Libri
Bunny Mansion, scuola guida per aspiranti ‘conigliette’ secondo Crystal Hefner
Crystal Hefner, vedova di Hugh Hefner, detto Hef ideatore e fondatore di Playboy ha pubblicato un libro di memorie dove si racconta l’epopea di Bunny Mansion la maison di Hefner dove hanno abitato migliaia di ‘conigliette’

Crystal Hefner, vedova di Hugh Hefner, detto Hef ideatore e fondatore di Playboy nel suo libro di memorie racconta l’epopea di Bunny Mansion, la maison di Hefner dove hanno abitato migliaia di ‘conigliette’.
Ma com’era la vita all’interno della villa più erotica del secolo?
Non era quello che ti aspetti dice Zeleb una delle conigliette che come prima impressione puntualizza tra gioia e terrore: “Una volta entrati era difficile trovare l’uscita“. Andiamo bene. E come mai, ci sorge spontaneo chiederci. Una serie di testimonianze di come si viveva in quella villa ci aiutano a capire alcuni perché. Crystal, per esempio, si trasferì nella villa nel 2008 dopo aver inviato una sua foto a Hugh Hefner, che la invitò a una festa. Ben presto, abbandonò gli studi di psicologia per sostituire Holly Madison, ex fidanzata di Hefner. La vedova, di umile estrazione, ebbe la sfortuna di perdere il padre ancora adolescente che la lasciò in una situazione economicamente precaria e psicologicamente difficile.
Una gabbia dorata
Per questo la villa le sembrò un vero e proprio eldorado. “Una situazione che non avrei mai immaginato di poter vivere. Venivo da un mondo dove non avevo niente“. Una volta preso possesso dei suoi spazi Crystal viene a contatto con un mondo che non aveva mai visto prima. Viene a contatto con il potere. Forse il potere dei soldi. Ma non solo. “I muri hanno iniziato a chiudersi intorno a me. Penso che le donne vulnerabili siano attratte da situazioni del genere. Ancora non capisco perché. Questo è uno dei motivi per cui ho ripreso a studiare psicologia. Per capire bene cosa succede a certe donne che vengono in contatto con questi mondi“. Quando Crystal arrivò alla Bunny Mansion aveva solo 21 anni. Oggi, a 37 anni, tra le pagine del suo romanza cerca di spiegarsi le dinamiche degli eventi che ha vissuto.
Il lavaggio del cervello
“Credo che mi abbiano fatto il lavaggio del cervello, perché alla fine mi sono resa conto che ci sono rimasta per dieci lunghi anni senza che nulla apparentemente andasse male. Sto ancora cercando di capire come è stato possibile. Ho il sospetto che mi fosse stato fato un lavaggio del cervello“. In un documentario l’ex assistente di Hefner, Lisa Loving Barrett, ha spesso citato l’abuso di sostanze illegali come parte del suo lavoro. Incaricata di procurarsi tutte le prescrizioni per le pillole sedative, Lisa le definisce “un male necessario per vivere in quella villa“. Ma nella relazione tra il padrone di casa e le future ‘conigliette’ c’era anche uno scambio di denaro? Sembra proprio di sì perché alle ospiti non era consentito lavorare all’esterno della villa. Ricevevano un assegno settimanale di circa 1.000 dollari. E dovevano fare la fila per prendere i soldi.
Tutte in fila per la busta paga
Come ricorda Crystal, a Hefner piaceva farle aspettare, quindi si prendeva il tempo necessario per contare ogni banconota prima di consegnarle alle ragazze. Una umiliazione?. Una perversione? Un disturbo mentale…? Di certo alla maison di Hugh le regole erano rigide. Izabella St. James, una delle conigliette, nella sua autobiografia “Bunny Tales“, sottolinea che infrangere anche una sola regola poteva comportare la perdita di quello stipendio. “C’era il coprifuoco. Dovevamo essere tutte nella villa entro le 21 ogni sera, a meno che non fossimo con Hef in un club o ad un evento.” Nei video di quegli anni girati durante feste ed eventi appaiono anche “celebrità, politici e imprenditori, alcuni dei quali erano sposati“, rivela Crystal. Quando ha chiesto a Hugh se le persone sapevano che erano state filmate, lui ha alzato le spalle e ha risposto: “È la mia camera da letto. E’ casa mia, il resto non mi interessa“.
E per il sesso come era considerata la casa di Hugh?
Nel suo libro Crystal descrive il tragitto verso la camera da letto di Hefner a fine serata. “Ho fatto cose con cui non mi sentivo a mio agio. Non ero attratta fisicamente da un uomo di 80 anni. Cercavo solo di sopportare. Le altre ragazze? Non ci piacevamo. Eravamo lì solo per Hef.” Per segnalare la disponibilità a fare sesso in villa si usava il linguaggio dei pigiami. Come?
Esisteva un sistema di comunicazione particolare che coinvolgeva i pigiami delle ragazze. “Se tenevi addosso i pantaloni del pigiama, era un segno che non volevi avere contatti quella notte.” La prima notte non si è sentita a suo agio e ha tenuto i pantaloni addosso. Durante gli incontro Hefner non utilizzava mai protezioni, il che metteva in forte imbarazzo molte ragazze che si sentivano letteralmente a disagio. Un sistema accettato tanto che Crystal alla fine sposa Hefner che di anni ne aveva 60 più di lei. “Mi ha consegnato l’anello in una scatola e ha detto che sperava che andasse bene. Non mi ha dato la possibilità di dire di no.”
Nel letto tante conigliette, ma in fondo era un romantico
Eppur anche se al magnate Hefner piaceva condividere il letto con molte conigliette ce la metteva tutta per essere anche un romantico. “Ma purtroppo“, scrive Crystal “Le poche volte in cui ha cercato di essere romantico o intimo è stato semplicemente imbarazzante. Non aveva idea di come farlo“. Madison, una delle poche conigliette a raccontare le sue avventure, è stata molto schietta riguardo alle sue esperienze nella camera da letto di Hefner. Sul podcast di Bridget Marquardt, dice “Era proprio un inferno. Lo consideravamo un lavoro di routine che dovevamo fare, altrimenti saremmo state cacciate di casa. E tutte volevano solo farlo il più rapidamente possibile“..
Ma almeno la vita in villa era confortevole?
Per nulla, la casa non era molto ben tenuta. Come scrive Izabella St James nella sua autobiografia. Le stanze erano decorate come se qualcuno fosse andato in un negozio di beneficenza e avesse comprato l’essenziale. Materassi disgustosi: vecchi, logori e macchiati… tappeti sporchi e biancheria dei bagni usata con la presenza di malattie e batteri. Insomma una giornata tipo di una coniglietta nella villa di Hugh Hefner non era quello che ti aspetti. Molte di loro durante il loro soggiorno si sono ammalate di malattie più disparate. Febbre, mal di testa, tosse, mancanza di respiro e dolori. Tanto che alcuni ispettori sanitari trovarono tracce di batteri appartenenti al genere Legionella persino nella vasca idromassaggio della villa.
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Libri
I cani amano la loro vita più di quanto noi amiamo la nostra? La riflessione di Mark Rowlands
Nel libro The Word of Dog, Mark Rowlands analizza il modo in cui i cani vivono la loro vita con intensità e autenticità, senza essere paralizzati dall’autocoscienza riflessiva che caratterizza gli esseri umani. La loro felicità è immediata, il loro senso della vita naturale e totale.

Secondo il filosofo Mark Rowlands, i cani amano la loro vita più di quanto noi amiamo la nostra. Nel suo nuovo libro, The Word of Dog: What Our Canine Companions Can Teach Us About Living a Good Life, il professore dell’Università di Miami affronta un tema provocatorio: e se la vita di un cane fosse più significativa di quella del suo padrone? Se gli esseri umani si trascinano in un’esistenza fatta di dubbi e riflessioni, i cani vivono immersi nel presente, senza il fardello della consapevolezza riflessiva descritta da Jean-Paul Sartre.
Un cane ama la sua vita con tutto ciò che ha, perché è tutto ciò che ha, scrive Rowlands, sottolineando la differenza fondamentale tra la nostra esistenza e quella dei nostri compagni a quattro zampe: noi esitiamo, analizziamo, valutiamo. Loro agiscono, senza rimpianti né esitazioni.
L’assenza di riflessione come chiave della felicità
Nel suo saggio, Rowlands non si limita a esplorare il comportamento animale, ma propone una lettura filosofica della loro esistenza. Secondo lui, un cane può provare più gioia di un essere umano proprio perché non è gravato dall’autocoscienza riflessiva che Sartre considerava una delle più grandi condanne dell’umanità. Un cane non si chiede se inseguire una palla abbia senso, non mette in discussione la ripetitività delle sue azioni. Lo fa e basta. E la gioia sta proprio in questo.
L’autore porta l’esempio del suo pastore tedesco, Shadow, il cui testosterone alle stelle e l’atteggiamento dominante lo tengono lontano dai parchi per cani. Shadow non si preoccupa delle conseguenze delle sue azioni: marca il territorio, sfida altri cani, rincorre iguane per il semplice piacere di farlo, senza mai prenderne una. Per Rowlands, questo comportamento è simile alla punizione eterna di Sisifo, costretto a spingere un masso su per una collina solo per vederlo rotolare giù. La differenza? Shadow lo fa con entusiasmo, ogni giorno, senza domandarsi perché.
Vivere una vita da attori, non da spettatori
La teoria di Rowlands è chiara: i cani non sono spettatori della propria esistenza, non stanno a guardare e giudicare ciò che accade. Sono attori e autori della loro vita, mentre gli esseri umani oscillano costantemente tra il vivere e il riflettere su ciò che vivono, finendo spesso per paralizzarsi nel dubbio.
«Trovare un senso alla vita è difficile per noi, ma facile per i cani», afferma Rowlands. «La felicità di un cane erutta dalla sua natura più profonda, mentre per noi è un risultato duramente conquistato e raramente raggiunto.»
Mentre noi ci tormentiamo con analisi e bilanci, i cani semplicemente esistono, vivono il momento e lo amano per quello che è. Non si chiedono se le loro vite abbiano significato, non si pongono domande esistenziali. E proprio per questo, paradossalmente, potrebbero essere più vicini alla felicità di quanto lo saremo mai noi.
L’uomo diviso in due vite, il cane nella sua unica esistenza
Per Rowlands, la vita di un cane è più significativa della nostra perché non è divisa. Noi viviamo due vite: quella che trascorriamo e quella che osserviamo dall’esterno, analizzandola, giudicandola, riconsiderandola. Un cane ha una sola vita, e la vive fino in fondo.
«Non potremo mai amare le nostre due vite con la passione di un cane», scrive Rowlands. Un cane ha una sola vita, e di questa è attore e non spettatore, autore e non critico.
Forse dovremmo imparare da loro. Forse la vera chiave per una vita più felice è smettere di chiederci il perché di ogni cosa e, semplicemente, vivere.
Libri
“Il tempo dell’odio” di Antonio Lanzetta: una nuova edizione per un viaggio nell’oscurità dell’animo umano
Il romanzo, ambientato nel Cilento durante la Seconda Guerra Mondiale, torna disponibile in una nuova edizione autoprodotta dall’autore.

Torna in una nuova veste uno dei libri più intensi di Antonio Lanzetta, “Il tempo dell’odio”, disponibile in una nuova versione su Amazon all’indirizzo https://amzn.eu/d/iSVo6aY . Lo scrittore salernitano , noto per la sua capacità di intrecciare storie avvincenti con atmosfere cupe e misteriose, ripropone al pubblico quello che da molti è considerato come il suo libro più rappresentativo.
Gli esordi fantasy e poi tanto giallo
Lanzetta ha iniziato la sua carriera letteraria dedicandosi al genere fantasy, con opere come “Warrior” e “Revolution”, entrambe pubblicate da La Corte Editore. Successivamente, ha virato verso il thriller, ottenendo riconoscimenti significativi con il racconto breve “Nella pioggia”, finalista al premio “Gran Giallo Cattolica”, e con romanzi come “Il buio dentro”, tradotto in Francia, Canada e Belgio, e citato dal “Sunday Times” come uno dei cinque migliori thriller stranieri dell’anno.
Negli ultimi anni, Lanzetta ha collaborato con Newton Compton Editori, pubblicando titoli come “L’uomo senza sonno”, “Delitto in riva al mare” e “Luna rosso sangue”. “L’uomo senza sonno” ha ottenuto riconoscimenti internazionali, vincendo il Prix Coup de Coeur du Jury Noir Charbon 2024 a Orchies, in Francia.
“Il tempo dell’odio” è ambientato nel suggestivo Cilento durante l’estate del 1943 e segue la drammatica vicenda di Michele, un ragazzo di quattordici anni la cui vita viene sconvolta da un atto di violenza che lo costringe a confrontarsi con la brutalità del mondo adulto. Lanzetta, spesso definito non a torto lo “Stephen King italiano”, mescola abilmente elementi storici con atmosfere gotiche e western, creando un racconto che esplora i confini tra bene e male, coraggio e odio. La sua scrittura cinematografica e coinvolgente trasporta il lettore in un viaggio emotivo attraverso le ombre dell’animo umano.
L’intervista
D: Cosa l’ha spinta a ripubblicare “Il tempo dell’odio” in una nuova edizione autoprodotta?
R: “Desidero condividere con voi un pezzo del mio cuore: ‘Il tempo dell’odio’, uno dei miei lavori preferiti, torna disponibile su Amazon in una nuova edizione autoprodotta. Questa storia è nata dal desiderio di esplorare quei momenti in cui ci si sente smarriti, quando la strada di casa sembra lontana e incerta.”
D: Quali temi ha voluto approfondire attraverso la storia di Michele?
R: “Il romanzo segue il giovane Michele, un ragazzo di quattordici anni la cui vita viene sconvolta da un atto di violenza che lo costringe a confrontarsi con la brutalità del mondo adulto. È una storia di formazione che intreccia temi di resistenza e antifascismo, ma soprattutto scava negli angoli più oscuri dell’animo umano, mettendo in luce la sottile linea tra bene e male.”
D: Quali influenze stilistiche hanno guidato la scrittura del romanzo?
R: “Ho cercato di infondere nelle pagine l’atmosfera del Southern Gothic americano e del western, con personaggi complessi e ambientazioni che riflettono le ombre e le luci dell’umanità.”
“Il tempo dell’odio” è un’opera che non solo intrattiene, ma invita il lettore a riflettere sulla resilienza umana e sulle scelte impossibili che la vita ci impone. Un viaggio letterario che promette di lasciare un segno indelebile nel cuore di chi legge.
La trama
“La morte venne a cercarmi nell’estate del 1943. Avevo quattordici anni quando sparai per la prima volta in faccia a un uomo. È passato molto tempo da allora e le cose che ho fatto, le cose brutte che sono stato costretto a fare, mi hanno cambiato per sempre.”
Cilento, un angolo del sud d’Italia intrappolato tra le braccia della guerra e l’ombra di un regime al tramonto. Michele, quattordici anni, vive una quotidianità scandita dal lavoro nei campi e dai silenzi di un padre lontano, disperso in Africa. Ma l’estate segna l’inizio di un incubo: tornato a casa, trova la sua famiglia distrutta da un manipolo di fascisti. La madre giace senza vita, le due sorelle sono strappate via, e il mondo che conosceva viene inghiottito dalla violenza.
Sopravvissuto per miracolo, Michele si ritrova costretto a crescere troppo in fretta, affrontando l’orrore e il peso della vendetta. Rifugiatosi da un’anziana vicina, scoprirà che anche nel cuore della disperazione germogliano il coraggio e l’odio.
Tra le pieghe di un’Italia devastata, Il tempo dell’odio è un romanzo di formazione che scava nel buio dell’anima umana, illuminando i legami spezzati, le scelte impossibili e la resilienza di un ragazzo che lotta per sopravvivere.
Un libro per chi ha smarrito la strada e cerca di tornare a casa. Una storia che parla di memoria, resistenza e sacrificio.
Libri
Un sogno così, il nuovo libro di Paolo Colombo presentato alla Fondazione ATM di Milano
Nella parabola privata di una famiglia, la sua, l’autore traccia un’epopea che si svolge nella cornice della Storia collettiva del nostro paese: con le sue miserie, i suoi riscatti e, più spesso di quanto siamo soliti pensare, i suoi squarci di grandiosità.

Fondazione ATM ospita Paolo Colombo per un incontro con le lettrici e i lettori dedicato alla presentazione del suo nuovo libro, Un sogno così (Feltrinelli). L’evento si terrà giovedì 23 gennaio 2025, alle ore 17:30, in Via Carlo Farini 9 a Milano. Un’occasione unica per immergersi in una vicenda che celebra il valore della comunità, della famiglia e della resilienza.
Quando il racconto personale si fonde con la storia del nostro Paese
Ambientato al Giambellino, storico quartiere della periferia sud-ovest di Milano, racconta un’appassionante saga familiare nel secondo dopoguerra. Il romanzo narra la storia di Carlo, giovane e intraprendente, che trasforma un piccolo negozio di ferramenta in un simbolo di rinascita per la comunità locale. Attorno a lui si sviluppano le vite di personaggi intensi, in un intreccio che unisce il racconto personale alla grande Storia d’Italia.
L’autore
Paolo Colombo è professore ordinario di Storia delle istituzioni politiche presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, dove insegna anche Storia contemporanea. Creatore e promotore del progetto “Storia e Narrazione”, ha scritto numerosi saggi e collaborato con RaiStoria e Rai3.
Un estratto dal libro
Un passaggio del suo nuovo libro descrive con grande sensibilità la trasformazione del quartiere che fa da sfondo alla storia: “Capolinea, limitare estremo di via Giambellino. Il rondò nuovo. Qualcuno chiamava così la piazza, perché in fondo non era molto, solo dal ’48, che il tram arrivava fin lì. In precedenza la linea s’interrompeva oltre un chilometro indietro, al rondò vecchio, che continuava a venir chiamato in quel modo, pure ora che oramai rondò non era neppure più ma si era trasformato in un normale, appena un poco più ampio, incrocio di vie. Prima della guerra, oltre il rondò vecchio, non c’era praticamente nulla: prati lasciati al pascolo di mucche e pecore, qualche cascina sparsa qua e là, canali di irrigazione, marcite, fossi e, più spesso che no, nebbia. La strada che proseguiva oltre il rondò vecchio era uno sterrato punteggiato di buche e, per diversi mesi all’anno, pozzanghere. La si percorreva con una sgangherata corriera che la fantasia dei milanesi, forse affamati di esotico, aveva battezzato “Carioca”. Vai a capire come e perché.”
Dove si svolgerà la presentazione
Fondazione ATM, nata nel 1998, è un punto di riferimento per il benessere e la solidarietà dei dipendenti ATM, promuovendo iniziative culturali, sociali e ricreative. La Fondazione ha come missione il miglioramento della qualità della vita dei suoi membri, valorizzando il patrimonio storico e culturale dell’azienda e della città.
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