, un Nebbiolo o un Barbera)
            • 100 g di zucchero di canna
            • 1 arancia non trattata
            • 1 limone non trattato
            • 2 stecche di cannella
            • 5 chiodi di garofano
            • 1 baccello di vaniglia (facoltativo)
            • una grattugiata di noce moscata
            • 1 stella di anice (per decorare e profumare)

            Come prepararlo passo dopo passo

            1. Preparare gli aromi: lavate accuratamente gli agrumi e tagliate la buccia a spirale, evitando la parte bianca che darebbe amarezza.
            2. Scaldare il vino: in una casseruola capiente versate il vino rosso, aggiungete zucchero, spezie e scorze di agrumi.
            3. Cottura lenta: accendete il fuoco e lasciate scaldare a fiamma bassa, senza far bollire troppo, per circa 10-15 minuti. Il segreto è non superare gli 80°C, per evitare che l’alcol evapori del tutto e che il vino diventi acido.
            4. Filtrare e servire: togliete le spezie con un colino, versate il vin brulé bollente in tazze o bicchieri resistenti al calore e servite subito, decorando con una fetta d’arancia o una stecca di cannella.

            Le varianti regionali e moderne

            Ogni regione alpina custodisce una sua versione del vin brulé. In Trentino-Alto Adige si usa spesso aggiungere una punta di grappa o di miele di montagna, mentre in Piemonte qualcuno profuma il vino con bacche di ginepro o pepe nero. Nelle versioni francesi e inglesi, invece, si trovano ingredienti come zenzero fresco, cardamomo o alloro, che aggiungono complessità aromatica.

            Per chi non consuma alcol, esiste anche la variante analcolica: basta sostituire il vino con del succo d’uva o di mela, seguendo la stessa ricetta e lasciando che le spezie sprigionino tutto il loro profumo.

            Un bicchiere di tradizione che unisce

            Il vin brulé è una bevanda conviviale, da condividere all’aperto tra luci natalizie, oppure a casa davanti al camino. Oltre al piacere sensoriale, ha anche un effetto benefico: le spezie riscaldano l’organismo e favoriscono la digestione, mentre il vino, consumato con moderazione, rilassa e distende.

            Nel suo profumo si ritrovano i sapori dell’inverno, la lentezza delle feste e il piacere di stare insieme. Prepararlo è un gesto semplice, ma dal potere evocativo: un brindisi alla tradizione, alla convivialità e al calore che non passa mai di moda.

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              Riccardo Giraudi: «Vent’anni di Beefbar. E a Parigi ho fatto mangiare pesto con aglio a Rihanna»

              Dal Black Angus “troppo caro” a un impero da 40 ristoranti. L’imprenditore genovese racconta aneddoti, sfide e successi del suo brand globale.

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                Ha trasformato una carne da intenditori in un marchio globale, portando la bistecca nell’Olimpo del lusso. Riccardo Giraudi, genovese di nascita e cosmopolita per vocazione, celebra i vent’anni del Beefbar, catena che oggi conta quaranta insegne sparse in tutto il mondo, da Monaco a Parigi, da Milano a New York.

                «Monaco è stata l’origine, Parigi straordinaria, New York una sfida vinta. Ma la città che mi ha dato più soddisfazioni resta Milano», racconta con orgoglio. E nel ripercorrere il cammino che l’ha portato a reinventare il concetto di steakhouse, Giraudi non dimentica gli aneddoti che hanno fatto la differenza. «L’anno scorso, a Parigi, stavo aprendo Zeffirino, lo storico ristorante genovese che Frank Sinatra rese celebre negli anni Sessanta. È arrivata Rihanna, ha chiuso il locale per un after show privato. Ha mangiato pesto, quello classico con l’aglio, e A$AP Rocky, il suo fidanzato, è sceso in cucina perché non ci credeva. Si è messo a cucinarlo lui stesso. Un momento surreale e bellissimo».

                Per lui, che si definisce un «eretico» della ristorazione, la chiave è stata ribaltare le regole: «Quando ho cominciato, il Black Angus era considerato troppo caro per il mercato. Io ho deciso di farne un’esperienza. Il Beefbar non è solo carne: è un modo di vivere, un viaggio tra lusso e convivialità».

                Un brand che ha saputo attraversare mode e sfide. Dai prezzi discussi al confronto con i trend veg, Giraudi non si è mai tirato indietro. «Non serve inventarsi storytelling quando un marchio ce l’ha già. Mi piace risvegliare belle addormentate come Zeffirino, che hanno un’eredità forte. È più difficile che creare da zero, ma molto più affascinante».

                Oggi i suoi ristoranti attraggono celebrity, imprenditori e gourmand di mezzo mondo. E il futuro? «Continuare a crescere senza perdere autenticità. La carne resta il cuore, ma l’esperienza è ciò che fa davvero la differenza».

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