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Smartwatch, vantaggi e piccoli inconvenienti al polso

Gli smartwatch, orologi intelligenti dotati di funzionalità avanzate, oltre a quella tradizionale di segnare il tempo, stanno diventando sempre più popolari grazie alla loro capacità di integrare la tecnologia indossabile con la vita quotidiana.

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    Questi dispositivi offrono una serie di vantaggi significativi, come il monitoraggio della salute e del fitness, la ricezione di notifiche in tempo reale e la possibilità di effettuare chiamate e rispondere ai messaggi direttamente dal polso.

    Tuttavia, presentano anche alcuni svantaggi, tra cui la durata limitata della batteria, i problemi di privacy e sicurezza, e il costo elevato. Esplorare questi pro e contro può aiutare a determinare se uno smartwatch è la scelta giusta per le proprie esigenze tecnologiche e di stile di vita.

    Vantaggi di uno smartwatch
    Notifiche al polso: Visualizzare chiamate, messaggi, e-mail e notifiche social direttamente sul polso, senza dover tirare fuori lo smartphone.
    Controllo multimediale: Riprodurre musica, mettere in pausa/riprendere brani, cambiare traccia e regolare il volume, il tutto dal polso.
    Trova telefono: Sfruttare lo smartwatch per far squillare lo smartphone quando non lo si trova.
    Pagamento contactless: Effettuare pagamenti con Apple Pay o Google Pay tramite lo smartwatch, in modo rapido e sicuro.

    Salute e fitness
    Monitoraggio del fitness: Monitorare passi, calorie bruciate, distanza percorsa e altri parametri durante l’attività fisica.
    Monitoraggio del sonno: Tracciare la qualità e la durata del sonno.
    Monitoraggio della frequenza cardiaca: Monitorare la frequenza cardiaca in tempo reale e ricevere notifiche in caso di anomalie.
    GPS integrato: Registrare i percorsi durante attività all’aperto come corsa, ciclismo o escursionismo.
    Funzioni di allenamento: Accedere a una varietà di allenamenti preimpostati e monitorare i progressi.

    Personalizzazione: Cambiare il quadrante dell’orologio, aggiungere widget e personalizzare l’interfaccia per adattarla alle proprie esigenze.
    App aggiuntive: Scaricare e utilizzare una vasta gamma di app per lo smartwatch, che offrono funzionalità aggiuntive come meteo, calendario, borsa valori e altro ancora.
    Resistenza all’acqua: Utilizzare lo smartwatch anche in acqua o sotto la pioggia (con certificazione adeguata).
    Trova orologio: Trovare lo smartwatch smarrito utilizzando l’app associata sullo smartphone.

    Svantaggi di uno smartwatch
    Costo: Gli smartwatch possono essere costosi, soprattutto i modelli di fascia alta con funzionalità avanzate.
    Durata della batteria: La durata della batteria degli smartwatch varia a seconda del modello e dell’utilizzo, ma in genere è necessario ricaricarli quotidianamente o ogni due giorni.
    Dipendenza dallo smartphone: La maggior parte degli smartwatch richiede una connessione costante con uno smartphone per funzionare correttamente.
    Distrazioni: Le notifiche costanti e le vibrazioni dello smartwatch possono essere fonte di distrazione, soprattutto in ambienti di lavoro o di studio.
    Privacy e sicurezza: Lo smartwatch raccoglie e archivia dati personali, quindi è importante scegliere un modello con robuste funzionalità di sicurezza e proteggere l’accesso con un PIN o una password.
    Dimensione e comfort: Alcuni smartwatch possono risultare ingombranti e scomodi da indossare, soprattutto per persone con polsi piccoli.
    Obsolescenza: La tecnologia degli smartwatch si evolve rapidamente, quindi i modelli possono diventare obsoleti in pochi anni.
    Errori di valutazione: Nelle funzioni de monitoraggio cardiaco potrebbero erroneamente trasmettere delle informazioni allarmanti vitali per chi lo indossa; o altresì non tracciare correttamente eventuali anomalie cardiache.
    Impatto ambientale: La produzione e lo smaltimento degli smartwatch hanno un impatto ambientale, come tutti i dispositivi elettronici.

    In definitiva, la decisione se acquistare o meno uno smartwatch dipende dalle proprie esigenze individuali e dal proprio stile di vita. Valutare i pro e i contro e scegliere un modello adatto alle proprie necessità e al proprio budget è fondamentale per ottenere la migliore esperienza possibile.

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      Tech

      Smartphone caduto in acqua? Le mosse giuste (e gli errori fatali) da conoscere subito

      Dalle prime azioni da compiere ai falsi miti come il riso: una guida pratica per aumentare le possibilità di salvare il telefono dopo un contatto con l’acqua.

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      Smartphone caduto in acqua

        Un tuffo in piscina, un bicchiere rovesciato, un secondo di distrazione al lavandino: lo smartphone in acqua è uno degli incidenti più comuni dell’era moderna. Nonostante molti modelli recenti siano dotati di certificazione IP67 o IP68 — che indica una certa resistenza a immersione accidentale e schizzi — nessuno di questi dispositivi è realmente “impermeabile”. L’acqua può comunque penetrare all’interno, danneggiando componenti delicatissime come batteria, circuiti e microfoni. Per questo, la rapidità e la correttezza delle prime manovre sono essenziali.

        La prima cosa da fare è spegnere immediatamente il telefono, se non lo ha già fatto da solo. Il contatto tra liquidi e corrente elettrica è ciò che provoca i danni maggiori: interrompere l’alimentazione riduce drasticamente il rischio di cortocircuiti. Subito dopo, occorre rimuovere cover, pellicola, eventuale scheda SIM e microSD: sono tutte parti che trattengono l’umidità e rallentano l’asciugatura.

        Una volta spente le componenti attive, bisogna asciugare delicatamente l’esterno con un panno morbido, senza scuotere lo smartphone. Molti lo fanno d’istinto, ma è un errore: scuoterlo può spingere l’acqua ancora più in profondità, raggiungendo zone non ancora contaminate. Allo stesso modo, smartphone bagnato e phon acceso non vanno d’accordo. L’aria calda può deformare le parti interne, soprattutto degli schermi, e spingere la condensa verso l’interno.

        Altro mito da sfatare: il riso. Nonostante sia un rimedio molto diffuso online, non esistono prove scientifiche che il riso acceleri davvero l’evaporazione dell’umidità interna. I tecnici confermano che il riso assorbe appena una minima parte dell’acqua superficiale e può addirittura lasciare polvere o residui nei connettori. Meglio optare per i sacchetti di gel di silice (come quelli che si trovano nelle scatole delle scarpe), realmente utili per assorbire l’umidità. Se disponibili, possono aiutare a velocizzare l’asciugatura passiva.

        La regola più importante, però, è lasciar riposare il dispositivo per almeno 24-48 ore prima di tentare una riaccensione. Accendere lo smartphone troppo presto, anche se sembra asciutto, equivale spesso a “condannarlo” definitivamente. In caso di immersione in acqua salata, la situazione è più complessa: il sale causa corrosione rapida, quindi è consigliabile sciacquare il telefono solo esternamente con acqua dolce prima di asciugarlo, per rimuovere i cristalli salini. Poi va portato il prima possibile in un centro assistenza.

        Una verifica tecnica resta comunque l’opzione più sicura. I centri specializzati dispongono di strumenti per rimuovere l’umidità residua e valutare eventuali danni invisibili — come ossidazioni sui circuiti — che nel tempo possono causare malfunzionamenti o spegnimenti improvvisi.

        In sintesi, un incidente in acqua non significa automaticamente addio allo smartphone. Con le giuste precauzioni, molte persone riescono a salvarlo senza conseguenze. L’importante è agire in fretta, evitare i rimedi fai-da-te più rischiosi e, se necessario, affidarsi a un professionista. Perché, in questi casi, la calma è davvero la miglior alleata.

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          Tech

          Pensieri sussurrati ad alta voce: l’impianto neurale di Stanford che “ascolta” il linguaggio interiore

          Grazie a microelettrodi nel cervello e un algoritmo di intelligenza artificiale, i ricercatori sono riusciti a decodificare il monologo mentale e a trasformarlo in parole udibili — con un sistema di “password mentale” per proteggere la privacy.

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          Pensieri sussurrati

            Cosa succederebbe se potessimo far uscire dal cervello, perfettamente comprensibili, i pensieri che pronunciamo solo nella nostra mente? È questa la frontiera che un team dell’Università di Stanford ha esplorato con un impianto neurale sperimentale, capace di convertire il “discorso interiore” in parole reali.

            Come funziona
            La tecnologia si basa su microelettrodi impiantati nella corteccia motoria del cervello — la zona che controlla i muscoli coinvolti nel linguaggio. In uno studio su quattro partecipanti con gravi problemi di parola dovuti a paralisi (per esempio causata da SLA o ictus), gli scienziati hanno registrato i segnali neurali sia quando le persone tentavano di parlare fisicamente, sia quando immaginavano di parlare nella loro mente.

            Utilizzando modelli di apprendimento automatico (machine learning), l’algoritmo ha imparato a distinguere i diversi fonemi — i suoni più piccoli della lingua — sulla base dei pattern di attività cerebrale. Poi, ha ricomposto quei fonemi in parole e frasi.

            Nell’esperimento, il vocabolario usato per il “discorso interiore” era davvero ampio: il sistema poteva operare con circa 125.000 parole. Il livello di precisione raggiunto è sorprendente: fino al 74% di accuratezza nella decodifica in tempo reale.

            Differenza tra parlare e pensare
            I ricercatori hanno scoperto che il linguaggio immaginato e quello tentato attivano aree molto simili nel cervello, ma con intensità diversa. In particolare, i segnali neurali associati al linguaggio mentale sono più deboli, ma sufficientemente distinti per essere riconosciuti.

            Proteggere la privacy mentale
            Decodificare i pensieri può sembrare affascinante, ma apre a serie implicazioni etiche: che cosa succede se il dispositivo inizia a “leggere” parole pensate ma non volute? Il team di Stanford ha pensato anche a questo. Hanno introdotto un meccanismo di protezione: per attivare la decodifica, l’utente deve “pensare” una parola d’ordine. Nello studio, la frase scelta è stata “Chitty Chitty Bang Bang” — pensare mentalmente questa frase ha attivato il sistema con un’accuratezza superiore al 98%.

            Senza la parola d’ordine, il sistema rimane spento. Questo significa che non decodifica il flusso di pensieri non autorizzato, riducendo il rischio di “fuoriuscite” involontarie.

            Per chi potrebbe cambiare tutto
            Per persone che hanno perso la capacità di parlare — ad esempio a causa della paralisi — questa tecnologia potrebbe restituire una modalità di comunicazione rapida, naturale e meno faticosa rispetto ai sistemi attuali. Secondo gli autori, un tale impianto potrebbe un giorno restituire un linguaggio quasi fluido, solo usando il pensiero.

            Limiti e prospettive
            Al momento, il dispositivo non è ancora una soluzione commerciale: è in fase sperimentale e richiede un impianto chirurgico. Inoltre, la decodifica non è perfetta e può commettere errori, soprattutto per pensieri complessi o non coscienti.

            Tuttavia, i ricercatori sono ottimisti: migliorando l’hardware (più elettrodi, più sensori) e affinando gli algoritmi, potrebbero arrivare a sistemi più precisi, con funzioni wireless e una maggiore “risoluzione” nel riconoscere cosa sta pensando l’utente.

            Questa scoperta rappresenta un balzo in avanti importante nelle interfacce cervello-computer (BCI). Non è solo tecnologia: è anche etica, identità e libertà di pensiero. Se, un giorno, potremo “parlare con la mente”, dovremo anche chiederci chi ascolterà — e con quali garanzie.

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              Tech

              Il Web in ginocchio: guasto a Cloudflare spegne siti e piattaforme globali

              Le prime segnalazioni sono arrivate a metà mattinata, ma il problema è diventato critico in poco tempo. L’azienda ha identificato la causa e sta lavorando per ripristinare i servizi, ma il down evidenzia ancora una volta la fragilità di un Internet gestito da poche “Big Tech”.

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              Cloudflare

                Un’interruzione del servizio da parte di Cloudflare, colosso delle infrastrutture digitali, ha causato un vasto e improvviso “blackout” che ha reso inaccessibili numerosi siti e piattaforme in tutto il mondo. L’azienda, che funge da intermediario tra i visitatori e i server web per garantire sicurezza e velocità, ha subito un guasto che ha automaticamente reso offline tutti i portali che si affidano alla sua rete. L’episodio ha avuto inizio a partire dalle 12:17 ora italiana, ma è stato intorno alle 12:48 che la situazione ha raggiunto il suo picco critico.

                In una nota ufficiale, Cloudflare ha riconosciuto il problema, dichiarando di essere “a conoscenza di un’anomalia che potrebbe interessare diversi clienti” e che stava già indagando per risolverla. Successivamente, poco dopo le 14, un aggiornamento pubblicato sulla pagina di stato del servizio ha confermato che la causa era stata identificata e che era in corso l’implementazione di una soluzione. I primi segnali di ripristino dei servizi sono arrivati dopo le 13:00 UTC (le 14:00 italiane) quando alcuni servizi come Cloudflare Access e WARP sono tornati a funzionare normalmente.

                Si stima che circa il 20% di tutti i siti web globali utilizzi i servizi di Cloudflare. Sebbene non sia ancora disponibile un elenco ufficiale completo delle vittime del disservizio, numerosi utenti hanno segnalato problemi di accesso a piattaforme di primo piano come il chatbot ChatGpt di OpenAI, il social network X (ex Twitter), la piattaforma di streaming musicale Spotify e il servizio di grafica Canva. A causa della natura centrale di Cloudflare, l’interruzione ha avuto un impatto su una parte significativa della rete, dimostrando quanto sia cruciale il ruolo di questi “custodi” del traffico internet.

                Questo evento si inserisce in un contesto di fragilità della rete Internet, già evidenziata da recenti e simili disservizi. Soltanto il mese scorso, un down di Amazon Web Services (AWS) aveva mandato offline oltre un migliaio di siti e applicazioni, seguito poi da un’altra interruzione che aveva interessato Microsoft Azure. Questi eventi sottolineano la dipendenza del web da un numero limitato di grandi fornitori di infrastrutture, rendendo l’intero ecosistema digitale vulnerabile a guasti circoscritti, ma con conseguenze globali.

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