Cucina
Le specialità filippine che mettono alla prova anche gli stomaci più temerari
Dai vermi di legno all’embrione bollito, un viaggio tra le pietanze più estreme della cucina filippina. E tra gli increduli c’è anche il cast di Pechino Express.
Se esiste un modo per testare il proprio coraggio culinario, le Filippine offrono un intero menù di sfide per stomaci d’acciaio. In un Paese in cui la cucina è un tripudio di sapori intensi, spezie e piatti di strada, alcune specialità riescono ancora a far vacillare anche i palati più avventurosi. Ne sanno qualcosa i concorrenti di Pechino Express – Fino al tetto del mondo, che nel corso della loro avventura tra le Filippine e il Nepal si sono ritrovati davanti a una delle prove più temibili: ingoiare i tamilok, noti anche come vermi di legno.
E se il nome già basta per far passare la fame, aspettate di scoprire cos’altro bolle nelle pentole filippine.
Tamilok, i vermi che sanno di ostriche
Lo sguardo perplesso dei concorrenti di Pechino Express quando si sono trovati davanti i tamilok diceva già tutto. Molluschi dall’aspetto inquietante, lunghi fino a quindici centimetri, dall’inconfondibile consistenza gelatinosa, vengono serviti crudi e marinati con aceto, lime e peperoncino, per esaltarne il sapore—che, dicono, ricorda vagamente quello delle ostriche. Peccato che l’esperienza gustativa sia accompagnata dalla consapevolezza che si tratta di larve che perforano il legno sommerso, come dei tarli marini.
Per la tribù locale dei Cuyunon, però, sono una vera prelibatezza, tanto da essere serviti nei matrimoni e nelle occasioni speciali. Un po’ come un piatto di gamberi freschi. Solo molto, molto più viscido.
Balut: quando l’uovo è già a metà strada per diventare pulcino
Se i tamilok non hanno ancora fatto chiudere il menù, ecco il balut, il vero incubo di chiunque non sia nato e cresciuto nelle Filippine. In apparenza, sembra un normale uovo bollito. Ma basta romperne il guscio per scoprire che dentro non c’è un semplice tuorlo, bensì un embrione di anatra o gallina, parzialmente sviluppato. Zampe, becchino, ossa morbide: tutto lì, pronto per essere divorato in un sol boccone, possibilmente accompagnato da una birra gelata per distrarsi dal trauma.
Nella cultura filippina, il balut è uno snack proteico e viene venduto per strada proprio come da noi i cartocci di caldarroste. Ma nei paesi occidentali la sua esistenza è fonte di indignazione, al punto che più di qualcuno ne chiede il bando per motivi etici. D’altra parte, l’idea di addentare un pulcino a metà del suo percorso esistenziale è un po’ più difficile da digerire rispetto a una normale frittata.
Sisig di coccodrillo: perché accontentarsi del pollo?
Chiunque pensi che il coccodrillo sia solo un animale da documentario non è mai stato nelle Filippine. Qui la sua carne finisce nel sisig, un piatto tradizionale che normalmente si prepara con maiale o pollo, ma che nella sua versione più audace viene cucinato con la carne del rettile. Il processo è meticoloso: prima la bollitura, poi la marinatura in aceto o limone, infine la frittura con cipolle e spezie.
Il risultato? Un sapore che somiglia al pollo ma con una consistenza più gommosa, che potrebbe scoraggiare chi ama tagli teneri e succosi. Ma per i filippini è una specialità, così tanto che il sisig di coccodrillo viene venduto spesso a prezzi più alti rispetto alla variante classica.
Mango pizza: il tradimento definitivo alla tradizione italiana
Dopo i vermi, l’embrione bollito e il coccodrillo fritto, potrebbe sembrare che nulla possa più scandalizzare il palato. E invece ecco la mango pizza, un affronto culinario che farebbe rabbrividire qualsiasi pizzaiolo napoletano.
Dimenticate l’odiata pizza con l’ananas: qui il mango non è un semplice topping, ma prende direttamente il posto della passata di pomodoro. Il risultato è una margherita dal colore dorato, in cui il formaggio fuso si mescola alla dolcezza del frutto tropicale.
A confronto con le altre specialità filippine, la mango pizza è sicuramente la meno traumatica, ma resta il fatto che, per chi è cresciuto nel culto della vera pizza italiana, questo potrebbe essere l’ultimo tradimento gastronomico accettabile.
Sfida o follia?
In fondo, ogni cucina ha le sue peculiarità e ciò che sembra disgustoso per alcuni è considerato normale per altri. Ma è innegabile che certe tradizioni culinarie siano più difficili da accettare di altre. E le Filippine sembrano avere un talento speciale nel trasformare gli incubi alimentari in piatti tipici.
Se siete tra quelli che storcono il naso davanti a una pizza con l’ananas, provate a immaginare come potrebbe essere trovarsi davanti un piatto di tamilok crudi o un balut pronto per essere scoperchiato. Magari, dopo un viaggio nelle Filippine, quella pizza al mango inizierà a sembrarvi una scelta tutto sommato accettabile.
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Cucina
Crumble di mele, cannella e noci: il dolce autunnale croccante fuori e morbido dentro che accompagna le sere più fredde
Burro, zucchero, farina e frutta di stagione: pochi ingredienti per un dolce che profuma di casa e si prepara in pochi minuti. Il crumble di mele e noci conquista con il contrasto tra la superficie croccante e il ripieno morbido e speziato.
Il dolce del tepore domestico
C’è un momento, in autunno, in cui si riscopre il piacere delle ricette che scaldano lo spirito. Il crumble di mele, cannella e noci è uno di quei dolci che parlano di casa, di forno acceso, di stoviglie calde tra le mani. È un classico della tradizione anglosassone, ma da anni ha trovato una seconda patria anche sulle nostre tavole: semplice da preparare, goloso senza esagerare, perfetto dopo una cena o come merenda pomeridiana nelle giornate di pioggia.
Ingredienti semplici, risultato straordinario
Alla base c’è la mela, regina dell’autunno. Varietà croccanti e leggermente acidule — dalle Granny Smith alle Golden più profumate — sono l’ideale per ottenere una consistenza morbida ma non sfatta. A completare la farcia, un pizzico di cannella, zucchero di canna e una spruzzata di limone che esalta il gusto e mantiene vivo il colore. Il crumble vero e proprio è una sabbia dorata: farina, burro freddo, zucchero e noci tritate grossolanamente. La magia è tutta nel contrasto: morbido sotto, croccante sopra.
Come si prepara
Si pelano e tagliano le mele a cubetti, si mescolano con cannella, zucchero e limone, poi si adagiano sul fondo di una pirofila. In una ciotola si lavora velocemente la farina con il burro a pezzetti e lo zucchero, senza compattare troppo l’impasto: la consistenza deve rimanere granulosa, quasi briciolosa. Si aggiungono le noci spezzate a mano e si distribuisce tutto sulla frutta. Il forno farà il resto: temperatura moderata e circa mezz’ora, finché la superficie non diventa dorata e fragrante e il ripieno comincia a sobbollire ai bordi.
Servirlo è un rito
Il crumble si gusta caldo, appena sfornato, con il suo aroma speziato che riempie la cucina. C’è chi lo ama da solo, chi lo accompagna con una cucchiaiata di panna semimontata, chi preferisce la freschezza di uno yogurt cremoso. I più golosi aggiungono una pallina di gelato alla vaniglia che si scioglie lentamente nella crema di mele. È un dolce che non richiede perfezione, solo cura. E che regala quella sensazione di benessere semplice, come una coperta morbida sulle spalle o una tazza fumante tra le dita.
Cucina
Cachi vaniglia: il dolce tesoro della Campania che profuma d’autunno
Tra i prodotti agroalimentari tradizionali della Campania, il caco vaniglia si distingue per il suo gusto unico e per la versatilità in cucina. Scopriamo dove nasce, come riconoscerlo e perché fa bene alla salute.
Chiunque viva in Campania sa che l’autunno porta con sé un profumo inconfondibile: quello dei cachi vaniglia, frutti dolcissimi e succosi, considerati una vera eccellenza del territorio. Questa varietà, appartenente alla specie Diospyros kaki, è inserita tra i Pat – i Prodotti Agroalimentari Tradizionali italiani – ed è coltivata soprattutto nelle province di Napoli e Salerno, tra l’area vesuviana, l’agro Acerrano-Nolano e la zona Sarnese-Nocerino.
Le condizioni pedoclimatiche di questi territori – terreni vulcanici, clima mite e ventilato – sono ideali per la crescita di questo frutto, che arriva sui mercati tra fine ottobre e inizio novembre. Il caco vaniglia si riconosce subito: la sua forma è tonda e leggermente appiattita, la buccia sottile assume tonalità dal giallo-arancio al rosso intenso a seconda della maturazione, mentre la polpa, di colore ambrato o bruno-rossastro, è tenera, dolce e punteggiata da semi.
Nonostante il nome, la vaniglia non c’entra nulla con la botanica del frutto: l’appellativo deriva semplicemente dalle note aromatiche calde e rotonde che ricordano la celebre spezia, e che rendono questa varietà unica per profumo e delicatezza.
Un concentrato di energia e benessere
Dal punto di vista nutrizionale, il caco vaniglia è un piccolo scrigno di vitamine e sali minerali. In 150 grammi si trovano circa 105 calorie, fornite soprattutto da zuccheri naturali, ma bilanciate da un alto contenuto d’acqua e fibre. È ricco di vitamina C e betacarotene, precursore della vitamina A, che contribuisce alla salute di pelle e vista.
Studi condotti su varietà italiane di kaki (tra Lazio, Campania, Puglia e Sicilia) confermano la presenza di pectina e fibre solubili, sostanze che aiutano a regolare l’assorbimento degli zuccheri e a controllare i livelli di colesterolo nel sangue. Inoltre, il frutto fornisce potassio – circa 250 mg ogni 150 grammi – utile per il controllo della pressione arteriosa e per il corretto funzionamento dei muscoli.
Grazie al basso contenuto di sodio e all’effetto diuretico, i cachi vaniglia sono perfetti per contrastare la ritenzione idrica. Tuttavia, chi soffre di diabete o segue regimi alimentari controllati dovrebbe consumarli con moderazione, sempre dopo aver consultato il proprio medico o nutrizionista.
Un frutto che si gusta in ogni fase di maturazione
Una delle caratteristiche più apprezzate dei cachi vaniglia è la loro versatilità: possono essere mangiati sia sodi che morbidi, a seconda delle preferenze. A differenza dei cosiddetti “cachi tipo” (come il Loto di Romagna), che devono maturare in cassette per perdere l’astringenza dovuta ai tannini, i vaniglia sono commestibili appena raccolti.
Il segreto sta nell’impollinazione: nelle coltivazioni campane si piantano alberi maschili accanto a quelli femminili, così i frutti risultano naturalmente dolci e non “allappano”.
Quando sono più compatti, i cachi vaniglia sono perfetti in macedonie, yogurt, porridge o insalate autunnali. Se invece sono ben maturi, diventano ideali per frullati, dolci da forno o confetture profumate, magari da abbinare a formaggi stagionati o salumi per un contrasto agrodolce tipicamente mediterraneo.
Un simbolo d’autunno da riscoprire
Il caco vaniglia è molto più di un frutto stagionale: è un emblema della cultura contadina campana, un’eredità che racconta di terre fertili e di saperi antichi. Oggi sempre più aziende agricole lo coltivano secondo metodi sostenibili, preservando una varietà che rischiava di essere dimenticata.
Dolce, aromatico e benefico, questo frutto rappresenta una delle eccellenze italiane dell’autunno, capace di unire gusto e salute. Portarlo in tavola significa assaporare non solo la sua polpa vellutata, ma anche un pezzo autentico della tradizione agricola campana.
Cucina
Kombucha: l’antico tè fermentato che conquista il wellness contemporaneo
Amato dalle star e dagli appassionati di healthy living, il kombucha promette benefici digestivi e antinfiammatori. Tuttavia, non tutti i prodotti in commercio sono uguali: ecco cosa sapere prima di sceglierlo e come consumarlo in modo corretto.
Da qualche anno il kombucha è entrato nella lista dei superfood più trendy. A spingerlo sotto i riflettori non sono solo i Millennials – sempre più attenti all’alimentazione funzionale – ma anche celebrity come Madonna, Halle Berry e Gwyneth Paltrow, che lo hanno inserito nella loro routine quotidiana. Dietro il fascino esotico di questa bevanda, tuttavia, si nasconde una lunga storia millenaria e una base scientifica in parte ancora da approfondire.
Il kombucha è un tè nero o verde fermentato, leggermente dolce e frizzante, ottenuto grazie a una coltura simbiotica di batteri e lieviti, nota come Scoby (Symbiotic Colony of Bacteria and Yeast). È proprio questo “dischetto gelatinoso” a dare il via alla fermentazione, che trasforma lo zucchero in acidi organici, gas e piccole quantità di alcol, conferendo al kombucha il suo gusto particolare e le proprietà probiotiche.
Un tè antico, una moda moderna
Le origini del kombucha risalgono alla Cina del III secolo a.C., dove era considerato un “elisir di lunga vita”. La bevanda si diffuse poi in Russia e in Europa orientale all’inizio del Novecento, fino ad arrivare in Occidente come simbolo di benessere naturale.
Oggi la sua popolarità è legata al crescente interesse verso il microbiota intestinale, ossia l’insieme dei microrganismi che popolano l’intestino e influenzano non solo la digestione, ma anche il sistema immunitario e l’umore.
Secondo uno studio pubblicato nel 2021 su Critical Reviews in Food Science and Nutrition, il kombucha può favorire la proliferazione di batteri “buoni” come i Lactobacillus, utili per il corretto equilibrio intestinale e per la riduzione di infiammazioni lievi. Tuttavia, la comunità scientifica invita alla cautela: i benefici documentati sono ancora limitati e dipendono dalla qualità del prodotto e dalle abitudini alimentari individuali.
Benefici e nutrienti
Come ricorda la dottoressa Aarti Soorya, specialista in medicina funzionale al Grover Health and Wellness di Bloomfield Hills (Michigan), “il kombucha è una potenziale fonte di vitamine del gruppo B, vitamina C, polifenoli antiossidanti e minerali come ferro, manganese e rame”.
I principali effetti positivi attribuiti alla bevanda riguardano:
- il sostegno al microbiota intestinale e alla digestione;
- l’azione antiossidante e antinfiammatoria;
- un possibile effetto benefico su fegato e pressione arteriosa, grazie alla presenza di acidi organici e polifenoli.
Va però ricordato che il kombucha non è una bevanda “miracolosa”: i suoi benefici si manifestano solo all’interno di uno stile di vita equilibrato e di una dieta varia e bilanciata.
Come scegliere il kombucha giusto
Non tutti i kombucha sono uguali. Le versioni artigianali o tradizionali contengono solo tè, acqua, zucchero e Scoby, mentre molte bevande industriali includono aromi, succhi o zuccheri aggiunti per migliorarne il gusto.
Gli esperti consigliano di:
- leggere bene l’etichetta, preferendo prodotti con meno di 5 grammi di zucchero per bottiglia;
- scegliere kombucha in bottiglie scure, che proteggono i probiotici dalla luce;
- evitare versioni pastorizzate, che riducono la vitalità dei microrganismi benefici.
Un kombucha di buona qualità ha un gusto leggermente acidulo e frizzante, ma non deve risultare troppo dolce o alcolico.
Attenzione alle quantità e alle controindicazioni
Come il tè, il kombucha contiene teina, quindi può interferire con il sonno se bevuto la sera. La fermentazione produce anche tracce di alcol (fino al 2%), motivo per cui la bevanda non è consigliata ai bambini o a chi deve evitarlo del tutto.
Chi lo prova per la prima volta dovrebbe iniziare con piccole dosi, per permettere all’organismo di adattarsi ai nuovi microrganismi. Un consumo eccessivo o troppo rapido può provocare gonfiore o lievi disturbi digestivi.
Un sorso di equilibrio
Tra antiche tradizioni orientali e nuove tendenze salutiste, il kombucha rappresenta il punto d’incontro tra cultura del benessere e fermentazione naturale. Non è una pozione magica, ma un tassello in più per chi cerca un modo sano – e un po’ frizzante – di prendersi cura del proprio corpo.
In fondo, come per ogni abitudine salutare, il segreto sta nell’equilibrio: una tazza di kombucha, sì, ma accompagnata da una dieta consapevole e un pizzico di buon senso.
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