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Curiosità

Tu lo sai che cos’è la plant blindness? Un fenomeno sottovalutato

La plant blindness è un fenomeno sottovalutato ma significativo. Riconoscerlo e affrontarlo è essenziale per garantire la conservazione della biodiversità, la salute degli ecosistemi e il benessere delle generazioni future.

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    La plant blindness, o “cecità botanica”, è un termine coniato dai botanici James Wandersee ed Elisabeth Schussler nel 1998. Si riferisce all‘incapacità delle persone di vedere o riconoscere le piante nel loro ambiente quotidiano. Questo fenomeno non è legato a problemi di vista, ma piuttosto a una mancanza di consapevolezza e apprezzamento delle piante e del verde che ci circonda. Le persone affette da plant blindness tendono a ignorare le piante, considerando il mondo naturale principalmente attraverso l’interazione con gli animali e altri esseri umani.

    Come si manifesta?

    La plant blindness si manifesta in vari modi, tra cui: la mancanza di riconoscimento. Molte persone non sono in grado di identificare le piante comuni nella loro area, distinguendo a malapena tra diversi tipi di alberi, fiori o erbe. La sottovalutazione del ruolo delle piante. La gente tende a non comprendere l’importanza ecologica delle piante, ignorando il loro ruolo cruciale nella produzione di ossigeno, nel ciclo del carbonio e come habitat per numerose specie animali. La mancanza di educazione. Nei programmi scolastici, la botanica riceve spesso meno attenzione rispetto alla zoologia, portando a una generale mancanza di conoscenza delle piante tra i giovani. I media e le pubblicazioni scientifiche tendono a concentrarsi più sugli animali che sulle piante, alimentando questa tendenza a ignorare il mondo vegetale.

    Quali sono gli effetti negativi della plant blindness

    La plant blindness può avere una serie di conseguenze negative, sia per l’ambiente che per la società. L’incapacità di riconoscere e apprezzare le piante può portare a una diminuzione degli sforzi verso la conservazione delle stesse. Senza una consapevolezza diffusa dell’importanza delle piante, le politiche ambientali e le iniziative di conservazione potrebbero trascurare la protezione degli habitat vegetali. Esiste poi un problema legato al declino della salute degli ecosistemi. Le piante sono fondamentali per il funzionamento degli ecosistemi. Ignorarle può compromettere la salute degli ecosistemi stessi, influenzando negativamente il ciclo dei nutrienti, la qualità dell’aria e dell’acqua e la stabilità del suolo.

    Si perdono le conoscenze tradizionali

    In molte culture, la conoscenza delle piante è profondamente radicata nelle pratiche tradizionali di medicina, cucina e artigianato. La plant blindness può portare alla perdita di queste preziose conoscenze, che rischiano di scomparire con il passare delle generazioni. Inoltre la mancanza di interesse per la botanica può ridurre il numero di studenti e ricercatori che si dedicano a questa disciplina. Questo può rallentare i progressi scientifici in settori come l’agricoltura sostenibile, la biotecnologia vegetale e la conservazione delle specie vegetali.

    Come contrastare la plant blindness

    Per contrastare la plant blindness, è necessario un cambiamento culturale ed educativo partendo proprio dalla scuola. Sarebbe utile poter integrare la botanica nei programmi scolastici fin dalle prime fasi dell’istruzione, promuovendo attività pratiche che coinvolgano direttamente gli studenti con le piante. Inoltre, ma questo già avviene, sarebbe utile promuovere documentari, articoli e programmi televisivi che mettano in risalto l’importanza delle piante e la loro bellezza. Oppure organizzare eventi di comunità come passeggiate botaniche, workshop di giardinaggio e mostre di piante per stimolare l’interesse e la consapevolezza delle persone verso il mondo vegetale.

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      Curiosità

      Il vestito del Papa defunto tra simboli e tradizione funeraria vaticana

      Il rito funebre di un Papa è un momento di grande solennità e preghiera. La sua vestizione e la scelta degli oggetti che lo accompagnano nella sepoltura non sono casuali, ma rispecchiano la missione spirituale che ha svolto durante la sua vita.

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        Quando un Papa muore, la Chiesa cattolica segue un protocollo preciso e ricco di simbolismo per accompagnarlo nel suo ultimo viaggio. La vestizione del pontefice defunto riflette il suo ruolo spirituale e la tradizione secolare che lega il papato agli eventi più sacri della fede cristiana. Papa Francesco, 266° successore di San Pietro, riposa nella cappellina di Santa Marta prima del trasferimento nella Basilica di San Pietro. A differenza di altri pontefici, non è stato imbalsamato, ma solo sottoposto a trattamenti per rallentarne la decomposizione. Il suo corpo è stato vestito con i paramenti sacri tradizionali, che hanno un significato profondo nella liturgia cattolica. Vediamo quali.

        Ma quali sono gli abiti sacerdotali del Papa?

        Tra gli abiti sacerdotali indossati dal Papa quello più appariscente è la casula rossa. Il colore rosso è simbolo dell’amore divino e del sangue versato da Cristo. I sacerdoti indossano questo paramento durante celebrazioni solenni. Come per esempio la Domenica delle Palme, il Venerdì Santo, la Festa della Santa Croce e la Pentecoste. Il rosso richiama anche il martirio, elemento centrale nella fede cristiana.

        Il pallio è una stola bianca con croci nere, simbolo di autorità e legame con la tradizione apostolica. Questa particolare stola, indossata sulle spalle, viene usata dai sacerdoti nelle benedizioni e nell’esposizione dell’ostensorio con il Santissimo Sacramento. Il pallio papale è confezionato con la lana di due agnelli allevati dai monaci trappisti delle Tre Fontane. Ed è tessuto dalle monache di clausura di Santa Cecilia in Trastevere.

        La mitria bianca è il copricapo episcopale, segno di dignità vescovile. In passato, durante le celebrazioni solenni, i papi indossavano la tiara, un copricapo composto da tre corone sovrapposte, simboleggianti il triplice potere del pontefice. “Padre dei principi e dei re, Rettore del mondo, Vicario di Cristo in Terra“. Tuttavia, Paolo VI abolì l’uso della tiara, preferendo un simbolismo più semplice e meno legato agli aspetti monarchici della Chiesa.

        L’anello d’argento. Francesco ha scelto di essere sepolto con il suo semplice anello d’argento, lo stesso che indossava quando era arcivescovo di Buenos Aires. Questo lo distingue dai suoi predecessori, i quali portavano l’Anello Piscatorio, che veniva spezzato alla loro morte per rappresentare la fine del loro potere temporale.

        Un altro elemento che distingue Bergoglio durante il suo funerale è il rosario tra le mani. Un elemento fondamentale, il rosario, è segno di preghiera e meditazione. La presenza del rosario testimonia la devozione mariana di Papa Francesco e il suo legame con la tradizione della recita del Santo Rosario.

        Una bara semplice che contiene il rogito

        Diversamente dai papi precedenti, Francesco ha scelto una bara semplice, realizzata in legno e zinco. Bergoglio ha rinunciato al tradizionale catafalco o alla complessa sequenza delle tre bare sovrapposte (legno, zinco e legno). Questa decisione riflette il suo approccio umile e il suo desiderio di evitare fasti eccessivi. All’interno della bara, verranno deposti alcuni elementi simbolici ad iniziare dal rogito. Si tratta di un documento sigillato che contiene un breve riassunto del suo pontificato e delle sue opere. La medaglia e le monete vaticane, coniate durante il suo regno, che rappresentano il periodo storico del suo pontificato.

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          Curiosità

          Dai cani al Kama Sutra: Charlie Forde, la veterinaria che ha scelto il porno per sopravvivere

          Quando la passione per gli animali ti porta… ad amare in modo molto più esplicito. La storia di Charlie Forde: da 130 ore settimanali in clinica, a un set decisamente meno stressante.

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            Dal camice bianco… al “nudo integrale”. C’è chi cambia lavoro per noia, chi per passione e chi, come Charlie Forde, perché rischiava letteralmente di farsi fuori per la stanchezza. Veterinaria australiana, 36 anni, Charlie ha lasciato il bisturi per abbracciare una carriera ben diversa (ma comunque manuale): quella di pornostar a Los Angeles.

            Basta agli orari massacranti

            Dopo anni passati tra cuccioli e flebo, Charlie ha detto basta alle 130 ore settimanali di turni massacranti e ha scelto una nuova “specie” di set. “Essere veterinari è estenuante. Il tasso di suicidi nella categoria è sei volte superiore alla media nazionale”, ha dichiarato al Daily Mail. Insomma: meglio l’hard che il burnout.

            Come si passa dagli animali ai film per adulti?

            No, non è una barzelletta. Tutto è iniziato mentre studiava veterinaria: il portafogli era vuoto, i debiti universitari pieni e il tempo libero inesistente. “Ho cercato un modo per pagarmi gli studi, e qualcuno mi ha suggerito il porno. Ci ho provato… e da lì non mi sono più fermata”. Dopo un incidente stradale causato dalla stanchezza, è arrivata la svolta: mollare tutto, trasferirsi a Los Angeles e ricominciare. Con meno bisturi e molta più libertà (artistica, si intende).

            Ma il porno è davvero meno stressante?

            Secondo lei sì. E a guardare i numeri del settore, non è neppure una scelta così folle: orari flessibili, autonomia, possibilità di lavorare come content creator, e – non da poco – stipendi molto più alti rispetto a quelli da veterinaria. E senza il rischio di essere graffiata da un gatto isterico mentre si lavora su tre pazienti contemporaneamente. Charlie oggi è una pornostar indipendente, produce i propri contenuti e racconta la sua storia senza tabù. “Non mi vergogno. Ho preso in mano la mia vita, e la mia salute mentale è migliorata”. D’altronde, quando la realtà supera la fantasia, l’importante è stare bene. E se questo significa passare da una clinica a un set… ben venga.

            La vita è una jungla, e Charlie ha semplicemente cambiato habitat

            Dai volatili agli uccelli – in ogni senso – la Forde ha scelto la strada meno battuta (ma molto cliccata). E mentre qualcuno ancora storce il naso, lei vive la sua nuova vita al massimo, con ironia, libertà e, finalmente, qualche ora di sonno in più.

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              Basta, mi licenzio e cambio vita. Erica gira il mondo tutto l’anno

              La storia di Erica dimostra che, nonostante le sfide, seguire i propri sogni e cercare una vita più appagante può portare a grandi soddisfazioni. La vita in crociera, seppur difficile, le ha permesso di scoprire il mondo e se stessa, offrendo una prospettiva unica su cosa significhi veramente vivere appieno.

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                Erica, una giovane laureata in giornalismo, ha scelto di cambiare radicalmente la sua vita lasciando un lavoro d’ufficio a New York per diventare intrattenitrice su una nave da crociera. Nonostante le difficoltà iniziali, oggi Erica è felice della sua scelta, avendo visitato 79 Paesi in dieci anni.

                La decisione di cambiare vita

                Erica ha lavorato in un prestigioso ufficio a New York, ma la routine stressante, il lungo tragitto e le ore passate in un cubicolo l’hanno portata a soffrire fisicamente e mentalmente. Cercando disperatamente una soluzione, ha scoperto il lavoro sulle navi da crociera, che le avrebbe permesso di viaggiare e conoscere nuove persone. Dopo aver superato un colloquio, ha iniziato la sua carriera come entertainment host.

                Le difficoltà dell’inizio? Superate con la solidarietà dei colleghi

                La vita a bordo non è stata facile all’inizio. Erica ha dovuto completare un rigoroso corso sulla sicurezza e imparare rapidamente le sue mansioni. Le cabine per i dipendenti sono spesso molto piccole e spartane, a volte condivise con altri membri dell’equipaggio, e le ispezioni settimanali sono una costante. Ma non mancano battute, scherzi e giochi tra colleghi per rendere la vita a bordo meno stressante. Nonostante questi ostacoli, Erica ha trovato un nuovo equilibrio.

                La vita a bordo? Mai la stessa

                La vita in crociera è intensa e non per tutti. I turni di lavoro possono variare dalle 8 alle 12 ore al giorno per sette mesi consecutivi. Tuttavia, Erica e molti dei suoi colleghi amano questa vita per le esperienze uniche che offre. Viaggiare continuamente permette di scoprire nuovi luoghi e culture, creando un forte senso di comunità tra l’equipaggio.

                Esperienze Indimenticabili da Petra alla Nuova Zelanda

                Grazie al suo lavoro, Erica ha avuto la fortuna di esplorare posti incredibili come Petra, l’Alaska e le grotte della Nuova Zelanda. Anche se a volte può sentirsi sola, considera la sua esperienza a bordo come la più emozionante e gratificante della sua vita. Insomma nonostante le sfide, seguire i propri sogni e cercare una vita più appagante può portare a grandi soddisfazioni. La vita in crociera, seppur difficile, le ha permesso di scoprire il mondo e se stessa, offrendo una prospettiva unica su cosa significhi veramente vivere appieno l propria esistenza.

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