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Curiosità

Venezia è la città dove nascono gli occhiali

Dalle rudimentali lenti del XIII secolo agli odierni occhiali intelligenti, un percorso affascinante che ha rivoluzionato il modo di vedere il mondo. Sebbene esistano leggende che attribuiscano la paternità dell’invenzione a culture orientali, come Cinesi ed Indiani, le prime testimonianze concrete provengono dall’Italia, in particolare da Pisa e Venezia.

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    La data precisa dell’invenzione degli occhiali non è certa, ma risale a circa la fine del XIII secolo, tra il 1280 ed il 1290. A Pisa si ipotizza che sia stato Alessandro della Spina, un frate domenicano, a realizzare i primi occhiali da vista intorno al 1284. A Venezia, invece, il merito è attribuito ai mastri vetrai di Murano, già esperti nella lavorazione del vetro per la creazione di lenti e specchi.

    Indipendentemente da chi sia stato l’inventore, è certo che gli occhiali hanno avuto un impatto rivoluzionario sulla vita di milioni di persone, permettendo a chi aveva problemi di vista di leggere, lavorare e vivere con maggiore autonomia. L’inventiva dei veneziani non si limitò alla creazione degli occhiali da vista, ma si spinse oltre, anticipando di ben 120 anni la scoperta dei danni provocati dai raggi ultravioletti.

    Vetro, “occhiale da gondola” per dame

    Già nel 1700, infatti, le gondoliere e le dame veneziane utilizzavano i cosiddetti “occhiali da gondola”, antesignani degli odierni occhiali da sole erano dotati di lenti verdi ad alta protezione, in grado di schermare gli occhi dai raggi solari e dal riverbero della luce sulla laguna.

    L’intuizione dei veneziani nell’utilizzare lenti colorate per proteggere gli occhi si rivelò straordinariamente lungimirante, anticipando di gran lunga la scoperta scientifica dei danni provocati dai raggi UV. Un esempio lampante di come l’ingegno e l’osservazione empirica potevano portare a soluzioni innovative ben prima della comparsa della moderna scienza. Gli occhiali da gondola rappresentano un capitolo affascinante nella storia dell’occhiale, intrecciando moda, funzione e innovazione tecnologica in un oggetto che ha segnato un passo importante nella tutela della salute visiva.

    I primi rudimentali e affascinanti esempi di occhiali

    Ecco alcuni punti chiave della storia degli occhiali
    XIII secolo: Invenzione delle prime lenti per occhiali in Italia.
    XIV secolo: Diffusione degli occhiali in Europa e sviluppo di montature più elaborate.
    XV secolo: Invenzione degli occhiali da vista con lenti concave per la miopia.
    XVII secolo: Perfezionamento delle tecniche di produzione delle lenti e nascita degli occhiali da sole.
    XVIII secolo: Introduzione delle aste laterali per fissare meglio gli occhiali al viso.
    XIX secolo: Sviluppo di lenti sempre più precise e nascita dell’industria oftalmica.
    XX secolo: Diffusione su larga scala degli occhiali e introduzione di nuovi materiali per montature e lenti.
    XXI secolo: Avanzamenti tecnologici nella produzione delle lenti e sviluppo di occhiali intelligenti.

    Oggi gli occhiali sono un accessorio di uso comune, non solo per correggere i difetti visivi, ma anche come complemento di moda o per proteggere gli occhi dai raggi solari.

    Credit foto – venezia.it

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      Curiosità

      “Baby influencer”: quando la visibilità dei figli diventa un rischio per la loro privacy

      Minori protagonisti sui social: genitori-influencer li espongono quotidianamente, spesso senza limiti né consapevolezza. Il fenomeno solleva questioni di tutela, consenso e diritto all’oblio che ancora in gran parte restano irrisolte.

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      Baby influencer

        Negli ultimi anni, il fenomeno delle famiglie “influencer” ha rapidamente evoluto il suo volto: accanto ai creator che mostrano se stessi in video e post, sono sempre più i minori protagonisti consapevoli o meno di una narrazione social fatta per like, follower e sponsor. Questi piccoli protagonisti, spesso ancora in età prescolare, sono al centro di contenuti pubblici, collaborazioni commerciali e sponsorizzazioni. Ma mentre il business cresce, emergono questioni complesse: chi tutela la privacy dei figli, consenzienti o meno? E quali rischi comporta questa esposizione costante?

        Una recente ricerca inglese su influencer materne ha analizzato 5.253 post Instagram, mostrando che nei contenuti oltre il 74% include l’immagine di un bambino e che il 46% dei post che li riguardano sono sponsorizzati. Un’altra indagine segnala come circa il 37,6% dei post includa dati personali del minorenne – nome, età, luoghi frequentati – con impatti potenzialmente duraturi. I rischi non sono solo teorici: la “digital footprint” dei minori inizia come un album virtuale di famiglia e può culminare in esposizioni indesiderate, sfruttamento economico o addirittura usi illecito delle immagini.

        Sharenting e baby influencer: confine labile tra famiglia e contenuto

        Il termine “sharenting” sintetizza la pratica con cui i genitori condividono in rete non solo foto o video dei figli, ma momenti intimi, quotidiani, spesso al servizio di un progetto digitale. Quando questa condivisione diventa sistematica, strutturata e orientata al profitto, ecco che si parla di “baby influencer”: bambini quasi sempre troppo piccoli per parlare di consenso informato, ma pienamente coinvolti in strategie di visibilità e branding.

        In Italia le normative faticano a tenere il passo: finora mancano regole robuste che definiscano limiti chiari a protezione dei minori nei contenuti digitali. Secondo un recente articolo di Agenda Digitale, è aperta la discussione su norme che prevedano la destinazione dei proventi derivanti dai canali con minori, limiti di età per collaborazioni e controlli sugli orari e i contenuti. In pratica, una legge di prossima introduzione mira a stabilire che se un genitore guadagna oltre una certa soglia grazie al figlio, il denaro vada su un conto vincolato intestato al minorenne.

        Quali sono i rischi reali per il bambino?

        Il minore protagonista online può trovarsi esposto a vari pericoli:

        • La mancanza di consenso: i bambini non hanno l’età per capire appieno le conseguenze della presenza online e della monetizzazione della propria immagine.
        • Sovraesposizione e vulnerabilità: post frequenti con il volto, nome e dati possono generare una identità digitale permanente e irreversibile.
        • Impatto psicologico: la trasformazione della vita quotidiana in contenuto porta a precarietà identitaria, possibile ansia da performance e difficoltà a separare il sé reale dal sé mediatico.
        • Sfruttamento economico: contenuti professionali, sponsor e guadagni che si appoggiano sul minore come “marchio” sollevano interrogativi etici e legali.

        Verso una tutela digitale e culturale

        Per affrontare queste sfide, esperti, associazioni e istituzioni suggeriscono una doppia via: culturale e normativa. È essenziale che i genitori riflettano sul valore della privacy infantile, considerino ogni post come atto responsabile e non solo come “condivisione divertente”. Allo stesso tempo, occorre fare sistema: regolamentazioni trasparenti, limiti all’uso commerciale dell’immagine del minorenne e obbligo di destinare i proventi a favore della sua crescita.

        In Italia alcuni progetti di legge sono in fase di esame e mirano a colmare il vuoto normativo in materia di baby influencer, introducendo controlli analoghi a quelli collaudati per le modelle e gli attori minorenni.

        L’immagine di un bambino non è mai solo un post: è una traccia digitale, un diritto e una responsabilità. Quando una famiglia decide di trasformare la quotidianità di un figlio in contenuto virale, è chiamata non solo a riflettere sul presente, ma anche sul futuro del minore. E la società, da parte sua, deve garantire che quella visibilità non diventi una forma di esposizione irreversibile.

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          Curiosità

          Esiste una macchina per il trapianto di testa? Ecco un video shock

          Recentemente, su YouTube è apparso un video che ha lasciato il pubblico senza parole, mostrando una procedura di trapianto di testa. Il video, che ha rapidamente accumulato migliaia di visualizzazioni, presenta una sequenza dettagliata e inquietante di quello che sembra essere un trapianto di testa umana.

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            Recentemente, su YouTube è apparso un video che ha lasciato il pubblico senza parole, mostrando una procedura di trapianto di testa. Il video, che ha rapidamente accumulato migliaia di visualizzazioni, presenta una sequenza dettagliata e inquietante di quello che sembra essere un trapianto di testa umana. Tuttavia, è importante chiarire che si tratta soltanto di un concetto futuristico e non di una procedura realmente eseguita.

            Un concetto avanzato di BrainBridge, il trapianto di testa

            Il video virale si basa sul concetto di BrainBridge, il primo sistema integrato al mondo che combina robotica avanzata e intelligenza artificiale per eseguire trapianti di testa e viso. Questo sistema all’avanguardia, sebbene ancora teorico, offre una nuova speranza per i pazienti affetti da condizioni incurabili come il cancro allo stadio 4, la paralisi e le malattie neurodegenerative come l’Alzheimer e il Parkinson.

            Robotica e intelligenza artificiale al servizio della medicina

            BrainBridge rappresenta un’innovazione straordinaria nel campo della medicina. La tecnologia avanzata utilizzata nel concetto di BrainBridge include robot chirurgici ad alta precisione e algoritmi di intelligenza artificiale che analizzano dati in tempo reale per supportare i chirurghi. Questo sistema mira a realizzare operazioni con una precisione ineguagliabile, riducendo al minimo il rischio di errori umani.

            Reazioni del pubblico

            Il video ha suscitato reazioni contrastanti tra gli spettatori. Mentre alcuni sono affascinati dalle possibilità offerte dalla tecnologia medica avanzata, altri sono preoccupati per le implicazioni etiche e morali di un trapianto di testa. La visione di una procedura così radicale, anche se solo concettuale, ha scatenato un dibattito acceso sui limiti della scienza e della medicina.

            Il futuro della chirurgia?

            Sebbene il video su YouTube mostri un trapianto di testa come se fosse una realtà imminente, è fondamentale ricordare che al momento si tratta solo di un’idea teorica. BrainBridge è ancora in fase di sviluppo e potrebbe passare molto tempo prima che una procedura del genere possa essere realmente eseguita. Tuttavia, la sua esistenza come concetto stimola la discussione su ciò che potrebbe essere possibile in futuro grazie alla continua evoluzione della tecnologia medica.

            Il video scioccante di un trapianto di testa su YouTube ha sicuramente catturato l’attenzione del pubblico globale. Sebbene attualmente si tratti solo di un concetto avanzato rappresentato da BrainBridge, esso apre le porte a un futuro in cui la robotica e l’intelligenza artificiale potrebbero rivoluzionare la chirurgia e la medicina rigenerativa. Fino ad allora, continueremo a esplorare i limiti della scienza e a discutere le sue potenziali applicazioni.

            Ricordiamo che poco fa, Elon Musk ha annunciato che Tesla, negli sviluppi futuri dell’azienda rientrerebbe la realizzazione di robot umanoidi oltre che di veicoli.

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              “Dolcetto o scherzetto?” – La vera storia dietro la tradizione di Halloween

              Da rito celtico a festa globale, il viaggio secolare di una delle usanze più amate (e fraintese) del 31 ottobre

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              Halloween

                “Dolcetto o scherzetto?” È la frase che ogni anno, la notte del 31 ottobre, risuona nei quartieri di mezzo mondo. Bambini travestiti da streghe, fantasmi e supereroi vanno di casa in casa alla ricerca di caramelle, in una delle tradizioni più riconoscibili di Halloween. Ma da dove nasce davvero questa usanza? E come si è trasformata da rito pagano a fenomeno globale di costume?

                Le origini: Samhain, la notte in cui il velo si assottiglia

                Tutto inizia molto prima della comparsa di zucche e costumi, nell’antica Irlanda celtica, oltre duemila anni fa. I druidi celebravano Samhain, il capodanno celtico che segnava la fine dell’estate e l’inizio della stagione oscura. Si credeva che, in quella notte, il confine tra il mondo dei vivi e quello dei morti si assottigliasse, permettendo agli spiriti di tornare sulla terra.
                Per tenere lontane le anime maligne, le persone accendevano fuochi sacri, lasciavano offerte di cibo davanti alle porte e indossavano maschere spaventose per confondere gli spiriti.

                Dalla superstizione alla religione

                Con l’avvento del cristianesimo, la Chiesa cercò di sostituire le antiche feste pagane con ricorrenze religiose: così, nel IX secolo, il 1° novembre divenne la festa di Ognissanti (All Hallows’ Day) e la notte precedente “All Hallows’ Eve”, da cui deriva il nome Halloween.
                La pratica di lasciare offerte ai defunti sopravvisse, ma si trasformò gradualmente: i poveri andavano di casa in casa chiedendo “soul cakes”, piccoli dolci in cambio di preghiere per le anime dei defunti. Era una sorta di “proto-trick or treat”, diffusa soprattutto in Inghilterra e Irlanda.

                L’approdo in America e la nascita del “trick or treat”

                Furono gli immigrati irlandesi e scozzesi, nell’Ottocento, a portare la tradizione di Halloween negli Stati Uniti. Qui, le usanze europee si fusero con la cultura americana, trasformandosi in un’occasione festosa più che spirituale.
                Nel primo Novecento, il “trick or treat” (letteralmente “scherzetto o dolcetto”) cominciò a comparire nei giornali e nelle scuole come modo per tenere i giovani lontani dai vandalismi tipici di quella notte. La frase minacciava scherzi in caso di rifiuto, ma divenne presto un gioco innocente e comunitario, consolidandosi dopo la Seconda guerra mondiale, quando lo zucchero tornò disponibile e i dolci divennero parte integrante della festa.

                Dalla zucca alle vetrine globali

                La Jack O’ Lantern, la zucca intagliata con un volto e illuminata da una candela, arriva sempre dall’Irlanda, dove si usavano inizialmente rape o barbabietole. La leggenda di Jack, l’avaro che ingannò il diavolo e fu condannato a vagare con una lanterna fatta di ortaggio, divenne il simbolo della notte più spettrale dell’anno. Negli Stati Uniti, le zucche arancioni, più grandi e facili da scavare, presero il suo posto e contribuirono a definire l’immaginario di Halloween.

                Halloween oggi: tra folklore e consumismo

                Oggi Halloween è una festa globale, celebrata in oltre 30 Paesi e con un impatto economico miliardario. Solo negli Stati Uniti, nel 2024, si sono spesi più di 12 miliardi di dollari in costumi, decorazioni e dolciumi, secondo la National Retail Federation.
                Anche in Italia la tradizione ha preso piede, soprattutto tra i più giovani, diventando un mix di folklore anglosassone e creatività locale. Nonostante alcune critiche legate alla commercializzazione, resta un’occasione per condividere divertimento, fantasia e — perché no — un pizzico di paura.

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