Cucina
La pastasciutta: l’inno all’Italia è servito sulle tavole del Bel Paese!
La pastasciutta è più che un semplice piatto, ma un’istituzione della cultura gastronomica italiana. Oggi, ne esistono oltre 350 tipi: dai classici spaghetti alle penne, dai rigatoni alle farfalle, fino alle orecchiette e ai cavatelli. Ogni forma ha la sua storia e la sua vocazione: condimenti semplici o elaborati, sughi di carne, pesce o verdure, la pastasciutta si presta a infinite interpretazioni, accontentando i gusti di tutti.
Le sue origini si perdono nella notte dei tempi. Tracce di pasta sono state rinvenute già in epoca etrusca e romana, sebbene l’invenzione della pasta come la conosciamo oggi sia attribuita generalmente agli arabi in Sicilia nell’alto Medioevo. Da quel momento, la pasta si è diffusa in tutta Italia, evolvendosi e assumendo forme e nomi differenti in base alle diverse regioni.

Un simbolo di condivisione e convivialità
La pastasciutta non è solo un alimento, ma un vero e proprio rito. Prepararla in casa, con le proprie mani, è un gesto d’amore e di cura verso i propri cari. Attorno alla tavola imbandita si riuniscono famiglie e amici, per condividere un momento di gioia.
Il tempo di cottura della pasta scandisce il ritmo della conversazione, i profumi del sugo che si sprigionano inebriano l’aria, il gusto avvolgente di ogni singolo boccone appaga il palato e lo spirito. La pastasciutta è un momento di festa, un’occasione per stare insieme e creare ricordi.
Oltre la tradizione: la pasta gourmet
Negli ultimi anni, la pastasciutta ha varcato i confini della tradizione, diventando protagonista anche della haute cuisine. Chef stellati l’hanno reinterpretata in chiave moderna, utilizzando ingredienti pregiati e accostamenti innovativi. Nascono così piatti gourmet che esaltano la qualità della pasta e la maestria degli chef, pur mantenendo intatto il gusto e la memoria di un alimento semplice e genuino.
Un patrimonio da tutelare
La pastasciutta rappresenta un’eccellenza del Made in Italy, riconosciuta e apprezzata in tutto il mondo. Tutelare la sua qualità e la sua tradizione è un dovere per tutti gli italiani. Numerose iniziative sono nate in tal senso, come la creazione di marchi di certificazione che garantiscono la produzione con grano italiano e metodi artigianali, e la promozione della cultura gastronomica italiana all’estero.
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Cucina
Spaghetti all’Assassina: il piatto cult che ha conquistato l’Italia
Gli spaghetti all’Assassina rappresentano una delle ricette più audaci della cucina pugliese, una vera celebrazione della semplicità degli ingredienti combinata a una tecnica di cottura unica. La tostatura degli spaghetti conferisce loro quel sapore affumicato e croccante che li rende così irresistibili, trasformando un piatto di pasta in un’esperienza da provare almeno una volta.
Gli spaghetti all’Assassina sono diventati, negli ultimi anni, una ricetta cult che ha affascinato non solo i palati pugliesi, ma anche i buongustai di tutto il mondo. Questo piatto nasce a Bari negli anni ’70, nelle cucine popolari della città, come una versione “spinta” della classica pasta al pomodoro. Il nome stesso, “all’Assassina”, suggerisce un piatto audace, forte, quasi “pericoloso”, grazie al suo sapore deciso e alla particolare tecnica di cottura che gli conferisce una croccantezza unica.
La particolarità degli spaghetti all’Assassina sta nel modo in cui vengono cotti: non sono bolliti come di consueto, ma risottati, ovvero cotti direttamente in padella con un sugo di pomodoro molto concentrato. Questa tecnica permette alla pasta di assorbire tutto il gusto del pomodoro e del peperoncino, lasciando gli spaghetti ben tostati e croccanti. La croccantezza che si ottiene sulla parte esterna della pasta è ciò che rende questo piatto unico e tanto amato, un piatto che combina il sapore intenso della cucina pugliese con una consistenza quasi “bruciata”, in perfetto stile street food.
Proprietà nutrizionali
Come tutti i piatti di pasta, anche gli spaghetti all’Assassina forniscono una buona quantità di carboidrati complessi, che rappresentano una fonte di energia a lungo termine per il corpo. Il pomodoro, uno degli ingredienti principali, è ricco di licopene, un potente antiossidante che favorisce la salute del cuore e della pelle. Tuttavia, è importante notare che la quantità di olio utilizzata nella preparazione potrebbe rendere il piatto piuttosto calorico. Inoltre, l’uso del peperoncino contribuisce ad accelerare il metabolismo grazie alla capsaicina, una sostanza presente in questa spezia piccante.
Un piatto di spaghetti all’Assassina è ricco di sapore, ma va gustato con moderazione, soprattutto se si è attenti alla propria dieta. La versione tradizionale prevede un uso generoso di olio e il processo di tostatura della pasta può aumentare il contenuto calorico, rendendolo meno adatto per chi cerca piatti leggeri.
Ricetta originale
Gli spaghetti all’Assassina richiedono pochi ingredienti, ma la tecnica di preparazione è essenziale per ottenere il risultato giusto. Ecco i passaggi principali:
Ingredienti:
- 400 g di spaghetti (rigorosamente crudi)
- 500 ml di passata di pomodoro
- 2 cucchiai di concentrato di pomodoro
- 2 spicchi d’aglio
- Olio extravergine d’oliva (q.b.)
- Peperoncino (a piacere)
- Brodo di pomodoro (acqua e passata diluita)
- Sale (q.b.)
Preparazione:
- In una padella ampia, fate soffriggere l’aglio e il peperoncino nell’olio extravergine d’oliva fino a doratura.
- Aggiungete il concentrato di pomodoro e mescolate fino a che non si scioglie nell’olio.
- Unite gli spaghetti crudi direttamente nella padella e iniziate a tostarli a fuoco medio, mescolandoli spesso.
- A poco a poco, iniziate ad aggiungere il brodo di pomodoro, come se fosse un risotto, facendo in modo che la pasta lo assorba poco a poco. Continuate a mescolare e a tostare gli spaghetti.
- Quando gli spaghetti saranno cotti e croccanti all’esterno, aggiustate di sale e servite ben caldi.
Varianti
Nel tempo, sono nate diverse varianti di questo piatto. Alcuni preferiscono aggiungere un tocco di formaggio, come pecorino o parmigiano, per conferire una maggiore cremosità. Altri optano per un’aggiunta di olive nere o capperi per dare un tocco salato. Una versione più moderna prevede l’uso di pomodori ciliegini freschi insieme alla passata, per dare un sapore più dolce e meno concentrato.
Cucina
Sacripantina, il dolce genovese che ha fatto il giro del mondo
Dalla letteratura cavalleresca a ingredienti semplici trasformati in opera d’arte: storia, curiosità e una ricetta casalinga per preparare la Sacripantina anche fuori dalla Liguria.
Un dolce con data e firma: l’invenzione di Preti
La Sacripantina è una delle rarissime torte italiane la cui nascita è documentata con precisione: fu ideata nel 1851 dal pasticciere genovese Giovanni Preti, fondatore della storica Pasticceria Preti di Piazza Portello. Non un’evoluzione spontanea della tradizione, ma un dolce costruito con cura, studiato per stupire la borghesia dell’epoca.
La forma a cupola, che ricorda le gonne delle dame ottocentesche, racchiude strati di pan di Spagna intriso nel Marsala, alternati a crema al burro e cacao e completati da una pioggia di briciole dorate. Un equilibrio apparso subito così riuscito da diventare patrimonio cittadino: la Sacripantina è oggi inserita tra i Prodotti Agroalimentari Tradizionali (PAT) della Liguria.
Il nome tra mito, letteratura e ironia
Prima della torta “femminile”, esisteva il Sacripante, dolce più basso e ricco di liquori. Il nome arriva direttamente dal mondo cavalleresco: Sacripante è infatti un personaggio dell’“Orlando Innamorato” di Boiardo e dell’“Orlando Furioso” di Ariosto. Re di Circassia, valoroso ma anche un po’ spaccone, è innamorato di Angelica e compie imprese ardite per conquistarla.
Preti scelse quel nome proprio per evocare sfarzo e carattere: una creazione audace, ricca e scenografica come il suo ispiratore letterario. Da qui, la versione “al femminile” — Sacripantina — ideata per una clientela più moderna e raffinata.
La Pasticceria Preti: tradizione e innovazione dal 1851
Il successo del dolce contribuì alla crescita della pasticceria, che dagli anni Trenta vanta il brevetto della “Delizia Sacripantina”. Nel tempo l’azienda ha ampliato la produzione mantenendo tecniche artigianali e lievitazione naturale; nel 2014 addirittura il lievito madre Preti è stato registrato presso la Biblioteca Mondiale dei Lieviti Naturali dell’Università di Bari.
Accanto al laboratorio storico di Genova, oggi opera uno stabilimento moderno a Sant’Olcese, che rifornisce pasticcerie italiane e clienti esteri.
Una torta viaggiatrice, dall’America alla tavola degli chef
Come molti dolci genovesi, anche la Sacripantina ha seguito le rotte dei migranti, arrivando fino a San Francisco, dove lo Stella Pastry & Café si definisce “Home of the Sacripantina”. Copie e reinterpretazioni sono diffuse anche in America Latina: a San Paolo (Brasile) il ristorante “Zena” la serve come simbolo della cucina ligure.
Il dolce ha ispirato anche gli chef italiani: Ivano Ricchebono la arricchisce con scaglie di cioccolato, Sal De Riso sceglie una crema allo zabaione, mentre Carlo Cracco ne propone una versione con pan di Spagna al maraschino e confettura.
Ricetta della Sacripantina (versione casalinga affidabile)
Ingredienti (per una torta da 22 cm)
Per il pan di Spagna:
- 5 uova
- 150 g zucchero
- 150 g farina 00
- 1 bustina vanillina
Per la crema al burro:
- 200 g burro morbido
- 150 g zucchero a velo
- 2 tuorli pastorizzati
- 1 cucchiaio di Marsala
Per la crema al cacao:
- metà della crema al burro
- 2 cucchiai cacao amaro
- 1 cucchiaio di rum
Per la bagna:
- 150 ml Marsala
- 50 ml acqua
Per decorare:
- briciole di pan di Spagna
- zucchero a velo (facoltativo)
Procedimento
- Preparare il pan di Spagna.
Montare le uova con lo zucchero per almeno 10 minuti, finché gonfie e chiare. Incorporare la farina setacciata e la vanillina mescolando dal basso verso l’alto. Cuocere a 170°C per 30–35 minuti. Lasciare raffreddare completamente. - Preparare le creme.
Lavorare il burro morbido con lo zucchero a velo fino a ottenere una crema chiara. Unire i tuorli e il Marsala. Dividere la crema in due ciotole: in una aggiungere cacao e rum. - Montare la torta.
Tagliare il pan di Spagna in più dischi sottili e ricavare anche dei cubetti o briciole per il rivestimento. Foderare una ciotola a cupola con pellicola. Sistemare un primo strato di pan di Spagna, bagnarlo leggermente con il Marsala diluito e spalmare uno strato di crema chiara. Proseguire alternando strati di crema chiara e crema al cacao, fino a riempire la cupola. - Completare.
Chiudere con un ultimo disco di pan di Spagna, pressare leggermente e riporre in frigo per almeno 4 ore. Sformare la torta, coprirla di crema rimasta e ricoprire interamente con briciole di pan di Spagna. - Servire.
Cucina
Surimi, il “granchio finto” che divide: cosa contiene davvero e come usarlo senza rischi
Spesso chiamato “bastoncino di granchio”, in realtà del crostaceo conserva solo il sapore artificiale. Ecco come nasce, cosa contiene e come sceglierlo con consapevolezza.
Dal Giappone alle nostre tavole
Lo chiamano “granchio finto” e, a ben vedere, l’appellativo è azzeccato. Il surimi – parola giapponese che significa letteralmente carne macinata – è una pasta di pesce tritato e lavorato, oggi diffusa in tutto il mondo nella forma dei noti bastoncini bianchi e arancioni.
Nato in Giappone nel XIV secolo, il surimi era originariamente un modo per conservare il pesce e riutilizzarne gli scarti. I cuochi giapponesi lo trasformavano in una base versatile per altri piatti, come il kamaboko, il chikuwa o il più famoso narutomaki, il disco bianco con la spirale rosa che compare spesso nelle ciotole di ramen.
Oggi, però, il surimi che troviamo nei supermercati europei e americani è molto diverso da quello tradizionale. Con la sua produzione industriale di massa, è diventato un alimento comodo e pronto all’uso, ma anche uno dei simboli dei cibi ultraprocessati.
Cosa contiene davvero il “granchio finto”
Dietro al suo aspetto invitante e al sapore marino, il surimi nasconde una ricetta piuttosto complessa.
La base resta il pesce bianco tritato – perlopiù merluzzo dell’Alaska, ma talvolta anche sgombri, carpe o pesci tropicali – che rappresenta solo il 30-40% del totale. Il resto è un mix di additivi, amidi e aromi.
Gli ingredienti principali del surimi industriale includono:
- Amidi e fecole, che servono a dare consistenza alla pasta;
- Aromi artificiali, per imitare il gusto del granchio;
- Proteine dell’uovo, che migliorano elasticità e tenuta;
- Sale e zuccheri, per esaltare il sapore;
- Coloranti naturali o sintetici, responsabili delle tipiche striature arancioni.
In pratica, il surimi non contiene vera polpa di granchio: il suo gusto deriva da aromi e condimenti che ne simulano l’aroma. Per questo in molti Paesi, tra cui l’Italia, è vietato venderlo come “granchio”, pena l’inganno per il consumatore.
Dalla tradizione all’industria alimentare
La forma moderna del surimi è frutto della ricerca giapponese del Novecento. Il tecnologo alimentare Nishitani Yōsuke mise a punto una versione stabile e conservabile, aprendo la strada alla sua diffusione in Asia, negli Stati Uniti e infine in Europa.
Il processo di produzione prevede tre fasi:
- Lavaggio e triturazione del pesce, per ottenere una pasta bianca priva di odori forti;
- Impasto con amidi e additivi, per renderlo compatto e modellabile;
- Cottura e confezionamento, che danno vita ai bastoncini pronti all’uso.
Questo tipo di lavorazione prolunga la conservazione ma riduce notevolmente il valore nutrizionale del prodotto originale.
È salutare? Solo se consumato con moderazione
Dal punto di vista nutrizionale, il surimi fornisce proteine di discreta qualità, ma anche molti additivi e sodio. Secondo il Ministero della Salute giapponese, un consumo occasionale non rappresenta rischi particolari, ma abusarne può contribuire a un eccesso di sale e zuccheri nella dieta.
I dietisti consigliano di non considerarlo un sostituto del pesce fresco: il surimi ha meno omega-3, meno minerali e più conservanti. Per questo, è meglio riservarlo a piatti occasionali, come insalate di mare, sushi o poke, senza farne un alimento abituale.
Come sceglierlo e conservarlo
Se decidete di acquistarlo, è importante leggere con attenzione l’etichetta. I prodotti migliori riportano:
- una percentuale di pesce superiore al 40%,
- la specifica della specie utilizzata,
- assenza di glutammato e coloranti artificiali.
Evitate, invece, i bastoncini troppo colorati o con una lunga lista di additivi.
Per conservarlo, attenetevi alle indicazioni:
- fresco → in frigorifero e consumato entro 48 ore dall’apertura;
- surgelato → in freezer, da scongelare lentamente in frigo.
Un ingrediente da riscoprire con criterio
Il surimi resta un prodotto interessante per la sua storia gastronomica e per la versatilità in cucina, ma non va confuso con il pesce vero e proprio.
Usato con misura, può aggiungere un tocco di sapore e colore a piatti freddi o orientali; consumato regolarmente, invece, può trasformarsi in una fonte eccessiva di sale e additivi.
Come spesso accade nell’alimentazione moderna, la chiave sta nell’equilibrio: conoscere ciò che mangiamo ci aiuta a scegliere con consapevolezza. E in questo caso, il “granchio finto” può restare un piccolo sfizio, ma non un’abitudine quotidiana.
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