Connect with us

Lifestyle

Mattinieri o nottambuli: ecco chi fa più carriera

Adattarsi ai propri ritmi naturali potrebbe essere la chiave per una carriera di successo e una vita equilibrata.

Avatar photo

Pubblicato

il

    La questione se sia meglio essere mattinieri e svegliarsi presto al mattino o dei nottambuli e lavorare fino a tardi per avere successo nella carriera è sempre attuale. Secondo un articolo dell’Economist, molti amministratori delegati delle grandi aziende americane, come Tim Cook di Apple e Bob Iger della Disney, si svegliano tra le 4 e le 5 del mattino. Anche Indra Nooyi, ex CEO di PepsiCo, è nota per le sue sveglie mattutine. Un sondaggio ha rivelato che due terzi degli amministratori delegati delle grandi aziende americane sono in piedi alle 6, mentre meno di un terzo degli americani in generale si alza così presto.

    Gli esempi italiani

    Anche in Italia ci sono esempi di “allodole” tra i manager di successo, come Vittorio Colao, Brunello Cucinelli e Laura Burdese. Per loro, il messaggio è chiaro: svegliarsi presto è un ingrediente del successo. Oltre a ciò, molti di loro praticano attività fisica mattutina, bevono acqua con limone e dedicano tempo alla lettura delle email e alla riflessione sui problemi più complessi prima che la giornata lavorativa inizi ufficialmente.

    Il giudizio sociale sui nottambuli

    I nottambuli, invece, spesso affrontano giudizi negativi. Uno studio del 2012 dell’Università di Toronto ha mostrato che i mattinieri si sentono più felici e sani rispetto ai nottambuli, che tendono a dormire meno e soffrono di più in termini di umore, salute e produttività. Un’altra ricerca dell’Università di Oulu in Finlandia ha rivelato che gli uomini che si alzano tardi guadagnano in media il 4% in meno rispetto ai mattinieri.

    I rischi di alterare i propri ritmi

    Tuttavia, forzare il proprio ritmo circadiano può essere controproducente. Uno studio del 2022 dell’Oregon State ha mostrato che i nottambuli sono spesso percepiti come “pigri”, “indisciplinati” e “immaturi”, ma cercare di svegliarsi presto contro la propria natura può portare a una maggiore stanchezza e frustrazione. Il cronotipo di una persona è in gran parte determinato dai geni, quindi imporsi una sveglia innaturale non è la soluzione ideale.

      SEGUICI SU INSTAGRAM
      INSTAGRAM.COM/LACITYMAG

      Curiosità

      Fotografato nudo da Google Street View: poliziotto argentino vince la causa e ottiene un risarcimento

      Secondo i giudici argentini, la privacy dell’uomo è stata violata in modo palese: Google dovrà risarcirlo con 12.500 dollari. Decisivo il fatto che fosse all’interno della sua proprietà, protetta da un alto muro.

      Avatar photo

      Pubblicato

      il

      Autore

      Google Street View

        Era un giorno come tanti nel 2017, quando un poliziotto argentino, in un momento di relax nel giardino di casa sua, fu immortalato nudo dalle telecamere mobili di Google Street View. L’immagine, sfuggita alle consuete procedure di oscuramento automatico, mostrava l’uomo completamente nudo dietro un muro di oltre due metri, nel cortile privato della sua abitazione. Il caso, inizialmente trascurato, si è trasformato in un lungo iter giudiziario che ha ora trovato la sua conclusione: Google dovrà risarcire l’uomo con 12.500 dollari.

        La vicenda è emersa quando la foto ha iniziato a circolare online, accompagnata dal nome della via e dal numero civico, elementi ben visibili nell’inquadratura. La combinazione di questi dati ha reso l’uomo facilmente identificabile, esponendolo al ridicolo tra colleghi e residenti del piccolo centro in cui vive.

        In un primo momento, un tribunale aveva respinto il ricorso del poliziotto, ritenendo che fosse stato lui a comportarsi in modo inappropriato nel proprio giardino. Ma la Corte d’Appello ha ribaltato la sentenza, stabilendo che non si trattava di uno spazio pubblico. Bensì privato e protetto da una barriera “più alta della media umana”. L’inquadratura è stata quindi definita come una “palese invasione della privacy”.

        La corte ha evidenziato anche una falla nei protocolli di Google, che solitamente sfoca i volti e le targhe. “In questo caso non si trattava di un volto, ma dell’intero corpo nudo di una persona, un’immagine che avrebbe dovuto essere evitata con ogni mezzo”, si legge nella sentenza.

        Assolte invece da ogni responsabilità la compagnia telefonica Cablevision SA e il sito di notizie El Censor, che avevano rilanciato la foto.

        Il caso solleva nuove domande sull’equilibrio tra tecnologia e tutela della privacy, dimostrando che, anche nell’era del digitale, il diritto alla riservatezza rimane fondamentale.

          Continua a leggere

          Tempo libero ed interessi

          “No, I’m Not a Human” conquista il web: ecco perché il thriller russo sta diventando virale

          Un videogioco indie russo ambientato in un mondo post-apocalittico con dieci finali diversi ha catturato l’attenzione di streamer e comunità online. La combinazione di suspense, scelte morali e condivisione virale spiega il boom improvviso.

          Avatar photo

          Pubblicato

          il

          Autore

          No, I’m Not a Human

            Quando un titolo indie sorprende tutti, è perché ha trovato la formula perfetta tra gameplay, atmosfera e comunità. “No, I’m Not a Human” ne è un esempio lampante. Ambientato in una Russia che lotta contro un sole mortale e creature che assumono sembianze umane, il gioco lega l’azione a scelte morali — e questo lo rende virale.

            Un mondo che spinge alla paranoia

            Nel titolo, sviluppato dallo studio russo Trioskaz e pubblicato da Critical Reflex, il giocatore vive di notte, in un mondo in cui uscire al giorno è letale. Di sera giungono alla porta del protagonista persone in cerca di rifugio — ma una parte di loro è composta da “Visitors”, esseri che imitano gli umani e vogliono infiltrarsi. L’obiettivo è capire chi è amico e chi estraneo, selezionare chi far entrare e chi no, basandosi su indizi che il gioco fornisce giorno per giorno.

            L’aspetto che ha catturato la comunità è proprio questa tensione morale: ogni scelta può avere conseguenze definitive, e con circa dieci finali diversi il gioco si presta a replay continui.

            Perché è esploso sui social

            Il successo non deriva solo dal gameplay, ma anche dalla sua diffusione virale. Secondo GameSpot, il titolo ha totalizzato oltre 124.000 spettatori simultanei su Twitch nelle prime settimane dopo il lancio.

            Su Steam, gli utenti hanno risposto con entusiasmo: al lancio “Very Positive” è la valutazione predominante.
            Le keyword “No, I’m Not a Human” e hashtag correlati hanno raccolto migliaia di clip, screenshot e discussioni su Reddit, YouTube e X. Il motivo? La sensazione che “ogni knock-knock alla porta” possa essere la fine del gioco genera condivisione immediata: streamer che mostrano equivocazioni, finali differenti, esperienze personali.

            Il mix perfetto: indie, scelta, difficoltà

            Il titolo incarna diverse tendenze in crescita:

            • Scelte morali complesse, che ricordano titoli come Papers, Please o This War of Mine.
            • Estetica disturbante ma minimalista, che amplifica la suspense e rende il racconto più personale.
            • Replayabilità elevata, grazie alle varianti narrative e alla casualizzazione degli NPC-ospiti.
            • Community che crea contenuti, dal fan-art alle analisi dei finali, alimentando il passaparola.

            L’importanza del contesto russo

            Pur ambientato in Russia, il gioco parla un linguaggio universale: catastrofe climatica, minaccia interna, fiducia che vacilla. Ambientazioni che risuonano con ansie globali, ma attraverso una “lente” estetica e narrativa originale.

            Cosa lo distingue dagli altri horror

            • Il giorno e la notte sono meccaniche principali: di giorno investigazione, di notte decisione.
            • Non si affida solo a jump-scare, ma a paranoia e scelta: far entrare il “giusto” non è mai facile.
            • Il numero elevato di esiti finali incoraggia le «what-if» conversation sui social: cosa avrei fatto? Come sarebbe cambiato il finale?
            • Il prezzo accessibile e la demo precauzionale favoriscono la diffusione virale.

            Quali prospettive per il futuro

            Il team Trioskaz ha già annunciato aggiornamenti, correzioni tecniche e una possibile versione console. Nel frattempo, l’eco del gioco continua a crescere: se prima era una «gemma indie», ora è un fenomeno “social”.

              Continua a leggere

              Arte e mostre

              Torino inaugura il Serial Killer Museum: un viaggio nella mente dell’orrore

              Avatar photo

              Pubblicato

              il

              Autore

              Serial Killer Museum

                Ha aperto i battenti a Torino il Serial Killer Museum, uno spazio che promette di incuriosire e inquietare al tempo stesso. L’iniziativa, ospitata nel centro della città, si propone come un percorso educativo e psicologico nel cuore più oscuro della mente umana, raccontando le vicende di dieci assassini seriali che hanno lasciato un segno nella storia della criminalità mondiale.

                Il progetto nasce con l’intento di esplorare la genesi del male, non per celebrarlo ma per comprenderlo. L’obiettivo dichiarato dagli organizzatori è quello di offrire un punto di vista “storico, criminologico e umano” su figure che hanno alimentato paure, incubi e ossessioni collettive.

                Un viaggio immersivo tra cronaca e psiche

                L’esposizione è strutturata come un percorso multisensoriale. Attraverso audioguide, scenografie realistiche e installazioni digitali, il visitatore si trova a camminare tra dossier investigativi, oggetti autentici, fotografie e ricostruzioni di ambienti legati ai casi trattati. Ogni sezione è dedicata a un diverso protagonista della cronaca nera: da Ed Gein, il “macellaio di Plainfield” che ispirò Psycho, a Ted Bundy, il killer dal fascino ingannevole che terrorizzò l’America negli anni Settanta.

                Non mancano i riferimenti italiani, come la “saponificatrice di Correggio” Leonarda Cianciulli, responsabile di tre efferati omicidi tra il 1939 e il 1940. Ogni sala alterna documentazione storica e interpretazioni psicologiche, per indagare il confine sottile tra follia e consapevolezza criminale.

                L’allestimento, realizzato con la consulenza di esperti di criminologia e psichiatria forense, mira a stimolare una riflessione etica sul tema della violenza, invitando il pubblico a interrogarsi sul perché la società resti così attratta dal male.

                La fascinazione del pubblico per i “mostri”

                L’apertura del museo si inserisce in un fenomeno ormai globale: la serial killer culture, una vera e propria corrente culturale alimentata da serie TV, documentari e podcast di successo. Dai casi di Dahmer su Netflix a Mindhunter, il pubblico sembra non stancarsi mai di esplorare le vite dei criminali più spietati, cercando in esse risposte e brividi.

                Una curiosità che, in alcuni casi, può sfociare in morbosità. Gli esperti parlano di ibristofilia, una condizione psicologica che porta alcune persone a provare attrazione o empatia verso chi ha commesso delitti efferati. Fenomeni simili si sono già visti in passato, basti pensare alle lettere d’amore ricevute da Ted Bundy o da Charles Manson durante la detenzione.

                Proprio per questo motivo, i curatori del Serial Killer Museum hanno voluto chiarire sin dall’inaugurazione che l’intento non è quello di mitizzare, ma di analizzare. L’obiettivo è capire come nascono certe menti criminali, cosa le accomuna e come la società risponde a questi casi estremi.

                Tra cultura, etica e voyeurismo

                Nonostante il rigore dichiarato dell’approccio, il museo ha già acceso il dibattito. C’è chi lo considera un esperimento culturale coraggioso, capace di affrontare il male con strumenti di studio, e chi lo accusa di trasformare il dolore in intrattenimento.

                I responsabili dell’iniziativa difendono la scelta, spiegando che l’allestimento punta sull’impatto emotivo ma con un fine educativo: “Raccontare l’orrore serve a riconoscerlo e a non dimenticare le sue vittime”, si legge nella presentazione ufficiale.

                La scelta di Torino come sede non è casuale: la città, da sempre legata alla simbologia esoterica e alla cultura psicologica grazie all’Università e al Museo di Antropologia Criminale “Cesare Lombroso”, si conferma un luogo ideale per riflettere sul rapporto tra scienza e mistero.

                Il male come specchio della società

                In definitiva, il Serial Killer Museum è molto più di una curiosità turistica. È uno specchio dei tempi, un luogo dove il confine tra cultura, morbosità e introspezione diventa sempre più sfumato.

                Per alcuni visitatori sarà un viaggio nell’orrore, per altri un modo per comprendere meglio la natura umana. In ogni caso, nessuno uscirà indifferente: perché guardare negli occhi il male, anche solo attraverso una teca di vetro, significa interrogarsi su quanto di oscuro, a volte, abiti anche dentro di noi.

                  Continua a leggere
                  Advertisement

                  Ultime notizie

                  Lacitymag.it - Tutti i colori della cronaca | DIEMMECOM® Società Editoriale Srl P. IVA 01737800795 R.O.C. 4049 – Reg. Trib MI n.61 del 17.04.2024 | Direttore responsabile: Luca Arnaù