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Cucina

Pandoro VS Panettone, un’eterna diatriba – fra storia e leggenda – sul gusto del Natale

La sfida tra i due dolci più tipici delle feste, presenze costanti sulle tavole di noi italiani, si riaccende puntualmente anche quest’anno…

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    Sono i due dolci lievitati più iconici del Natale italiano, anche se presentano caratteristiche diametralmente opposte sia nella preparazione, che nella forma e nel gusto. In tutte le case dello Stivale, con l’arrivo delle feste, rappresentano presenze costanti, anche se hanno il potere di dividere i commensali: solitamente chi predilige uno, non ama particolarmente l’altro.

    Due correnti di pensiero contrapposte

    Gli estimatori del pandoro ne apprezzano la sofficità, amando gustarlo leggermente tiepido con una spolverata di zucchero a velo. Mentre i fan del panettone” vanno pazzi per il suo gusto aromatizzato agli agrumi, con gli immancabili canditi e l’uva passa.

    Cosa dice la storia

    Entrambi i dolci affondano le loro origini nell’Italia Settentrionale: il primo, lievitato a otto punte nato a Verona, il secondo dalla forma cilindrica preparato per la prima volta nel periodo medievale a Milano: il “panetùn”.

    Vero e proprio simbolo di “milanesità”

    Aromi di burro, vaniglia e agrumi coccolano il palato degli amanti del panettone, dolce che deve la sua origine al capoluogo lombardo. Una delle prime testimonianze che lo riguardano risale ai primi anni del 1600 quando i capi famiglia erano soliti distribuire tre grosse fette di pane ai commensali durante la cerimonia del ceppo, una tradizione natalizia milanese della quale anche lo storico Pietro Verri scrive nella sua Storia di Milano.

    La suggestiva leggenda del Toni

    Fra le tante narrazioni relative al panettone, una in particolare viene considerata più attendibile. Quella che riguarda lo sguattero Toni, ultima catena della cucina della corte di Ludovico il Moro, signore di Milano nel 1495. Secondo questa storia (o leggenda?), il capo cuoco chiese al giovane di controllare il dolce preparato per i cortigiani in occasione della vigilia di Natale. Ma Toni, addormentandosi, fece bruciare tutto. L’intraprendente ragazzo, quindi, propose al capo cuoco di offrire in sostituzione ai commensali un dolce che aveva preparato per i suoi amici a base di avanzi dell’impasto del pane, uova, burro, canditi e uvetta. “El pan de Toni” – da qui il nome “panettone” – fu un successo clamororo, che dura ancora oggi.

    Quella di Ughetto

    A livello popolare si narra anche la vicenda del giovane Ughetto che, innamoratosi della figlia del fornaio, si fece assumere. Per incrementare le vendite pensò di arricchire il pane con burro, zucchero, pezzetti di cedro candito e uova. Il gradimento dei commensali fu tale che, alla fine, Ughetto riuscì anche a convolare a nozze con la figlia del fornaio. Intorno alla nascita del panettone c’è anche una storia che coinvolge la suora Ughetta. Per rendere più ricco e festoso il Natale delle consorelle, decise di aggiungere all’impasto del pane zucchero, uova, burro e cedro candito. Non è un caso che “ughet” in dialetto locale significa proprio… uvetta!

    Un dolce brevettato a Verona dal pasticcere Melegatti

    Il “pane d’oro” – che nasce a Verona – venne chiamato così in alla pratica rinascimentale di decorare il dolce con foglie d’oro commestibile. Fu il pasticcere Domenico Melegatti a depositare per primo il brevetto di questo lievitato a otto punte nel 1884 presso il Ministero di Agricoltura e Commercio del Regno d’Italia. Registrando anche lo stampo che caratterizza la particolare forma di questo lievitato, opera del pittore impressionista Angelo Dall’Oca Bianca.

    Anche per il pandoro un mix di storie e leggende popolari

    Anche se può vantare un preciso brevetto depositato, pure intorno alla storia del pandoro si troviamo diverse storie e leggende. Melegatti avrebbe elaborato la ricetta del dolce tipico del Natale italiano prendendo spunto dal Levà, preparato a Verona la notte della vigilia di Natale, ma anche dal Nadalin, dolce a forma di stella usato in Veneto nel 1200, e dal Pane di Vienna.

    La tipica forma a stella

    Secondo alcuni, il pandoro sarebbe stato un dolce già consumato in Veneto nel Medioevo, durante il periodo della Repubblica di Venezia. Preparato nello stesso modo in cui oggi arriva sulle nostre tavole, pare debba la sua forma a stella alla Torre dei Lamberti di Verona.

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      Cucina

      Vin brulè, il profumo dell’inverno: la bevanda calda che riscalda mani, cuore e memoria

      Una tradizione antica, nata per scaldare i viaggiatori nelle locande di montagna e oggi diventata un rituale conviviale. Prepararlo in casa è facile: basta scegliere il vino giusto e dosare con cura le spezie.

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      Vin brulè

        C’è un momento, tra novembre e gennaio, in cui il profumo del vin brulè sembra inseguirci ovunque: nei mercatini di Natale, nelle baite, perfino nelle piazze delle città. È un aroma che sa di legno e agrumi, di cannella e fuoco acceso, capace di risvegliare ricordi e riscaldare anche le giornate più fredde.

        La sua storia è antichissima. Già i Romani bevevano il conditum paradoxum, un vino dolce scaldato con miele e spezie, antesignano dell’attuale vin brulè (dal francese vin brûlé, “vino bruciato”). In origine era un rimedio contro i malanni invernali, ma col tempo è diventato un piacere da condividere.

        Oggi ogni regione ha la sua versione: in Trentino si usa il Merlot o il Lagrein, in Valle d’Aosta il Petit Rouge, in Piemonte il Barbera. Ma la regola resta la stessa: serve un rosso corposo, non troppo giovane, capace di resistere al calore senza perdere carattere.

        La preparazione è un gesto antico, quasi rituale. In una casseruola si versa il vino con zucchero, scorza d’arancia e di limone, cannella, chiodi di garofano, anice stellato e — per i più audaci — una punta di noce moscata o di pepe. Si scalda lentamente, senza mai far bollire, finché lo zucchero si scioglie e la casa si riempie di un profumo avvolgente. Poi si filtra e si serve bollente, in tazze spesse o bicchieri resistenti, magari accompagnato da biscotti di panpepato o castagne arrosto.

        Il segreto sta nell’equilibrio: troppo zucchero lo rende stucchevole, troppe spezie lo coprono. Il vin brulè perfetto è armonia — caldo ma non bruciante, dolce ma non sciropposo, aromatico ma mai invadente.

        E come tutte le tradizioni che resistono al tempo, la sua magia è nella condivisione. Un sorso di vin brulè non si beve da soli: si offre, si racconta, si alza in un brindisi lento che sa di inverno, amicizia e ritorno alle origini.

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          Il budino viola che profuma d’autunno: il budino di uva nera, due ingredienti e tanta poesia per un dessert leggero e irresistibile

          Dalla tradizione contadina arriva un dessert scenografico e leggero. Il budino di uva nera Solarelli conquista per il suo colore intenso, la texture vellutata e il gusto pulito. Una ricetta essenziale che trasforma la frutta di stagione in una dolcezza viola brillante, perfetta dopo cena e impossibile da dimenticare.

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          Il budino viola

            Il dolce che nasce dalla terra
            In un panorama di dessert elaborati, creme ricche e glassature lucide, il budino di uva nera è una carezza. È la prova che a volte bastano due ingredienti e un po’ di pazienza per ottenere qualcosa di unico. Il segreto è tutto nella frutta: uva nera senza semi Solarelli, raccolta al giusto grado di maturazione, succosa, profumata e naturalmente dolce. È un dolce della tradizione rurale, nato quando in cucina si lavorava con ciò che la natura offriva, senza sprechi e con lentezza. Il risultato è un budino che non chiede zucchero, panna o gelatine: solo il succo dell’uva e una piccola quantità di farina per addensare. Novembre lo accoglie alla perfezione: è viola profondo, ricorda il vino novello e profuma di vendemmia.

            L’arte della semplicità: la cottura lenta dell’uva
            La prima fase è quasi meditativa. I grappoli si lavano, si sgrana l’uva e si raccolgono gli acini in un tegame capiente. La fiamma è bassa, il tempo è lento: due ore circa perché gli acini rilascino lentamente tutto il loro succo. Durante la cottura si schiacciano con cura, così ogni goccia diventa parte del dolce. Il passaggio successivo è il più importante: filtrare il succo con un colino per eliminare bucce e residui, lasciando soltanto un liquido liscio e intenso, che ritorna in casseruola per la trasformazione finale. Il profumo che invade la cucina è già dessert: dolce, vinoso, leggermente floreale.

            Dal fuoco allo stampo: nasce il budino
            Quando il succo è pronto, si aggiunge gradualmente la farina, mescolando fino a ottenere una consistenza densa ma ancora scorrevole. La miscela torna sul fuoco, dove ribolle appena per due o tre minuti, mescolata senza sosta con una frusta. È una danza breve ma essenziale: il liquido prende corpo, si addensa, brilla. Poi arriva la parte più bella, quella domestica e affettiva: versarlo in uno stampo e lasciarlo raffreddare, prima a temperatura ambiente e poi in frigorifero per circa tre ore. Quando si sforma, il budino appare lucido, morbido, con una tonalità viola che sembra rubata a un cielo d’autunno al tramonto. Fresco, leggero, naturalmente dolce. Perfetto da solo, magnifico con una cucchiaiata di yogurt bianco o un filo di miele di castagno per chi vuole una nota più golosa.

            È un dolce che parla piano. E proprio per questo conquista.

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              Polpette di parmigiano: la coccola golosa italiana che conquista con semplicità e gusto

              Facili da preparare, sostenibili e versatili: si realizzano con pochi ingredienti e si possono cuocere fritte, al forno o in friggitrice ad aria. Un modo goloso per valorizzare l’eccellenza del Parmigiano Reggiano e dire addio agli sprechi in cucina.

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              Polpette di parmigiano

                C’è un profumo che racconta l’Italia più di tanti altri: quello del Parmigiano Reggiano che si scioglie in padella, dorandosi fino a diventare croccante. Da questa semplice magia nasce una delle ricette più amate e condivise online negli ultimi mesi: le polpette di parmigiano, un antipasto vegetariano pronto in pochi passaggi, perfetto per un buffet, un aperitivo casalingo o una cena informale.

                A metà strada tra crocchetta e soufflé, queste palline dorate sono una celebrazione del gusto autentico e della cucina anti-spreco. L’ingrediente principale? Gli albumi avanzati, spesso scartati dopo aver preparato dolci o creme. Con un po’ di fantasia e una manciata di formaggio grattugiato, diventano la base di un piatto saporito e sorprendente.

                Una ricetta semplice e sostenibile

                Prepararle è davvero facile: basta mescolare in una ciotola Parmigiano Reggiano DOP grattugiato (meglio se stagionato almeno 24 mesi) con gli albumi, una spolverata di paprica dolce e pepe nero macinato al momento. Dopo aver lasciato riposare il composto in frigorifero per circa mezz’ora, si modellano delle palline grandi come una noce.

                A questo punto ci sono tre vie di cottura:

                • Frittura classica, in olio di semi ben caldo, per ottenere una crosticina dorata e un cuore cremoso.
                • Cottura al forno, a 180 °C per circa 25 minuti, con un filo d’olio extravergine di oliva.
                • Friggitrice ad aria, per una versione leggera e senza grassi aggiunti: bastano 10-12 minuti a 190 °C.

                In ogni caso, il risultato è irresistibile: una polpetta dorata, profumata e ricca di sapore, che conquista anche chi non è vegetariano.

                Mille varianti per ogni gusto

                Il bello di questa ricetta è la sua versatilità. Può essere personalizzata in base agli ingredienti disponibili o alle preferenze. Chi ama i sapori decisi può unire all’impasto una parte di Pecorino Romano, per un gusto più intenso. Per una versione più ricca, invece, si possono aggiungere dadini di prosciutto cotto, mortadella o erbe aromatiche tritate.

                Chi segue una dieta gluten free può stare tranquillo: non serve farina né pangrattato. E per rendere l’impasto più morbido, si può aggiungere un cucchiaio di ricotta o di yogurt greco.

                Un piccolo gioiello della cucina italiana

                Le polpette di parmigiano rappresentano bene l’evoluzione della cucina italiana contemporanea: semplice, sostenibile, ma con un occhio alla creatività. In un momento storico in cui la lotta allo spreco alimentare è diventata centrale, ricette come questa insegnano che anche gli scarti – come gli albumi avanzati – possono trasformarsi in piatti eleganti e gustosi.

                Secondo i dati di Too Good To Go (piattaforma impegnata nella riduzione dello spreco alimentare), ogni anno in Italia vengono buttati oltre 30 kg di cibo pro capite. Recuperare ingredienti e reinventarli in modo intelligente è un gesto che fa bene al pianeta e alla tavola.

                Il tocco finale

                Servite calde, le polpette di parmigiano sono deliziose anche accompagnate da una salsa di pomodoro fresco, una maionese alle erbe o una crema di yogurt e limone. Ideali per un aperitivo, ma perfette anche come secondo piatto con un contorno di verdure grigliate o insalata croccante.

                In fondo, la loro forza sta proprio nella semplicità: pochi ingredienti, un pizzico di creatività e la qualità di un prodotto simbolo del Made in Italy.

                Perché, come spesso accade in cucina, la bontà non ha bisogno di complicazioni: basta un po’ di Parmigiano, e tutto prende sapore.

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