Spettacolo
Al di là delle liti Cairo farà fuori Mentana… oppure no?
Mentana va o nn va? Si era lasciato scappare che aveva voglia di programmi di pura informazione, pillole di news quotidiane e approfondimenti. Quindi avrebbe potuto lasciare La7.Ma c’è un problema. Anzi due. E quali? Primo che Mentana ha un contratto che scade in dicembre e scinderlo così di punto in bianco sembra male. E magari oneroso.

Ma vuoi vedere che lo scontro tra Gruber Mentana di una settimana fa potrebbe essere stata una scintilla voluta. Ma da chi? L’editore del La7 Urbano Caio, pur aspettando un po’ troppo tempo alla fine è sceso in campo con una dichiarazione formale che ricordando i successi della rete ha cercato di riappacificare i due. Riuscendoci. Ma entrambi covano dentro ancora qualcosa. Soprattutto Mentana che alla Gruber aveva risposto per le rime dopo quell’accusa di “incontinenza” pur mantenendo quel suo certo aplomb finto britannico.
Pacatezza e diplomazia
Quella, finta o falsa che fosse, faida interna, in ogni caso un po’ sopra le righe, sarebbe potuta essere la scusa buona per giustificare un possibile abbandono di Mentana che dirige il Tg della rete da 14 anni. Oppure un buon pretesto per Cairo per mandarlo via. Ma per andare dove? Ma al canale che gode del maggiore successo di immagine di questo momento. Di cui tutti parlano. Anche chi di tv non se ne intende proprio. Stiamo parlando di Nove Tv. Lo stesso Mentana del resto su Dagospia tempo fa aveva anticipato in qualche modo i suoi desiderata. Valorizzare di più l’informazione. E dove potrebbe farlo se non nel gruppo Discovery che, ricordiamo appartiene alla Warner Bross che oltretutto detiene il logo CNN.
Per Mentana c’è voglia di aria nuova e magari di un cachet più alto
Mentana si era lasciato scappare neanche velatamente le sue intenzioni di programmi di pura informazione, pillole di news quotidiane e approfondimenti. Ma c’è un problema. Anzi due. E quali? Primo che Mentana ha un contratto che scade in dicembre e scinderlo così di punto in bianco sembra male. E magari oneroso. E d’altra parte in Discovery alla spicciolata stanno approdando bei nomi dello spettacolo e magari potrebbe anche arrivare qualche nome del giornalismo che conta. Così il posto ora vacante potrebbe venire occupato da qualcuno che lo soffierebbe proprio a Mentana. Del resto Discovery i soldi ce li ha. E ne ha tanti. Ma non basta.
E intanto Lilly cova…
Nel contratto c’è pure la clausola denominata “non competizione”. Serve per tutelare la rete da un possibile cambio di casacca. Che si fa? Mentana potrebbe approfittarne soltanto a beneficio del suo conto corrente. In vista della scadenza del contratto, il giornalista per restare potrebbe chiedere un rinnovo più vantaggioso. Tutto questo con Lilli Gruber che ha scelto astutamente di non esporsi e di non tornare più sull’argomento. E su questo suo comportamento bisognerebbe meditare bene.
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Televisione
Il capitolo conclusivo di Squid Game 3 chiude nel segno del sacrificio
Squid Game 3 segna il punto di arrivo di una delle narrazioni più sconvolgenti e innovative della TV contemporanea. La terza e ultima stagione della serie coreana creata da Hwang Dong-hyuk è un concentrato di tensione, violenza simbolica e dramma etico. Sei episodi intensi, ambientati in un’arena sempre più spietata, che chiudono la trilogia con coraggio e profondità, portando il pubblico davanti a una domanda cruciale: fin dove siamo disposti a spingerci per sopravvivere, e a quale costo?

La narrazione riparte da dove si era interrotta: Gi-hun (Lee Jung-jae), il protagonista assoluto della saga, è di nuovo nel gioco. Ma non è più lo stesso uomo. Non cerca la vittoria: cerca vendetta, redenzione, giustizia. I giochi si fanno più crudeli e simbolici, mentre nuove figure – tra cui la determinata Jun-hee (Jo Yu-ri) e l’enigmatica Geum-ja (Kang Ae-shim) – portano il peso di drammi personali e morali. Il Front Man (Lee Byung-hun), sempre più figura tragica, si scontra con la determinazione di chi ha perso tutto. Il risultato è una tensione crescente che esplode in un epilogo dal sapore agrodolce.
Il cuore della stagione? Le scelte morali
In Squid Game 3 non ci sono eroi, né cattivi assoluti. Solo esseri umani spinti al limite. La terza stagione rinuncia all’effetto sorpresa per concentrarsi sull’interiorità dei personaggi: ogni prova, ogni dialogo, ogni morte serve a esplorare la fragilità della dignità umana. Il regista abbandona la pura spettacolarizzazione della violenza per mettere in scena una riflessione disturbante sulla libertà, il potere e la colpa. Un messaggio chiaro: quando il gioco si fa mortale, la vera sfida è non perdere se stessi.
Interpretazioni potenti e personaggi finalmente sfaccettati
Tra i maggiori punti di forza della stagione finale c’è la qualità delle interpretazioni. Jo Yu-ri offre un’intensa performance nei panni di Jun-hee, trasformando il suo personaggio in una figura di resilienza e coraggio. Ma è Kang Ae-shim, nei panni di una madre in cerca di perdono, a regalare il momento più toccante dell’intera trilogia. Anche i personaggi più ambigui, come Myung-gi (Im Si-wan) e Nam-gyu (Roh Jae-won), ricevono un trattamento narrativo maturo, che li rende verosimili, imperfetti, dolorosamente umani.
Un’eredità difficile da dimenticare
Con questa terza stagione, Squid Game si conferma come una delle opere più coraggiose mai prodotte da Netflix. La serie chiude il suo arco narrativo senza cedere alla facile spettacolarizzazione e scegliendo invece una conclusione etica e coerente. La trilogia si trasforma così in una parabola tragica sulla natura umana, destinata a lasciare il segno nel pubblico e nella cultura pop.
Cinema
Il parere di Robert De Niro: il mito della Lollo vive attraverso Monica Bellucci
C’è un’erede per l’intramontabile Sophia Loren? Secondo uno dei più grandi attori di sempre, la risposta è sì. Robert De Niro, icona del cinema internazionale, ha indicato senza esitazioni Monica Bellucci come la degna erede della diva di Pozzuoli. Un’affermazione che accende i riflettori su due volti straordinari del cinema italiano: il mito senza tempo e la bellezza contemporanea.

Sofia Costanza Brigida Villani Scicolone, in arte Sophia Loren, è molto più di un’attrice: è un’icona mondiale. Nata a Pozzuoli nel 1934, ha saputo conquistare il pubblico con il suo fascino mediterraneo e un talento recitativo fuori dal comune. Premi Oscar, collaborazioni leggendarie con registi del calibro di Vittorio De Sica e una carriera che ha spaziato tra Europa e Stati Uniti hanno consolidato il suo status di leggenda. Nel 1960 ha vinto l’Oscar come miglior attrice per La Ciociara, prima interprete a ottenere il premio per una performance non in lingua inglese. Nel 1991 l’Academy le ha conferito un Oscar alla carriera, consacrandola tra le stelle eterne del grande schermo.
Chi può raccogliere l’eredità di Sophia?
Con il passare degli anni, Loren si è ritirata a vita privata in Svizzera, ma il suo mito resta vivo. La domanda, dunque, è inevitabile: esiste oggi una sua erede nel panorama cinematografico? Secondo Robert De Niro, assolutamente sì.
De Niro non ha dubbi: “Monica Bellucci è la nuova Sophia Loren”
In un’intervista rilasciata a Sky Cine News, Robert De Niro ha indicato Monica Bellucci come la naturale erede di Sophia Loren. “Era necessario avere accanto la donna per eccellenza – ha dichiarato – e questa doveva essere Monica, oppure qualcuno come Claudia Cardinale”. I due attori hanno condiviso il set nel film Manuale d’Amore 3 di Giovanni Veronesi, dove De Niro interpreta un professore e la Bellucci incarna il fascino e l’eleganza di una donna magnetica. “Sono stato felice di lavorare con lei – ha aggiunto l’attore – Monica ha qualcosa di speciale”.
Bellucci e Loren: due epoche, un solo mito
Non è un caso se Monica Bellucci è oggi considerata una delle grandi dive del cinema. Conosciuta per la sua grazia, la voce profonda e la bellezza tipicamente italiana, ha conquistato anche il pubblico internazionale. Dal Festival di Cannes alla Mostra del Cinema di Venezia, la sua presenza incanta le platee di tutto il mondo. Nel corso della rassegna veneziana dedicata alle icone del cinema italiano, Bellucci e Loren sono state protagoniste di una mostra fotografica insieme ad altre grandi interpreti come Virna Lisi, Gina Lollobrigida e Monica Vitti. Un omaggio che unisce passato e presente, suggellando il passaggio ideale di testimone.
Due simboli, una sola anima italiana
Monica Bellucci non è solo un’attrice, ma un simbolo della continuità e della forza del cinema italiano nel mondo. L’elogio di De Niro non è casuale: rappresenta il riconoscimento internazionale di un’eredità che si rinnova, senza dimenticare le radici. Come Sophia Loren ha aperto la strada alle attrici italiane nel mondo, Monica Bellucci continua a portarne alta la bandiera. Due donne, due carriere straordinarie, unite da un carisma senza tempo e da un’eleganza che solo il grande cinema sa esprimere.
Cinema
Arriva un biopic sulla storia d’amore segreta tra James Dean e William Bast
Brandon Flynn vestirà i panni dell’icona hollywoodiana in “Willie and Jimmy Dean”, un film che racconta il lato più intimo e nascosto dell’attore.

Dietro lo sguardo ribelle e l’aria tormentata che hanno reso James Dean un’icona immortale del cinema, si nascondeva un giovane uomo fragile, complesso e profondamente umano. A quasi settant’anni dalla sua morte, il mito di Dean si arricchisce di una nuova sfumatura. E’ stato annunciato il biopic Willie and Jimmy Dean, scritto e diretto da Guy Guido. Il lavoro è tratto dal memoir Surviving James Dean di William Bast, amico intimo e presunto amante dell’attore. A interpretare Dean sarà Brandon Flynn, volto noto delle serie Tredici e True Detective, scelto per la sua capacità di incarnare sia il fuoco che la vulnerabilità del personaggio.
Una relazione iniziata da studenti
Il film racconterà la relazione tra Dean e Bast, iniziata quando entrambi erano studenti alla UCLA. I due diventarono coinquilini, poi amici inseparabili e infine amanti, in un’epoca – quella degli anni ’50 – in cui vivere apertamente la propria omosessualità significava rischiare la carriera e l’emarginazione sociale. Bast, che nel 2006 ha raccontato la loro storia nel suo libro, sperava che un giorno avrebbero potuto vivere insieme alla luce del sole. Ma la morte improvvisa di Dean, a soli 24 anni in un incidente d’auto nel 1955, spense ogni possibilità.
Il regista Guy Guido ha voluto allontanarsi dal classico biopic agiografico per raccontare una storia “tenera e a tratti tragica”. Una storia centrata sulla lotta di Bast con la propria identità e sul prezzo dell’essere “veramente visti” in un’America ancora profondamente conservatrice. Flynn ha definito la sceneggiatura “un tentativo autentico di comprendere chi fosse davvero James Dean — non solo l’icona, ma l’uomo”. Ha elogiato il film per aver evitato il sensazionalismo e per aver dato voce alla pressione che Hollywood esercitava sulle persone LGBTQ+, costrette a recitare anche nella vita privata.
Il casting per il ruolo di William Bast e della madre, figura centrale nella sua vita, è ancora in corso, guidato da Kerry Barden e Paul Schnee. Il progetto è in fase di sviluppo e il regista è attualmente in trattativa con diversi produttori per portare sullo schermo questa storia delicata e potente. Willie and Jimmy Dean promette di restituire al pubblico un James Dean più vero, più umano, lontano dalla leggenda patinata. Vicino a chi, come lui, ha vissuto nell’ombra per paura di essere se stesso. Un film che non solo racconta un amore nascosto, ma illumina una parte di storia che per troppo tempo è rimasta invisibile.
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