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Cucina

Storia della Pavlova: origini e ricetta del celebre dessert

La sua storia è dolcissima: un cuoco di un hotel durante il tour della ballerina Anna Pavlova, rimane ammaliato dalla sua leggerezza ed eleganza, dando vita al famoso dessert dalla forma rotonda e dalla delicatezza della meringa che richiamano l’abito di tulle della giovane donna.

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    La Pavlova è un dessert famosissmo. La sua consistenza croccante all’esterno e soffice all’interno, insieme alla dolcezza della meringa e alla freschezza della frutta, la rendono un piatto amato da molti e un simbolo della cucina australiana e neozelandese.

    Anna Pavlovna Pavlova, la famosa ballerina degli inizi del ‘900

    Pavlova con panna montata e frutta fresca

    Ingredienti per una Pavlova da 20 cm di diametro
    4 albumi d’uovo a temperatura ambiente
    150 g di zucchero semolato
    1 cucchiaino di succo di limone
    Un cucchiaino colmo di amido di mais (maizena)
    Estratto di vaniglia
    Per farcire
    250 g di panna fresca liquida di latteria
    Per le finiture
    Frutta fresca a piacere tra fragole, mirtilli, lamponi e pesche

    Procedimento
    Con un frullino monta gli albumi a neve ferma con lo zucchero e lavora continuamente fino a quando si formeranno dei picchi morbidi, detti a “becco di cicogna”. Aggiungi limone, amido e vaniglia, mescola delicatamente con una spatola fino a quando saranno completamente incorporati.

    Accendi il forno a 50° ventilato, rivesti una teglia con carta da forno sulla quale avrai segnato un cerchio di circa 20-22 cm di diametro, per aiutarti a dare forma alla Pavlova.

    Trasferisci a cucchiaiate il composto di meringa sulla carta da forno formando un cerchio uniforme all’interno del disco disegnato. Utilizza il retro di un cucchiaio per crea un cratere poco profondo al centro della meringa, lasciando i bordi leggermente più alti.

    Inforna e cuoci per circa 1 ora e mezzo. Lascia raffreddare la Pavlova all’interno del forno con lo sportello semiaperto per evitare che si rompa. Monta la panna fresca e spalmala sulla superficie del dolce che deve essere perfettamente raffreddato, decora con la frutta fresca ben lavata e asciutta e disponila in modo decorativo sulla panna montata. Servi il dolce tagliandolo a fette.

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      Octopus Vulgaris, prelibatezza o creatura troppo intelligente per il piatto?

      Un mollusco dalle mille risorse: fa bene alla salute, è leggero e saziante. Ma nuove ricerche sulle sue capacità cognitive e i problemi di pesca sregolata sollevano interrogativi sul futuro del consumo di questa specie.

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      Octopus Vulgaris

        L’Octopus vulgaris, noto ai più come polpo, è un mollusco cefalopode ampiamente diffuso nei mari di tutto il mondo, incluso il Mediterraneo. Dotato di otto braccia e una doppia fila di ventose, è un animale solitario che predilige i fondali rocciosi dove trovare rifugio. Apprezzato in cucina per le sue carni tenere e gustose, se cotte a regola d’arte, questo alimento raffinato e popolare vanta un profilo nutrizionale che lo rende adatto a diete ipocaloriche e bilanciate. Tuttavia, negli ultimi anni, l’attenzione si è spostata su una questione etica: l’elevata intelligenza del polpo mette in discussione la correttezza del suo consumo.

        Un profilo nutrizionale da primo della classe

        Composto per l’82% da acqua, il polpo è un’ottima fonte di proteine ad alto valore biologico e, grazie al basso contenuto di lipidi, risulta digeribile e favorisce il senso di sazietà. Una porzione media si attesta intorno alle 85 kcal, con un moderato apporto di colesterolo. I grassi presenti sono principalmente mono e polinsaturi, in particolare gli omega-3, noti per la loro azione protettiva su cuore e cervello.

        Il polpo è inoltre ricco di minerali essenziali, tra cui potassio (per l’attività muscolare), fosforo e calcio (per ossa e denti), ferro (per prevenire l’anemia), e zinco e selenio (a supporto del sistema immunitario). Contiene anche vitamine A, B1 e B2, mentre è assente la vitamina C. Questi nutrienti contribuiscono a proteggere il sistema cardiovascolare, migliorare la circolazione sanguigna, e hanno effetti positivi sulla memoria e la concentrazione.

        L’enigma dell’intelligenza e la sostenibilità

        L’aspetto più dibattuto riguarda le straordinarie capacità cognitive del polpo. Numerosi studi concordano sul fatto che questo invertebrato possieda un’intelligenza superiore alla media, paragonabile a quella di alcuni vertebrati. Sono in grado di risolvere problemi complessi, mostrano memoria e sembrano persino capaci di sognare. Comportamenti come il lancio intenzionale di oggetti per difendersi dai maschi indesiderati dimostrano una consapevolezza e intenzionalità sorprendenti.

        Questa intelligenza ha alimentato un acceso dibattito etico sul suo consumo, con proteste che hanno raggiunto persino l’iconica Disney World. La discussione si intreccia con i problemi di sostenibilità: gli stock di polpo nel Mediterraneo sono in drastica riduzione a causa dell’inquinamento e della pesca sregolata. Paesi come la Tunisia hanno imposto divieti di cattura per tutelare la specie.

        Progetti innovativi, come la “Casa dei Polpi” a Talamone, cercano di favorire il ripopolamento offrendo rifugi artificiali per la riproduzione. Parallelamente, incombe la minaccia dell’acquacoltura intensiva, che potrebbe avere effetti disastrosi sull’ecosistema. L’Italia, in particolare, si posiziona come il principale consumatore europeo di polpo, superando le 60 mila tonnellate annue, rendendo la questione della sostenibilità e dell’etica del consumo particolarmente pressante.

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          Vin brulè, il profumo dell’inverno: la bevanda calda che riscalda mani, cuore e memoria

          Una tradizione antica, nata per scaldare i viaggiatori nelle locande di montagna e oggi diventata un rituale conviviale. Prepararlo in casa è facile: basta scegliere il vino giusto e dosare con cura le spezie.

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          Vin brulè

            C’è un momento, tra novembre e gennaio, in cui il profumo del vin brulè sembra inseguirci ovunque: nei mercatini di Natale, nelle baite, perfino nelle piazze delle città. È un aroma che sa di legno e agrumi, di cannella e fuoco acceso, capace di risvegliare ricordi e riscaldare anche le giornate più fredde.

            La sua storia è antichissima. Già i Romani bevevano il conditum paradoxum, un vino dolce scaldato con miele e spezie, antesignano dell’attuale vin brulè (dal francese vin brûlé, “vino bruciato”). In origine era un rimedio contro i malanni invernali, ma col tempo è diventato un piacere da condividere.

            Oggi ogni regione ha la sua versione: in Trentino si usa il Merlot o il Lagrein, in Valle d’Aosta il Petit Rouge, in Piemonte il Barbera. Ma la regola resta la stessa: serve un rosso corposo, non troppo giovane, capace di resistere al calore senza perdere carattere.

            La preparazione è un gesto antico, quasi rituale. In una casseruola si versa il vino con zucchero, scorza d’arancia e di limone, cannella, chiodi di garofano, anice stellato e — per i più audaci — una punta di noce moscata o di pepe. Si scalda lentamente, senza mai far bollire, finché lo zucchero si scioglie e la casa si riempie di un profumo avvolgente. Poi si filtra e si serve bollente, in tazze spesse o bicchieri resistenti, magari accompagnato da biscotti di panpepato o castagne arrosto.

            Il segreto sta nell’equilibrio: troppo zucchero lo rende stucchevole, troppe spezie lo coprono. Il vin brulè perfetto è armonia — caldo ma non bruciante, dolce ma non sciropposo, aromatico ma mai invadente.

            E come tutte le tradizioni che resistono al tempo, la sua magia è nella condivisione. Un sorso di vin brulè non si beve da soli: si offre, si racconta, si alza in un brindisi lento che sa di inverno, amicizia e ritorno alle origini.

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              Cucina

              Il budino viola che profuma d’autunno: il budino di uva nera, due ingredienti e tanta poesia per un dessert leggero e irresistibile

              Dalla tradizione contadina arriva un dessert scenografico e leggero. Il budino di uva nera Solarelli conquista per il suo colore intenso, la texture vellutata e il gusto pulito. Una ricetta essenziale che trasforma la frutta di stagione in una dolcezza viola brillante, perfetta dopo cena e impossibile da dimenticare.

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              Il budino viola

                Il dolce che nasce dalla terra
                In un panorama di dessert elaborati, creme ricche e glassature lucide, il budino di uva nera è una carezza. È la prova che a volte bastano due ingredienti e un po’ di pazienza per ottenere qualcosa di unico. Il segreto è tutto nella frutta: uva nera senza semi Solarelli, raccolta al giusto grado di maturazione, succosa, profumata e naturalmente dolce. È un dolce della tradizione rurale, nato quando in cucina si lavorava con ciò che la natura offriva, senza sprechi e con lentezza. Il risultato è un budino che non chiede zucchero, panna o gelatine: solo il succo dell’uva e una piccola quantità di farina per addensare. Novembre lo accoglie alla perfezione: è viola profondo, ricorda il vino novello e profuma di vendemmia.

                L’arte della semplicità: la cottura lenta dell’uva
                La prima fase è quasi meditativa. I grappoli si lavano, si sgrana l’uva e si raccolgono gli acini in un tegame capiente. La fiamma è bassa, il tempo è lento: due ore circa perché gli acini rilascino lentamente tutto il loro succo. Durante la cottura si schiacciano con cura, così ogni goccia diventa parte del dolce. Il passaggio successivo è il più importante: filtrare il succo con un colino per eliminare bucce e residui, lasciando soltanto un liquido liscio e intenso, che ritorna in casseruola per la trasformazione finale. Il profumo che invade la cucina è già dessert: dolce, vinoso, leggermente floreale.

                Dal fuoco allo stampo: nasce il budino
                Quando il succo è pronto, si aggiunge gradualmente la farina, mescolando fino a ottenere una consistenza densa ma ancora scorrevole. La miscela torna sul fuoco, dove ribolle appena per due o tre minuti, mescolata senza sosta con una frusta. È una danza breve ma essenziale: il liquido prende corpo, si addensa, brilla. Poi arriva la parte più bella, quella domestica e affettiva: versarlo in uno stampo e lasciarlo raffreddare, prima a temperatura ambiente e poi in frigorifero per circa tre ore. Quando si sforma, il budino appare lucido, morbido, con una tonalità viola che sembra rubata a un cielo d’autunno al tramonto. Fresco, leggero, naturalmente dolce. Perfetto da solo, magnifico con una cucchiaiata di yogurt bianco o un filo di miele di castagno per chi vuole una nota più golosa.

                È un dolce che parla piano. E proprio per questo conquista.

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